La riforma del Fondo monetario internazionale: più peso a Cina, India e Brasile
I vertici del Fondo monetario internazionale (Fmi) hanno approvato venerdì sera a
Washington l’accordo per la riforma dell’istituzione. Previste una ripartizione dei
diritti di voto più conforme al peso delle economie emergenti, in particolare per
la Cina, che ora diventa il terzo Paese più importante del direttivo, dopo Stati Uniti
e Giappone e prima di Germania, Francia e Regno Unito. Il board del Fondo monetario
internazionale rimane a 24 posti, con le economie avanzate dell'Unione Europea che
perdono due seggi. Sul significato di questa intesa, Marco Guerra ha sentito
Riccardo Moro, docente di Politiche dello sviluppo alla Statale di Milano e
direttore della Fondazione “Giustizia e Solidarietà” della Conferenza episcopale italiana:
R. - Da sempre
si è contestato al Fondo monetario internazionale e alla Banca mondiale di aver dei
meccanismi decisionali interni in cui erano fondamentalmente rappresentati i Paesi
del Nord del mondo e sostanzialmente esclusi tutti gli altri. Una riforma interna
al Fondo e alla Banca, che si chiama “delle voci e del voto”, è stata avviata diversi
anni fa: questo è, forse, il passo più significativo, proprio perché vede un ruolo
decisamente più rilevante della Cina ma anche degli altri Paesi emergenti. Da un lato,
nulla da stupirsi perché si tratta di una ricomposizione, di un riequilibrio per certi
aspetti necessario e dall’altro, va fatto notare che in questo riequilibrio i più
poveri rimangono comunque fuori. Le quote dell’Africa non variano significativamente
e nella "stanza dei bottoni", sostanzialmente, assieme agli europei e agli occidentali
adesso ci saranno un po’ di più la Cina, l’India e il Brasile, ma certamente non quelli
che sono gli ultimi del pianeta.
D. - Che cosa comporterà il maggiore
spostamento d’influenza in favore delle economie emergenti?
R. - Forse
un processo più democratico in ambito decisionale. La crisi finanziaria del 2008 ha
mostrato una maggiore vulnerabilità di Europa, Giappone e Nord America e, viceversa,
una più forte capacità di stabilità in modo particolare dell’America Latina, ma anche
di diversi Paesi dell’Asia. Il Fondo monetario internazionale è ora chiamato, maggiormente
rispetto al passato, ad un ruolo di governance o quanto meno di monitoraggio
e di consiglio. E’ interessante il fatto che questo monitoraggio non sia più soltanto
nelle mani dei Paesi occidentali. E’ una sorta di riapertura dei giochi che si sta
verificando da qualche anno e che sicuramente l’elezione di Obama da un lato e la
crisi del 2008 dall’altro hanno reso più evidente e necessario.
D. -
A proposito di Obama, il peso crescente di Cina e India e le attenzioni del presidente
americano rivolte all’Asia sembrano dimostrare che il nuovo asse dell’economia mondiale
si sia spostato dall’Atlantico al Pacifico...
R. - Non vi è dubbio che
vi sia una forte attenzione americana, o meglio statunitense, nei confronti dell’Asia
e non vi è dubbio che vi sia una forte attenzione nei confronti della Cina. E’ in
corso una decisa tensione affinché la Cina promuova il mercato interno, sposti verso
il proprio interno una parte della propria produzione e abbia un corso dello yuan
che sia più rappresentativo dei poteri di forza in gioco. Per fare tutto questo, gli
Stati Uniti si stanno rivolgendo, in modo particolare, al Sudest asiatico non cinese
e all’America Latina: fra qualche anno potremmo vedere una crescita consistente, da
parte degli Stati Uniti, delle relazioni commerciali nord-sud interamericane e delle
relazioni con il Pacifico non cinese. (mg)