Diritti umani e riconciliazione in Sri Lanka: la società civile in rotta con il governo
Un gruppo di Organizzazioni non governative internazionali e settori della società
civile dello Sri Lanka hanno rifiutato di far parte della Commissione per la Riconciliazione
nazionale, istituita dal governo del presidente Rajapaksa (la cosiddetta “Lessons
Learnt and Reconciliation Commission”), accusando l’esecutivo di “mancanza di credibilità”.
Associazioni di calibro internazionale come “Human Rights Watch”, “Amnesty International”
e “International Crisis Group” hanno scritto una lettera aperta al governo, affermando
di essere disposte a partecipare a un processo di riconciliazione autentico, trasparente
e credibile, e notando che la Commissione è priva di tali requisiti. La posizione
delle Ong sta trovando crescenti consensi in associazioni della società civile – in
Sri Lanka e in altri paesi asiatici – che nei mesi scorsi hanno criticato l’operato
del governo, il cambiamento della Costituzione, la mancanza di legalità e di giustizia
nella società. Secondo le organizzazioni promotrici, la Commissione non solo non risponde
agli standard minimi di indipendenza e imparzialità, ma può diventare anche uno strumento
per garantire l’impunità e continuare l’abuso dei diritti umani: nonostante la “litania
di lamentele”, registrate nei mesi scorsi per lo scarso rispetto dei diritti umani
– notano le Ong – non è stato compiuto nessun progresso, a partire dalla fine della
guerra civile. Sebbene numerosi testimoni abbiano fornito prove sulle violazioni dei
diritti umani compiute dall’esercito di Colombo, prosegue la missiva, la Commissione
non ha mostrato alcun interesse per indagare su tali questioni, cruciali per costruire
giustizia, pace e sviluppo nel paese. Il problema, si afferma, è che i membri della
Commissione non sono indipendenti, ma sono rappresentanti governativi. Inoltre le
Ong lanciano l’allarme per la vita dei testimoni, che possono essere considerati “traditori”,
in quanto sostengono accuse verso le forze armate, e dunque necessitano di una protezione
adeguata. In tale situazione, e mentre il Paese è ancora sotto lo “stato di emergenza”
che non garantisce la normale legalità, che punisce il dissenso politico o di opinione,
non vi sono le condizioni basilari – concludono le Ong – per condurre una indagine
seria sugli abusi e un’opera efficace per la riconciliazione. (R.P.)