In Francia oggi il via libera definitivo dell’Assemblea Nazionale al testo sulla riforma
delle pensioni, fortemente voluta dal presidente Sarkozy e contestata dai sindacati.
Il voto, però, all’indomani dell’approvazione da parte del Senato, rappresenta poco
più che una formalità. Il Partito Socialista all’opposizione ha annunciato il ricorso
al Consiglio costituzionale. I sindacati, invece, hanno confermato la nuova giornata
di mobilitazione per domani. Eugenio Bonanata ne ha parlato con Domenico
Quirico, corrispondente da Parigi per il quotidiano "La Stampa":
R. - Questa
giornata di lotta ulteriore, appare - diciamo - francamente un po’ metafisica, perché
non può portare più a nulla. Ormai, infatti, la legge c’è e non è che il governo la
può abrogare. Anche se il provvedimento non è ancora in funzione e quindi in teoria
potrebbe essere ancora sospeso, ma questo è un marchingegno costituzionale veramente
un po’ fantasioso. Queste nuove forme di lotta potrebbero diventare una cometa di
piccoli scioperi in settori particolari e ristretti dell’attività economica, ma cruciali
per la vita economica del Paese. La benzina sta tornando nelle stazioni di servizio,
ma fra un po’ non ce ne sarà più perché le raffinerie continuano a non essere aperte.
Potranno esserci degli scioperi - ad esempio - nei trasporti, dove c’è un sindacato
radicale molto, molto forte. C’è sempre, poi, la grande incognita degli studenti.
Questa settimana sono in vacanza per cui le loro possibilità di mobilitazione sono
assai ridotte, ma da lunedì tornano a scuola e sono abbastanza arrabbiati. In Francia
c’è un malessere giovanile molto forte, che va oltre la riforma delle pensioni e che
cerca semplicemente delle bandiere sotto cui allinearsi.
D. - Chi ha
vinto e chi ha perso in questa vicenda?
R. - Direi che sostanzialmente
non ha vinto nessuno. Nel senso che i sindacati non sono riusciti a far retrocedere
il governo: la legge è lì e i 62 anni sono lì. Anche se l’unità sindacale ha tenuto,
al di là - forse - delle stesse previsioni dei sindacati… Sarkozy non ha vinto, perché
esce "malmenato" da questa vicenda e con un favore popolare ridotto veramente al minimo:
è il presidente più impopolare della Quinta Repubblica. L’anno e mezzo che lo separa
dalle presidenziali sarà un vero e proprio calvario per lui; risalire la china è difficilissimo.
D
- Per altri versi è stata confermata la resistenza dei francesi nei confronti di una
riforma dettata dalla crisi…
R. - La difficoltà di riformare in questo
Paese è enorme. Di questo lo stesso Sarkozy ha dovuto rendersi conto: non è riuscito
di fatti a riformare praticamente nulla e questa è la prima riforma che porta - possiamo
dire con tanta fatica - a conclusione. Il vero problema era non tanto la pensione
a 60, a 62 o a 65 anni: il vero problema è sormontare questo rifiuto della Francia
di riconoscere le condizioni in cui oggi si trova nel mondo, nell’economia, nella
società, in Europa.
D. - Una difficoltà imprevista per la strategia
di Sarkozy…
R. - Il problema è - come dire - la decadenza e la crisi
della Francia che è iniziata prima di Sarkozy. E’ iniziata prima di Sarkozy e che
Sarkozy ha ereditato, ma che aveva promesso di fermare e addirittura di capovolgere.
Questo è un dato riconosciuto addirittura da alcuni dei consiglieri di Sarkozy ma
la crisi non era naturalmente nel conto nel momento in cui è diventato presidente.