Ospedali religiosi italiani in difficoltà per i finanziamenti
Le istituzioni sanitarie di matrice religiosa sono una grande realtà dell’Italia.
Duecentosessantacinque soggetti, tra cui dieci istituti di ricovero a carattere scientifico
e 25 ospedali, tutti senza scopo di lucro. Stamani l’associazione che raggruppa queste
istituzioni, l’Aris, ha tenuto un convegno nel quadro della mostra “Vita Collettiva
percorsi”, in corso a Santo Spirito in Sassia a Roma fino a domenica. Alessandro
Guarasci ha intervistato il presidente dell’Aris, fratel Mario Bonora:
R. - Noi
vogliamo essere presenti nella sanità come Chiesa. La motivazione di fondo è di rendere
un servizio, un servizio che ha le sue radici nel Vangelo. Noi abbiamo sempre come
icona il Buon Samaritano: una dedizione totale al di là dell’aspetto economico, finanziario,
al servizio della persona, della persona intesa nella sua globalità, con tutte le
sue esigenze, perché l’ammalato resta persona.
D. – Viene apprezzata
poi dai malati questa impostazione?
R. – Dal mio punto di vista, viene
molto apprezzata perché le nostre strutture sono sempre piene e sono molto frequentate,
sono anche stimate – me lo permetta ...
D. – Secondo lei, vi sono anche
delle criticità da migliorare?
R. – Sono soprattutto di carattere finanziario.
Se lei pensa che dal ’94-’95 che non vengono aggiornate le tariffe - le tariffe stabilite
a Roma e riviste in sede regionale; lei pensi che il rinnovo dei contratti, i costi
di produzione – come si dice in linguaggio tecnico - non ce li hanno adeguati. Qualche
Regione ha tamponato in qualche modo, ma non ce li hanno adeguati. I rinnovi dei contratti
di lavoro per i quali purtroppo siamo in difficoltà con i sindacati, in questo momento,
non riusciamo più ad onorarli, perché le Regioni non solo non ci danno finanziamenti
specifici, ma stanno tagliando le attività, che poi sono la fonte delle nostre entrate.
Noi non diciamo di no al ridimensionamento, ma esso deve essere parziale, deve avere
dei tempi e dare la possibilità agli enti di riorganizzarsi un pochino.
D.
– Qualche preoccupazione dal federalismo fiscale?
R. – Direi di no,
perché la sanità - come tutti sanno - ormai è al 95% di competenza delle Regioni.
C’è il risvolto che se le Regioni non riescono a coprirle con il finanziamento statale
devono provvedere con interventi locali, quindi vuol dire aumentare le tasse.