La Chiesa commemora i fedeli defunti. La preghiera di Benedetto XVI sulle tombe dei
Papi
Il giorno in cui la Chiesa universale commemora solennemente i defunti vedrà, come
da tradizione, il Papa rendere omaggio ai suoi predecessori. Alle 18, Benedetto XVI
scenderà nelle Grotte Vaticane per un momento di preghiera in privato sulle tombe
dei Pontefici defunti. In questi anni, l’avvicinarsi di questo momento liturgico ha
permesso al Papa di riflettere sulla visione cristiana della morte e della Risurrezione.
Alessandro De Carolis ne ricorda alcuni passaggi signficativi:
Due abissi,
la morte e la fede in Cristo: la prima che scava nella mente umana alla difficile
ricerca di una logica che consoli, la seconda che scava nel cuore con la promessa
della Risurrezione. Di fronte a questa biforcazione interiore, accostarsi alla tomba
di un proprio caro può rinnovare uno sconfortante senso di perdita, o schiudere alla
speranza della vita che esiste oltre la vita. Benedetto XVI ha fermato ieri l’attenzione
dei credenti su questo mistero:
“La liturgia del 2 novembre e il
pio esercizio di visitare i cimiteri ci ricordano che la morte cristiana fa parte
del cammino di assimilazione a Dio e scomparirà quando Dio sarà tutto in tutti. La
separazione dagli affetti terreni è certo dolorosa, ma non dobbiamo temerla, perché
essa, accompagnata dalla preghiera di suffragio della Chiesa, non può spezzare il
legame profondo che ci unisce in Cristo”. (Angelus 1 novembre 2010)
Ma
che senso ha questo legame con Cristo quando si pensa alla morte, se a Cristo non
si pensa mai o quasi durante la vita e se la promessa di Dio dell’immortalità dell’anima
e del corpo per tanti vale più o meno come una bella e inconsistente “favola”?
“L’uomo
moderno l’aspetta ancora questa vita eterna, o ritiene che essa appartenga a una mitologia
ormai superata? In questo nostro tempo, più che nel passato, si è talmente assorbiti
dalle cose terrene, che talora riesce difficile pensare a Dio come protagonista della
storia e della nostra stessa vita”. (Udienza generale del 2 novembre 2005)
Dunque,
è stato in un’altra occasione l’appello di Benedetto XVI...
"E’ necessario
anche oggi evangelizzare la realtà della morte e della vita eterna, realtà particolarmente
soggette a credenze superstiziose e a sincretismi, perché la verità cristiana non
rischi di mischiarsi con mitologie di vario genere”. (Angelus del 2 novembre 2008)
E’
qui il grande paradosso dell’uomo contemporaneo, che ha largamente dismesso la spiritualità
cristiana e però finisce prima o poi per rannicchiarsi in qualche tipo di trascendenza
parallela, quando deve fare i conti con ciò che non può controllare: la vita che finisce,
la sua o quella di persone che ama. Non può farne a meno perché, ha affermato Benedetto
XVI, l’esistenza umana “per sua natura è protesa a qualcosa di più grande”:
“In
realtà, come già osservava sant’Agostino, tutti vogliamo la ‘vita beata’, la felicità.
Non sappiamo bene che cosa sia e come sia, ma ci sentiamo attratti verso di essa.
E’ questa una speranza universale, comune agli uomini di tutti i tempi e di tutti
luoghi. L’espressione ‘vita eterna’ vorrebbe dare un nome a questa attesa insopprimibile:
non una successione senza fine, ma l’immergersi nell’oceano dell’infinito amore, nel
quale il tempo, il prima e il dopo non esistono più. Una pienezza di vita e di gioia:
è questo che speriamo e attendiamo dal nostro essere con Cristo. (Angelus del 2 novembre
2008)
L’eternità, ha detto ancora ieri all’Angelus Benedetto XVI,
“non è un continuo susseguirsi di giorni del calendario, ma qualcosa come il momento
colmo di appagamento, in cui la totalità ci abbraccia e noi abbracciamo la totalità
dell’essere, della verità, dell’amore”. Quella totalità divenuta storia terrena e
promessa di cielo quando duemila anni fa la pietra è rotolata via dal sepolcro e Gesù
ne è riemerso con un messaggio che nessun uomo potrà mai promettere a un suo simile
e che il Papa ha espresso così:
“Sono risorto e ora sono sempre con
te, ci dice il Signore, e la mia mano ti sorregge. Ovunque tu possa cadere, cadrai
nelle mie mani e sarò presente persino alla porta della morte. Dove nessuno può più
accompagnarti e dove tu non puoi portare niente, là io ti aspetto per trasformare
per te le tenebre in luce”. (Angelus del 2 novembre 2008)