La crisi economica al centro del convegno a Milano per i 60 anni della rivista "Aggiornamenti
Sociali"
La crisi economica che stiamo vivendo produce effetti devastanti sui diritti della
persona. E’ la premessa da cui parte il convegno ‘La crisi e i diritti umani’ in programma
oggi a Milano, al Centro San Fedele. L’incontro di studi, al quale partecipano tra
gli altri il cardinal Turkson, presidente del Pontificio Consiglio della Giustizia
e della Pace, e l’economista Stefano Zamagni, è stato organizzato in occasione del
60.mo anniversario della rivista dei gesuiti ‘Aggiornamenti Sociali’, dalla Fondazione
Culturale San Fedele e dall’Istituto Internazionale Jacques Maritain. Fabio Colagrande
ne ha parlato con il prof. Roberto Papini, docente all’università Lumsa di
Roma e segretario generale dell’istituto Internazionale Maritain.
R. – Innanzitutto,
probabilmente all’inizio la crisi è stata sottovalutata; non si è compreso che andava
in profondità, nelle trasformazioni della società nazionale ed internazionale. La
crisi materiale è diventata crisi finanziaria, impattando quindi i flussi finanziari
internazionali che svolgono un ruolo chiave nella congiunzione della società globale,
senza che ci sia un burattinaio. Di fatto, però, gli interessi di multinazionali,
di hedge funds, di fondi sovrani eccetera, sono andati – nonostante la crisi – alla
ricerca del maggiore profitto. Ora, questa ricerca del maggiore profitto che è legata
al modello dominante, amplificata enormemente da questa finanziarizzazione dell’economia,
come si dice, cioè da questa autonomia della finanza rispetto all’economia reale,
ha profondamente inciso nella società e ci si trova quindi di fronte ad un problema
relativamente nuovo – la crisi del ’29 non aveva questo aspetto della ‘finanziarizzazione’
così forte; gli accordi di Bretton-Woods nel dopoguerra sulla cooperazione economica
e finanziaria sono saltati o stati superati da questa globalizzazione, e quindi l’attenzione
degli osservatori si è accentrata sulle ragioni e la natura di questa crisi. Meno
ci si è soffermati a vedere quale impatto questa crisi provocasse sulla società: ha
fatto saltare il welfare-state in molti Stati o lo ha ridimensionato, ha creato 30
milioni di disoccupati nel giro di pochissimo tempo. In realtà, dietro c’è una società
che è stata educata alla ricerca del profitto e del consumismo più sfrenato e quindi,
naturalmente, il problema è un problema morale e culturale. Abbiamo educato, in questi
ultimi decenni, generazioni di persone a pensare che la salvezza fosse nell’avere
di più, non nell’essere di più.
D. – Quindi, se è vero che la crisi
economica ha avuto un impatto sui diritti umani, è dunque anche vero che si può partire
proprio da una filosofia dei diritti e dei doveri, sulla quale voi riflettete, per
trasformare la crisi in un motivo di riscatto …
R. – Ogni crisi, anche
quella del ’29, è stata in qualche modo foriera di ripensamenti. Il problema è che
bisognerebbe passare da una società basata sul profitto tout court e ad ogni costo,
ad una società che vegli sul rispetto dei diritti, e naturalmente dei doveri, delle
persone. Questo passaggio comporterebbe una revisione del modello dominante: non tornare
ad un modello socialista, non è questo il problema. Ma ci sono tante altre formule
in modo che l’economia di mercato sia condotta in altri modi, in cui – cioè – la partecipazione
degli stake holders, dei cittadini, sia maggiore anche nelle imprese economiche, e
quindi maggiore la loro possibilità di intervento per poter guidare questa dimensione
che è diventata la dimensione centrale. Se prima il rapporto era tra diritti umani
e Stato, e politica, oggi il rapporto è tra diritti umani e chi governa l’economia.
E’, quindi, una società da ripensare; naturalmente, con fortissime resistenze da parte
di coloro che invece hanno guadagnato e continuano a guadagnare su questa crisi. (gf)