La comunità internazionale si solleva contro l'annuncio di nuovi insediamenti ebraici
Ancora una battuta d’arresto per il processo di pace in Medio Oriente dopo l’annuncio
ieri, da parte di Israele, della costruzione di 1.300 nuovi alloggi a Gerusalemme
Est e di 800 nei sobborghi della città di Ariel. Totale la bocciatura da parte del
presidente statunitense, Barack Obama, che nel corso del suo viaggio in Indonesia
ha detto che “i nuovi insediamenti non aiutano la pace”. Il capo della diplomazia
europea, Cathrine Ashton, da parte sua, ha chiesto alle autorità dello Stato Ebraico
di fare marcia indietro. Critica pure la posizione del segretario generale dell’Onu,
Ban Ki Moon, che incontrando a New York il primo ministro israeliano Benjamin Netanyahu,
si è detto ''preoccupato''. Sulle conseguenze negative che questa decisione potrebbe
avere sui colloqui israelo-palestinesi, Salvatore Sabatino ha intervistato
Maria Grazia Enardu, docente di Storia e Relazioni Internazionali presso l’Università
di Firenze:
R. – L’iniziativa
è improvvida, ma anche necessaria, perché la decisione di costruire nuovi appartamenti
nei sobborghi di Gerusalemme e nella città di Ariel, viene presa dalle municipalità
che procedono con i loro tempi e i loro metodi. E’ chiaro che questo annuncio, in
un momento in cui il primo ministro israeliano è a Washington a fare discorsi che
devono incoraggiare il processo di pace, capita in modo assolutamente devastante;
ma questo nulla toglie alle linee di fondo, cioè che Israele continuerà a costruire.
Le chiama costruzioni per “crescita fisiologica” e ha ragione, ma è anche vero che
questo avviene su territori contesi.
D. – L’amministrazione americana
ha spinto moltissimo per la ripresa dei negoziati. Il fatto che Obama abbia perso
le elezioni di “mid-term” avrà delle conseguenze concrete per il processo di pace?
R.
– Purtroppo sì, perché, per due anni, l’amministrazione americana, salvo fatti imprevedibili,
non avrà un ruolo forte nella ripresa vera di un processo di pace. Non ci credono
i palestinesi, non ci credono gli israeliani – e infatti anche questi ultimi fatti
paiono indicare che gli israeliani sanno di poter procedere su una doppia linea di
diplomazia e anche di fatti sul terreno – e non ci credono neanche gli americani,
che hanno priorità anche internazionali di maggior livello. Quindi aspetteremo almeno
due anni.(ap)