Myanmar, 20 mila profughi per gli scontri del dopo-voto
Sulle elezioni politiche di domenica in Myanmar mancano ancora i dati ufficiali, ma
l’opposizione accusa la giunta militare al potere - che rivendica l’80% dei seggi
- di aver manipolato le consultazioni. Intanto sono saliti a circa 20 mila i birmani
rifugiatisi in Thailandia a seguito dei combattimenti scoppiati subito dopo il voto.
“Temiamo una recrudescenza del conflitto, con grave sofferenza dei civili”: è quanto
ha riferito all’Agenzia Fides una fonte nella Chiesa del Myanmar, chiedendo l’anonimato.
Su questa nuova emergenza e sul flusso di profughi al confine tra i due Paesi, ascoltiamo
il collega Stefano Vecchia, raggiunto telefonicamente a Bangkok da Giada
Aquilino:
R. - Fino
a poco fa continuava, seppur a rilento. Al momento, c’è anche un flusso contrario,
dovuto alle notizie di una cessazione degli scontri nella cittadina di Myawaddy: alcuni
profughi hanno iniziato a rientrare, incentivati anche dal governo thailandese, che
ha offerto ospitalità, ma condizionata ad un soggiorno breve. Nel contempo, però,
altri stanno entrando in Thailandia.
D. - Perché sono scoppiati gli
scontri?
R. - Una fazione dell’etnia Karen ha impegnato proprio nella
cittadina di Myawaddy i reparti dell’esercito birmano, occupando alcuni edifici pubblici.
Un atto dimostrativo per far capire che le etnie minoritarie, quelle cioè che non
hanno siglato un accordo di pace e di cessate-il-fuoco con la giunta, sono ancora
pronte a rivendicare una loro autonomia, nonostante i risultati delle elezioni siano
favorevoli alla giunta stessa.
D. - Proprio il partito vicino ai militari
ha già rivendicato l’80 per cento dei seggi…
R. – Esattamente. Un risultato
previsto, data la situazione in cui si è andati alle urne, ma in qualche modo anche
sorprendente per la sua entità, perché i dati dell’affluenza erano estremamente bassi
e l’opposizione è stata compatta e forte, soprattutto nei grandi centri urbani. L’opposizione,
già ieri sera, aveva detto che non avrebbe approvato un risultato favorevole alla
giunta e questo per i brogli e per la situazione del voto; ma, allo stesso tempo,
ha accettato ed ammesso la propria sconfitta, mettendo sul tavolo le carte in modo
assolutamente chiaro: quindi sconfitti, ma non disposti ad accettare il risultato.
D. - L’Asean e la Cina hanno salutato queste elezioni in Myanmar come
un significativo passo in avanti, mentre nelle scorse ore c’era stata la condanna
dell’Onu: Ban Ki-moon aveva detto che non sono state elezioni trasparenti. Come leggere
queste posizioni?
R. - Vanno lette nella politica abituale di queste
due realtà, appunto la Cina e l’Associazione delle Nazioni del Sudest Asiatico, di
cui il Myanmar fa parte: una posizione vicina alla giunta, per rapporti economici
e commerciali molto stretti. Non è, però, un appoggio politico esplicito e non lo
è mai stato. Certamente il fatto che questi Paesi non applichino sanzioni e non abbiano
nemmeno mai condannato la situazione, chiaramente favorisce il mantenimento del potere
da parte dei militari. (mg)