Giornata per la Vita. I vescovi italiani: difendere chi non può difendersi
“Educare alla pienezza della vita” è il titolo del Messaggio - reso noto ieri - del
Consiglio permanente della Conferenza episcopale italiana per la 33.ma Giornata per
la Vita che si terrà il prossimo 6 febbraio. Al centro l’urgenza di un’educazione
alla vita e la necessità di una svolta culturale. Al microfono di Debora Donnini
sentiamo don Paolo Gentili, direttore dell’Ufficio Nazionale per la Pastorale
della Famiglia della Cei:
R. – Nel
pensiero dei vescovi c’è l’esigenza di sollecitare sia le comunità cristiane che i
credenti, ma anche gli uomini di buona volontà, a mostrare il grande ‘sì’ di Dio all’uomo,
come dice Benedetto XVI. Se dovessimo descrivere il cristianesimo è soprattutto un’esperienza
di un “di più” di vita, ma che va educato, proprio nel senso letterale del termine,
cioè va estratto, va accompagnato. Oggi rischiamo di avere delle giovani generazioni
che magari sono molto pratiche nel mondo del web, ma talvolta sono in difficoltà nelle
relazioni con le persone che hanno accanto. Quando uno scopre che la vita si realizza
nel donarsi agli altri, allora la sua vita acquista un senso, un orizzonte diverso,
molto più luminoso.
D. – Nel messaggio si parla di una sorta di assuefazione
ad episodi di violenza. Che cosa provoca, poi, questa assuefazione?
R.
– Ci si abitua a cose che tutti i giorni vengono, soprattutto dai mass media, fotografate
e magari evidenziate; ci si abitua, non tanto agli alberi che crescono silenziosamente,
ma piuttosto all’albero che cade giù: le persone che sono trattate con violenza, gli
incidenti e poi soprattutto la mancanza di attenzione alla vita fragile, cioè alla
vita nascente, agli ultimi stadi di vita, agli anziani abbandonati. I vescovi allora
invitano a non assuefarsi a tutto questo: occorre stare in ascolto di quel grido muto
– direi così – di chi non può difendersi.
D. – Oltre all’educazione
alla vita, voi sottolineate l’importanza di interventi sociali e legislativi mirati.
Ci può fare qualche esempio?
R. – Una società civile deve promuovere
il bene comune e questo vuol dire anche tutta una serie di interventi legislativi
che difendano la vita. Forse, l’assuefazione più grande è proprio a delle leggi che
non interpretano più il vero mistero della vita. E’ necessario che sia riconosciuta
la persona al centro della società: la difesa della famiglia fondata sul matrimonio,
ma vuol dire anche la difesa di chi non può difendersi. Una civiltà nasce quando la
vita è custodita, è difesa. Una civiltà inizia il suo declino quando la vita, soprattutto
nella parte più fragile, non è più custodita. (ap)