2010-10-27 12:35:43

Condanna a morte di Tarek Aziz: no della Santa Sede e dell'Unione Europea


“La posizione della Chiesa cattolica sulla pena di morte è nota. Ci si augura quindi davvero che la sentenza contro Tarek Aziz non venga eseguita, proprio per favorire la riconciliazione e la ricostruzione della pace e della giustizia in Iraq dopo le grandi sofferenze attraversate”. E’ quanto ha affermato ieri il direttore della Sala Stampa vaticana, padre Federico Lombardi, dopo la sentenza di condanna a morte per impiccagione emessa dall’Alta Corte penale di Baghdad contro l'ex vicepremier iracheno e stretto collaboratore di Saddam Hussein. “Per quanto riguarda poi un possibile intervento umanitario – ha sottolineato padre Lombardi - la Santa Sede è solita adoperarsi non in forma pubblica, ma per le vie diplomatiche a sua disposizione”. Un netto “no” all’esecuzione capitale di Tarek Aziz è giunto anche dall’Unione Europea e dai vescovi iracheni. Massimiliano Menichetti ha intervistato Mario Marazziti, portavoce della Comunità di Sant’Egidio promotrice della moratoria mondiale contro la pena di morte:RealAudioMP3

R. – L’Iraq ha bisogno di abbassare il tono della violenza e di ritrovare ragioni per una riconciliazione nazionale. La condanna a morte di Tarek Aziz rischia di essere, a distanza di anni, la punizione di un protagonista, dove chi vince scarica su uno dei colpevoli, o ritenuti tali nel passato, tutte le colpe. Qualunque possa essere l’accusa a Tarek Aziz, l’Iraq ha bisogno di meno morte. In questo modo, purtroppo, la Corte, che ha deciso questa sentenza terribile, rischia di mettere l’Iraq ancora più lontano dal percorso che stanno seguendo i Paesi del mondo, che stanno cercando di liberarsi dalla pena capitale.

D. – La condanna a morte nei confronti di Tarek Aziz e di altri due fedelissimi al regime, immediatamente accende il ricordo dell’esecuzione di Saddam Hussein, nel 2006: un’uccisione che non si riuscì a fermare. Adesso ci sono speranze diverse?

R. – Io mi auguro che il governo iracheno, che ha la possibilità, possa commutare questa sentenza. Dentro al governo iracheno siamo a conoscenza della presenza di ministri che non sono favorevoli alla pena di morte. Mi sono trovato io personalmente a parlare con più di dieci direttori di carceri iracheni che non ne possono più di morte. Io credo che si potrebbe interpretare un nuovo corso, proprio non infliggendo questa pena capitale, che non aggiunge nulla e non rende più sicuro il Paese. Sarebbe un’occasione, un segnale gigantesco dato al mondo e allo stesso Paese: non bisogna più uccidere nessuno. Dobbiamo veramente lavorare per difendere la vita in ogni circostanza e lo Stato non si può mai abbassare al livello di chi uccide.







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