Strage di cristiani in Iraq. Mons. Casmoussa: intervenga l'Onu, è una catastrofe umana
e religiosa!
In Iraq sono giorni di dolore e sgomento dopo l’attentato compiuto domenica scorsa
e costato la vita a 58 persone, tra cui otto bambini, dieci donne e due sacerdoti.
A Baghdad oggi si sono tenute le esequie di padre Tha’ir Saad e di padre Wasim Boutros.
Il servizio di Amedeo Lomonaco:
I funerali
dei due sacerdoti si sono tenuti nella chiesa caldea di San Giuseppe, non lontano
da quella siro cattolica di Nostra Signora della Salvezza, teatro del brutale attentato
di domenica. Un attacco che poteva essere evitato. A renderlo noto sono oggi le autorità
irachene. Nei giorni scorsi, infatti, fonti di intelligence avevano rivelato che Al
Qaeda stava pianificando di attaccare delle chiese cristiane nel Paese arabo. Dall'Egitto
arriva, poi, la smentita di quanto asserito dai terroristi nelle loro rivendicazioni.
La Chiesa copta nega che donne convertite all'islam siano tenute prigioniere in monasteri
egiziani. ‘El Watani’, storico settimanale dei copti d'Egitto, precisa che le donne
menzionate nella rivendicazione “avevano lasciato le loro case per disaccordi familiari”.
“Non vi è stata da parte loro alcuna conversione all’islam" - hanno sostenuto le massime
autorità religiose musulmane. Le autorità irachene hanno inoltre chiuso gli uffici
di Baghdad e di Bassora della tivù Al-Baghdadia, contattata telefonicamente dai terroristi
durante il sequestro degli ostaggi. Il direttore e un altro dipendente sono stati
accusati di complicità con i terroristi per aver trasmesso le loro richieste. La Chiesa
irachena teme infine che l’attacco terroristico possa provocare un nuovo esodo di
cristiani dall’Iraq. Secondo stime fornite da diversi vescovi del Paese arabo, la
popolazione cristiana irachena oggi si attesta sulle 400 mila unità contro il milione
e mezzo del 2003. Su 65 monasteri e chiese presenti a Baghdad si calcola che circa
40 abbiano subito attentati.
A presiedere la cerimonia funebre dei due
sacerdoti assassinati domenica scorsa sono stati l’arcivescovo metropolita siro-cattolico
di Baghdad, mons. Athanase Mati Shaba Matoka e l’arcivescovo siro-cattolico di Mosul,
mons. Basile Georges Casmoussa, che ha più volte denunciato la mancanza di
un’adeguata protezione da parte delle autorità irachene. Ascoltiamo proprio mons.
Casmoussa, raggiunto telefonicamente in Iraq da Charles-François Brejon:
R. – Pour
notre communauté chrétienne, c’est vraiment une catastrophe: humaine … Per
la nostra comunità cristiana è una vera catastrofe, umana e religiosa! Questo porterà
il panico! Noi continuiamo a tendere la mano per il dialogo, per lavorare insieme,
per dimenticare il passato, per superare tutti i nostri dolori… Ma poi quando vediamo
che, soprattutto da parte delle autorità, non c’è un’adeguata risposta, ci sentiamo
senza alcuna protezione. Allora è necessario che le Nazioni Unite entrino in gioco:
oramai è indispensabile per salvaguardare questa piccola comunità!
D.
– Secondo lei, le autorità stanno facendo quanto possibile per difendere i cristiani?
R.
– Je crois qu’elles ne font pas tout ce qu’elle peuvent parce que si elles font … Credo
che non facciano tutto il possibile, perché se facessero il possibile dovrebbero innanzitutto
instaurare una politica di pace; è necessario poi che cambino le regole affinché ai
cristiani siano riconosciuti gli stessi diritti riconosciuti agli altri cittadini.
E’ inoltre necessario anche creare un progetto nazionale per costruire il Paese in
quanto Nazione e non per riconoscere un certo numero di seggi ad un’etnia, ad una
religione, ad un partito politico. Si preoccupano soltanto delle loro questioni politiche
e il popolo rimane abbandonato a se stesso!
D. – Di cosa hanno bisogno
le autorità irachene per proteggere i cristiani?
R. – Ils ont besoin
de s’unir pour former un gouvernement national, tout d’abord. … Prima di
tutto, devono unirsi per formare un governo di unità nazionale. Devono rendere sicure
le chiese, le comunità cristiane con leggi e con la presenza della polizia affinché
i cristiani possano ritrovare fiducia nel loro Paese e nel loro futuro. Le belle parole
e i bei discorsi non sono sufficienti! Sono sicuro che nei prossimi giorni riceveremo
una pioggia di dichiarazioni e di parole consolatrici … (g.f.)
L’attentato
compiuto domenica scorsa nella cattedrale siro-cattolica di Baghdad è stato fermamente
condannato dalla comunità internazionale. Il Consiglio mondiale delle Chiese parla
di “atto criminale di terrorismo”. Parole a cui fanno eco anche quelle del procuratore
caldeo a Roma, mons. Philip Najim, intervistato da Amedeo Lomonaco:
R. – Questo
è un attentato barbaro, diverso dagli altri attentati. Questa volta gli estremisti
sono entrati in una chiesa dove la gente stava pregando. Sono innocenti attaccati
da persone che non conoscono il significato della preghiera, il significato di Dio
Creatore. Perciò nessuno può dire che questo sia stato compiuto in nome di una religione,
di una fede o di un Dio. Questo è un attentato contro l’umanità, contro la Chiesa,
contro la religione, contro la fede, contro la dignità dell’essere umano.
D.
– Un attentato feroce e duramente condannato da tutta la comunità irachena...
R.
– Condannato da tutta la comunità irachena perché è un attentato veramente disumano!
Non è una questione di fede! Certamente, l’intenzione è quella di creare il caos.
Ci sono forze oscure che sono entrate nel Paese soltanto per creare questa divisione
e per impedire il processo di pacificazione dell'Iraq. Io ho sentito ieri che c’erano
tantissimi musulmani che erano andati a donare il sangue per le vittime che sono state
ferite proprio nella chiesa. Gli estremisti sono stati condannati dagli islamici stessi:
da quell’Islam che conosce Dio, che conosce la fede, che conosce l’amore, che conosce
la carità!
D. – Come la comunità cristiana irachena potrà trovare la
forza di continuare a professare la fede, di continuare a professare la verità?
R.
– La comunità cristiana trova la forza soprattutto dopo che i nostri vescovi sono
tornati dall’ultimo Sinodo dei vescovi per il Medio Oriente, convocato da Benedetto
XVI; hanno parlato tantissimo, in particolare, della sofferenza della Chiesa irachena
in genere. Perciò continuano a dare la loro testimonianza, sicuramente con fatica,
con grande sofferenza ma, nonostante tutto, i sacerdoti rimarranno vicini ai cristiani:
la Chiesa sarà veramente presente nella loro vita! Ho sentito anche le testimonianze
di tantissimi fedeli che si trovavano per strada, davanti alla chiesa, e hanno detto:
“Non abbiamo altro che la nostra Chiesa, non abbiamo altro che i nostri sacerdoti!”.
I due sacerdoti vittime di questo attentato, con il loro sangue, danno ancora forza
a questa terra, che è la Terra di Abramo, la terra della pace, la terra dell’amore.
Continuano a dare la loro testimonianza! (g.f.)