2010-10-28 14:56:21

"Educare alla vita buona del Vangelo": pubblicati gli Orientamenti pastorali della Cei per il prossimo decennio


“Educare alla vita buona del Vangelo”: il titolo che la Chiesa italiana ha scelto per gli Orientamenti pastorali pubblicati oggi e riferiti al prossimo decennio 2010-2020. Il documento è suddiviso in cinque capitoli, oltre l’introduzione del cardinale Angelo Bagnasco, presidente dei vescovi italiani e, in appendice il discorso di Benedetto XVI all’ultima assemblea della Cei, il 27 maggio scorso. Roberta Gisotti ha intervistato mons. Domenico Pompili, direttore dell’Ufficio nazionale per comunicazioni sociali della Cei:RealAudioMP3

“Educare in un mondo che cambia”, titola il primo capitolo del documento. Si parte dai “nodi della cultura contemporanea”, che “vanno compresi e affrontati senza paura”, per arrivare “alle radici dell’emergenza educativa”. Mons. Pompili, quali sono questi nodi e come fare per capirli e non temerli?

R. – Direi che il nodo fondamentale è proprio quello di reagire ad una diffusa tristezza che sembra tagliare le gambe a qualsiasi proposta educativa. Si tratta per l’appunto di reagire a questa sorta di fatalismo, che sembra una riedizione del paganesimo e di comprendere che al contrario è possibile con la nostra libertà e con la nostra volontà crescere e realizzare compiutamente la vocazione di ciascuno.

D. - Il cardinale Bagnasco esorta le Chiese in Italia a crescere “nell’arte delicata e sublime dell’educazione”. Forse c’è stata da parte della Chiesa arrendevolezza, rispetto per esempio ai media, che quando non educano - e capita ormai raramente – diseducano, vanificando gli insegnamenti di famiglia e scuola?

R. – Credo che l’esortazione di cui parla il cardinale Bagnasco nella sua prefazione di orientamenti è giustificata dal fatto che siamo dentro ad un momento di profonda trasformazione e che, dunque, anche per la Chiesa è necessario riprendere consapevolezza della propria missione che ha una cifra esplicitamente educativa. Credo che, certamente, l’attenzione della Chiesa, al mondo dei media, oggi della post-medialità, sia sempre stata alta e credo che continuerà ad esserlo, tenendo conto del fatto che ormai è l’ambiente nel quale siamo immersi e col quale fare i conti.

D. – Ecco, il documento non parla espressamente in generale di media ma parla di "cultura digitale"?

R. - Per l’appunto. Perché - è ben noto ormai a tutti - non si tratta di trovarsi di fronte a degli strumenti o a dei semplici mezzi che potremmo padroneggiare più o meno bene ma di capire esattamente come questo ambiente, così profondamente connotato dai nuovi linguaggi, plasma la nostra coscienza, la nostra intelligenza, la nostra volontà e da questo punto di vista chiama in causa l’esercizio della nostra responsabilità. Come dice Benedetto XVI, dalle nuove tecnologie devono venir fuori delle nuove relazioni.

D. - L’ultimo capitolo del documento offre obiettivi e scelte prioritarie per una "vita buona". Che cosa si intende oggi per “vita buona”?

R. – Direi così, con una battuta, che la vita buona è l’esatto contrario della “dolce vita”. Sono passati 50 anni da quel film che, tra l’altro, causò un ampio dibattito anche all’interno della Chiesa e che intendeva presentare in maniera cifrata una sorta di china scivolosa verso cui la società italiana andava a collocarsi. La vita buona è precisamente l’assunzione di una percezione e cioè si tratta di vivere compiendo quel dono che è un progetto che c’è stato dato da Dio e che chiama in causa tutta la nostra persona, cuore e intelligenza, affettività e razionalità.







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