La realtà ecclesiale e missionaria nelle Filippine: intervista con don Giovanni Attilio
Cesena della Cei
“Essere testimoni credibili di Cristo”. E’ il filo rosso che ha guidato l’incontro
dei missionari italiani, svoltosi nei giorni scorsi, a Tagaytay, vicino Manila. L’iniziativa
ha fatto il punto sulla presenza dei testimoni del Vangelo nelle Filippine e tracciato
le sfide per il prossimo futuro. Massimiliano Menichetti ha intervistato don
Giovanni Attilio Cesena, direttore dell’Ufficio nazionale per la cooperazione
missionaria tra le Chiese della Conferenza episcopale italiana (Cei), che insieme
con il Centro Unitario Missionario di Verona ha dato vita al meeting:
R. – La situazione
delle Filippine è molto buona: coprono, forse, i quattro quinti dei cattolici asiatici.
Partendo dal Canale di Suez ed arrivando fino alle più sperdute isole del Giappone
e della Corea, i filippini rappresentano l’80 per cento dei cattolici asiatici e,
peraltro, i loro migranti portano la presenza cattolica anche in Arabia Saudita, negli
Emirati Arabi e - ovviamente - anche in Occidente: l’Italia, l’Europa, gli Stati Uniti
d’America.
D. - Quindi, nelle Filippine la Chiesa è una realtà ricca,
consistente…
R. - E’ una Chiesa strutturata sotto il profilo gerarchico
da molto, moltissimo tempo: tutti i vescovi sono filippini, le diocesi hanno buone
organizzazioni. Certamente, ci sono ancora dei territori dove o per il basso numero
di cattolici - penso all’isola di Mindanao, dove ci sono molti islamici - o perché
toccati da estrema povertà - come alcune isole un po’ disperse - la presenza cattolica
non è così consistente ed organizzata. Ma complessivamente la situazione è florida,
la presenza cattolica è presenza vivace, ampia, organizzata.
D. - L’incontro
dei missionari italiani nelle Filippine ha avuto come tema “Traghettare con Cristo”.
Ma qual è il senso della missionarietà in questa terra?
R. - Essendo
stati educati come missionari, vorremmo poterci oggi rispecchiare nel fatto che i
filippini diventino essi stessi missionari verso la loro società e verso l’esterno.
Le Filippine sono terra di grandi migrazioni ed occorre che, proprio accanto a questo
migrare, ci sia anche una qualità missionaria: una Chiesa, dunque, che non si rinchiuda
in se stessa, che non vada solo ad assistere i propri connazionali, ma che diventi
essa stessa capace di annuncio. I missionari, poi, sono molto impegnati nelle grandi
sfide della povertà, perché tuttora nelle Filippine le sacche di povertà nelle periferie
delle grandi città e nei luoghi rurali più isolati rappresentano una sfida permanente
e drammatica.
D. – Numericamente, che entità ha la realtà missionaria
nelle Filippine?
R. - Difficile essere precisi, anche perché chi sono
i missionari? Sono sacerdoti, sono suore, sono laici, sono fidei donum... oggi
c’è una grande mobilità. Comunque, credo ci siano oggi tra i 200 e i 250 italiani
in servizio missionario esplicito e questi missionari sono sparsi praticamente ovunque,
dall’Isola di Luzon, che sta al nord, all’Isola di Mindano, che si trova al sud, fino
all’Isola di Palawan, che si estende nella parte occidentale del Paese.
D.
- Uno dei tratti peculiari della missionarietà è quella di portare il Volto di Cristo:
mentre si aiuta il povero, si crea scolarità, ci si impegna nel miglioramento delle
condizioni sociali…
R. - Certamente. Non possiamo pensare di compiere
opere di qualsiasi tipo - promozione umana, scolarizzazione, cultura, che sono tutte
essenziali - se non le rendiamo tutte intessute concretamente nel Vangelo, incarnando
e quindi annunciando Cristo. Questo, qualche volta, per un missionario significa anche
mettere in ombra se stesso. Altrimenti, sì, avremmo compiuto grandi opere, ma mancherebbe
proprio il sapore buono della vita che il Vangelo dà ad ogni opera autenticamente
cristiana.(mg)