Bombe contro le case dei cristiani in Iraq: almeno 6 morti
In Iraq una nuova serie di attacchi contro abitazioni di cristiani ha provocato la
morte di almeno 6 persone. Il bilancio, ancora provvisorio, è stato reso noto dal
Ministero della Difesa iracheno. I nuovi attentati seguono di 10 giorni la strage
avvenuta il 31 ottobre nella chiesa siro-cattolica di Nostra Signora del Perpetuo
Soccorso a Baghdad e costata la vita a decine di persone. Il cardinale segretario
di Stato, Tarcisio Bertone, a margine di un convegno a Roma, ha auspicato che le autorità
irachene prendano in seria considerazione la situazione dei cristiani, che stanno
vivendo una situazione di sofferenza indicibile, così come le comunità cristiane in
Pakistan e in altri Paesi. Il servizio di Amedeo Lomonaco:
Diverse bombe
artigianali sono esplose stamani a Baghdad davanti alle abitazioni di fedeli cristiani.
Gli attentati hanno preso di mira anche una chiesa, rimasta danneggiata. Ieri sera
erano state attaccate altre tre case di cristiani nella capitale provocando il ferimento
di tre persone, tra cui un bimbo di quattro mesi. Si tratta di tragici episodi all’indomani
anche di nuove, recenti minacce di Al Qaeda che considera “obiettivi legittimi” i
fedeli cristiani. Il patriarca di Babilonia dei caldei, cardinale Emmanuel III Delly,
ha dichiarato che i terroristi "stanno dando la caccia ai cristiani in ogni quartiere
di Baghdad". L’arcivescovo siro-cattolico di Baghdad, Mons. Atanase Matti Shaba Matoka,
ha poi detto all’agenzia Fides che “un profondo sconforto” avvolge i fedeli cristiani.
“Nonostante i proclami – spiega il presule - il governo non fa nulla per fermare quest’ondata
di violenza”. “Sono state colpite famiglie cristiane caldee, siro-cattoliche, assire
e di altre confessioni, nel distretto di Doura”. “E’ il terrore – afferma il presule
- che bussa alle nostre porte”. “E le famiglie sono sconvolte. Questa non è vita”.
L’obiettivo dei terroristi è di cacciare i cristiani dall’Iraq e “ci stanno riuscendo”.
Il Paese – sottolinea infatti l’arcivescovo siro-cattolico di Baghdad - è in preda
alla distruzione e al terrorismo”. “I cristiani soffrono sempre più e vogliono abbandonare
il Paese”. Mons. Atanase Matti Shaba Matoka lancia poi un accorato appello chiedendo
“un pronto intervento della comunità internazionale” e supplicando “il Santo
Padre e la Chiesa universale a venire in aiuto” della comunità cristiana irachena.
“Oggi – conclude il presule - non si può far altro che sperare e pregare, affidando
la nostra vita nelle mani di Dio”. Sul versante politico, intanto, il premier uscente
Nouri al-Maliki ha visitato ieri la chiesa siro-cattolica di Baghdad, teatro del drammatico
attentato dello scorso 31 ottobre ed esortato i cristiani a non abbandonare il Paese.
“Faremo il possibile - ha detto – perché la comunità irachena rimanga completa e unita”.
In
Iraq, intanto, si terrà domani a Baghdad una seduta del Parlamento per risolvere la
questione della formazione del nuovo governo. Gli attacchi e gli attentati avvengono
anche a causa della mancanza di un’adeguata cornice di sicurezza, come sottolinea
al microfono di Christopher Altieri il procuratore caldeo a Roma, mons.
Philip Najim:
R. – Sicuramente
i terroristi vogliono dimostrare al mondo intero che c’è un vuoto politico in Iraq
e non c’è un’unità nazionale all’interno del Paese. Vogliono dimostrare che oggi l’Iraq
è incapace, con questa leadership politica, di creare un governo, un governo che si
senta responsabile nei confronti del suo popolo, che senta la responsabilità di educare
e di assicurare una vita normale al popolo.
D. – C’è stato in questi
ultimi giorni un netto aumento di episodi di violenza contro la comunità cristiana
irachena...
R. – I terroristi cercano sempre di infondere questa paura.
Vogliono dimostrare che si tratta di un conflitto tra cristiani e musulmani. Ma non
è così. Cristiani e musulmani hanno sempre vissuto insieme, hanno costruito il Paese
insieme, hanno costruito il futuro dell’Iraq insieme. I terroristi cercano, anche
attraverso i mass media, di creare questa paura e di alimentare una situazione instabile,
per dimostrare la debolezza di un Paese ormai caduto in basso dal punto di vista della
sicurezza dei suoi cittadini.(ap)