"Educare alla vita buona del Vangelo": pubblicati gli Orientamenti pastorali della
Cei per il prossimo decennio
“Educare alla vita buona del Vangelo”: il titolo che la Chiesa italiana ha scelto
per gli Orientamenti pastorali pubblicati oggi e riferiti al prossimo decennio 2010-2020.
Il documento è suddiviso in cinque capitoli, oltre l’introduzione del cardinale Angelo
Bagnasco, presidente dei vescovi italiani e, in appendice il discorso di Benedetto
XVI all’ultima assemblea della Cei, il 27 maggio scorso. Roberta Gisotti ha
intervistato mons. Domenico Pompili, direttore dell’Ufficio nazionale per comunicazioni
sociali della Cei:
“Educare
in un mondo che cambia”, titola il primo capitolo del documento. Si parte dai “nodi
della cultura contemporanea”, che “vanno compresi e affrontati senza paura”, per arrivare
“alle radici dell’emergenza educativa”. Mons. Pompili, quali sono questi nodi e come
fare per capirli e non temerli?
R. – Direi che il nodo fondamentale
è proprio quello di reagire ad una diffusa tristezza che sembra tagliare le gambe
a qualsiasi proposta educativa. Si tratta per l’appunto di reagire a questa sorta
di fatalismo, che sembra una riedizione del paganesimo e di comprendere che al contrario
è possibile con la nostra libertà e con la nostra volontà crescere e realizzare compiutamente
la vocazione di ciascuno.
D. - Il cardinale Bagnasco esorta le Chiese
in Italia a crescere “nell’arte delicata e sublime dell’educazione”. Forse c’è stata
da parte della Chiesa arrendevolezza, rispetto per esempio ai media, che quando non
educano - e capita ormai raramente – diseducano, vanificando gli insegnamenti di famiglia
e scuola?
R. – Credo che l’esortazione di cui parla il cardinale Bagnasco
nella sua prefazione di orientamenti è giustificata dal fatto che siamo dentro ad
un momento di profonda trasformazione e che, dunque, anche per la Chiesa è necessario
riprendere consapevolezza della propria missione che ha una cifra esplicitamente educativa.
Credo che, certamente, l’attenzione della Chiesa, al mondo dei media, oggi della post-medialità,
sia sempre stata alta e credo che continuerà ad esserlo, tenendo conto del fatto che
ormai è l’ambiente nel quale siamo immersi e col quale fare i conti.
D.
– Ecco, il documento non parla espressamente in generale di media ma parla di "cultura
digitale"?
R. - Per l’appunto. Perché - è ben noto ormai a tutti - non
si tratta di trovarsi di fronte a degli strumenti o a dei semplici mezzi che potremmo
padroneggiare più o meno bene ma di capire esattamente come questo ambiente, così
profondamente connotato dai nuovi linguaggi, plasma la nostra coscienza, la nostra
intelligenza, la nostra volontà e da questo punto di vista chiama in causa l’esercizio
della nostra responsabilità. Come dice Benedetto XVI, dalle nuove tecnologie devono
venir fuori delle nuove relazioni.
D. - L’ultimo capitolo del documento
offre obiettivi e scelte prioritarie per una "vita buona". Che cosa si intende oggi
per “vita buona”?
R. – Direi così, con una battuta, che la vita buona
è l’esatto contrario della “dolce vita”. Sono passati 50 anni da quel film che, tra
l’altro, causò un ampio dibattito anche all’interno della Chiesa e che intendeva presentare
in maniera cifrata una sorta di china scivolosa verso cui la società italiana andava
a collocarsi. La vita buona è precisamente l’assunzione di una percezione e cioè si
tratta di vivere compiendo quel dono che è un progetto che c’è stato dato da Dio
e che chiama in causa tutta la nostra persona, cuore e intelligenza, affettività e
razionalità.