Benedict al XVI-lea: "O singură familie umană", tema Mesajului pentru Ziua Mondială
a Migrantului şi Refugiatului 2011 (text în italiană, franceză şi engleză)
(RV - 26 octombrie 2010) Mesajul începe aşa: Iubiţi fraţi şi surori, Ziua
Mondială a Migrantului şi Refugiatului oferă oportunitatea, pentru toată Biserica,
de a reflecta asupra unei teme legate de fenomenul crescând al migraţiei, de a se
ruga pentru ca inimile să se deschidă spre primirea creştină şi de a lucra pentru
ca să crească în lume dreptatea şi caritatea, coloane pentru construirea unei păci
autentice şi durabile. „Aşa cum v-am iubit eu v-am iubit, aşa să vă iubiţi şi voi
unii pe alţii” (In 13,34), este invitaţia pe care Domnul ne-o adresează cu
tărie şi ne reînnoieşte în mod constant: dacă Tatăl ne cheamă să fim fii iubiţi în
fiul său preaiubit, ne cheamă şi să ne recunoaştem toţi ca fraţi în Cristos.
Din
această legătură profundă dintre fiinţele umane ia naştere tema pe care am ales-o
anul acesta pentru reflecţia noastră: „O singură familie umană”, o singură familie
de fraţi şi surori în societăţi ce devin din ce în ce mai multietnice şi interculturale,
unde chiar persoane de diferite religii sunt mânate la dialog, pentru ca să se poată
găsi o convieţuire senină şi rodnică în respectul diferenţelor legitime. Conciliul
Vatican II afirmă că „toate popoarele alcătuiesc o singură comunitate; au o singură
origine căci Dumnezeu a rânduit tot neamul omenesc să locuiască pe toată faţa pământului
(Cf Fap 17,26); au, de asemenea, un singur scop ultim, pe Dumnezeu, a cărui
providenţă, ale cărui dovezi de bunătate şi plan de mântuire îi îmbrăţişează pe toţi”
(Declaraţia Nostra atetate, 1). Astfel, noi „nu trăim unii alături de alţii
în mod întâmplător; toţi parcurgem unul şi acelaşi drum ca oameni şi, în consecinţă,
ca fraţi şi surori” (Mesaj pentru Ziua Mondială a Păcii 2008, 6).
Calea
este aceeaşi, cea a vieţii, da situaţiile pe care le traversăm în acest parcurs sunt
diferite: mulţi trebuie să înfrunte experienţa dificilă a migraţiei, în diferitele
sale expresii: interne sau internaţionale, permanente sau sezoniere, economice sau
politice, voluntare sau forţate. În cazuri felurite plecarea din propria ţară este
determinată de diferite forme de persecuţie, astfel că fuga devine necesară...........................................(
şi continuă).
Italiană:
Cari Fratelli e
Sorelle, la Giornata Mondiale del Migrante e del Rifugiato offre l'opportunità,
per tutta la Chiesa,di riflettere su un tema legato al crescente fenomeno della migrazione,
di pregare affinché i cuori si aprano all'accoglienza cristiana e di operare perché
crescano nel mondo la giustizia e la carità, colonne per la costruzione di una
pace autentica e duratura. "Come io ho amato voi, così amatevi anche voi gli uni gli
altri" (Gv 13,34) è l'invito che il Signore ci rivolge con forza e ci rinnova costantemente:
se il Padre ci chiama ad essere figli amati nel suo Figlio prediletto, ci chiama anche
a riconoscerci tutti come fratelli in Cristo. Da questo legame profondo tra tutti
gli esseri umani nasce il tema che ho scelto quest'anno per la nostra riflessione:
"Una sola famiglia umana", una sola famiglia di fratelli e sorelle in società che
si fanno sempre più multietniche e interculturali, dove anche le persone di varie
religioni sono spinte al dialogo, perché si possa trovare una serena e fruttuosa convivenza
nel rispetto delle legittime differenze. Il Concilio Vaticano II afferma che "tutti
i popoli costituiscono una sola comunità. Essi hanno una sola origine poiché Dio ha
fatto abitare l'intero genere umano su tutta la faccia della terra (cfr At 17,26);
essi hanno anche un solo fine ultimo, Dio, del quale la provvidenza, la testimonianza
di bontà e il disegno di salvezza si estendono a tutti" (Dich. Nostra aetate, 1).
Così, noi "non viviamo gli uni accanto agli altri per caso; stiamo tutti percorrendo
uno stesso cammino come uomini e quindi come fratelli e sorelle" (Messaggio per la
Giornata Mondiale della Pace 2008, 6).
La strada è la stessa, quella della
vita, ma le situazioni che attraversiamo in questo percorso sono diverse: molti devono
affrontare la difficile esperienza della migrazione, nelle sue diverse espressioni:
interne o internazionali, permanenti o stagionali, economiche o politiche, volontarie
o forzate. In vari casi la partenza dal proprio Paese è spinta da diverse forme di
persecuzione, così che la fuga diventa necessaria. Il fenomeno stesso della globalizzazione,
poi, caratteristico della nostra epoca, non è solo un processo socio-economico, ma
comporta anche "un'umanità che diviene sempre più interconnessa", superando confini
geografici e culturali. A questo proposito, la Chiesa non cessa di ricordare che il
senso profondo di questo processo epocale e il suo criterio etico fondamentale sono
dati proprio dall'unità della famiglia umana e dal suo sviluppo nel bene (cfr Benedetto
XVI, Enc. Caritas in veritate, 42). Tutti, dunque, fanno parte di una sola famiglia,
migranti e popolazioni locali che li accolgono, e tutti hanno lo stesso diritto ad
usufruire dei beni della terra, la cui destinazione è universale, come insegna la
dottrina sociale della Chiesa. Qui trovano fondamento la solidarietà e la condivisione. "In
una società in via di globalizzazione, il bene comune e l'impegno per esso non possono
non assumere le dimensioni dell'intera famiglia umana, vale a dire della comunità
dei popoli e delle Nazioni, così da dare forma di unità e di pace alla città dell'uomo,
e renderla in qualche misura anticipazione prefiguratrice della città senza barriere
di Dio" (Benedetto XVI, Enc. Caritas in veritate, 7). È questa la prospettiva con
cui guardare anche la realtà delle migrazioni.
Infatti, come già osservava
il Servo di Dio Paolo VI, "la mancanza di fraternità tra gli uomini e tra i popoli"
è causa profonda del sottosviluppo (Enc. Populorum progressio, 66) e - possiamo aggiungere
- incide fortemente sul fenomeno migratorio. La fraternità umana è l'esperienza, a
volte sorprendente, di una relazione che accomuna, di un legame profondo con l'altro,
differente da me, basato sul semplice fatto di essere uomini. Assunta e vissuta responsabilmente,
essa alimenta una vita di comunione e condivisione con tutti, in particolare con i
migranti; sostiene la donazione di sé agli altri, al loro bene, al bene di tutti,
nella comunità politica locale, nazionale e mondiale.
Il Venerabile Giovanni
Paolo II, in occasione di questa stessa Giornata celebrata nel 2001, sottolineò che
"[il bene comune universale] abbraccia l'intera famiglia dei popoli, al di sopra di
ogni egoismo nazionalista. È in questo contesto che va considerato il diritto ad emigrare.
La Chiesa lo riconosce ad ogni uomo, nel duplice aspetto di possibilità di uscire
dal proprio Paese e possibilità di entrare in un altro alla ricerca di migliori condizioni
di vita" (Messaggio per la Giornata Mondiale delle Migrazioni 2001, 3; cfr Giovanni
XXIII, Enc. Mater et Magistra, 30; Paolo VI, Enc. Octogesima adveniens, 17). Al tempo
stesso, gli Stati hanno il diritto di regolare i flussi migratori e di difendere le
proprie frontiere, sempre assicurando il rispetto dovuto alla dignità di ciascuna
persona umana. Gli immigrati, inoltre, hanno il dovere di integrarsi nel Paese di
accoglienza, rispettandone le leggi e l'identità nazionale. "Si tratterà allora di
coniugare l'accoglienza che si deve a tutti gli esseri umani, specie se indigenti,
con la valutazione delle condizioni indispensabili per una vita dignitosa e pacifica
per gli abitanti originari e per quelli sopraggiunti" (Giovanni Paolo II, Messaggio
per la Giornata Mondiale della Pace 2001, 13).
In questo contesto, la presenza
della Chiesa, quale popolo di Dio in cammino nella storia in mezzo a tutti gli altri
popoli, è fonte di fiducia e di speranza. La Chiesa, infatti, è "in Cristo sacramento,
ossia segno e strumento dell'intima unione con Dio e dell'unità di tutto il genere
umano" (Conc. Ecum. Vat. II, Cost. dogm. Lumen gentium, 1); e, grazie all'azione in
essa dello Spirito Santo, "gli sforzi intesi a realizzare la fraternità universale
non sono vani" (Idem, Cost. past. Gaudium et spes, 38). È in modo particolare la santa
Eucaristia a costituire, nel cuore della Chiesa, una sorgente inesauribile di comunione
per l'intera umanità. Grazie ad essa, il Popolo di Dio abbraccia "ogni nazione, tribù,
popolo e lingua" (Ap 7,9) non con una sorta di potere sacro, ma con il superiore servizio
della carità. In effetti, l'esercizio della carità, specialmente verso i più poveri
e deboli, è criterio che prova l'autenticità delle celebrazioni eucaristiche (cfr
Giovanni Paolo II, Lett. ap. Mane nobiscum Domine, 28). Alla luce del tema "Una
sola famiglia umana", va considerata specificamente la situazione dei rifugiati e
degli altri migranti forzati, che sono una parte rilevante del fenomeno migratorio.
Nei confronti di queste persone, che fuggono da violenze e persecuzioni, la Comunità
internazionale ha assunto impegni precisi. Il rispetto dei loro diritti, come pure
delle giuste preoccupazioni per la sicurezza e la coesione sociale, favoriscono una
convivenza stabile ed armoniosa. Anche nel caso dei migranti forzati la solidarietà
si alimenta alla “riserva” di amore che nasce dal considerarci una sola famiglia umana
e, per i fedeli cattolici, membri del Corpo Mistico di Cristo: ci troviamo infatti
a dipendere gli uni dagli altri, tutti responsabili dei fratelli e delle sorelle in
umanità e, per chi crede, nella fede. Come già ebbi occasione di dire, “accogliere
i rifugiati e dare loro ospitalità è per tutti un doveroso gesto di umana solidarietà,
affinché essi non si sentano isolati a causa dell’intolleranza e del disinteresse”
(Udienza Generale del 20 giugno 2007: Insegnamenti II, 1 (2007), 1158). Ciò significa
che quanti sono forzati a lasciare le loro case o la loro terra saranno aiutati a
trovare un luogo dove vivere in pace e sicurezza, dove lavorare e assumere i diritti
e doveri esistenti nel Paese che li accoglie, contribuendo al bene comune, senza dimenticare
la dimensione religiosa della vita. Un particolare pensiero, sempre accompagnato dalla
preghiera, vorrei rivolgere infine agli studenti esteri e internazionali, che pure
sono una realtà in crescita all’interno del grande fenomeno migratorio. Si tratta
di una categoria anche socialmente rilevante in prospettiva del loro rientro, come
futuri dirigenti, nei Paesi di origine. Essi costituiscono dei "ponti" culturali ed
economici tra questi Paesi e quelli di accoglienza, e tutto ciò va proprio nella direzione
di formare "una sola famiglia umana". È questa convinzione che deve sostenere l'impegno
a favore degli studenti esteri e accompagnare l'attenzione per i loro problemi concreti,
quali le ristrettezze economiche o il disagio di sentirsi soli nell'affrontare un
ambiente sociale e universitario molto diverso, come pure le difficoltà di inserimento.
A questo proposito, mi piace ricordare che "appartenere ad una comunità universitaria
significa stare nel crocevia delle culture che hanno plasmato il mondo moderno" (Giovanni
Paolo II, Ai Vescovi Statunitensi delle Provincie ecclesiastiche di Chicago, Indianapolis
e Milwaukee in visita "ad limina", 30 maggio 1998, 6: Insegnamenti XXI,1 [1998], 1116).
Nella scuola e nell'università si forma la cultura delle nuove generazioni: da queste
istituzioni dipende in larga misura la loro capacità di guardare all'umanità come
ad una famiglia chiamata ad essere unita nella diversità.
Cari fratelli e
sorelle, il mondo dei migranti è vasto e diversificato. Conosce esperienze meravigliose
e promettenti, come pure, purtroppo, tante altre drammatiche e indegne dell'uomo e
di società che si dicono civili. Per la Chiesa, questa realtà costituisce un segno
eloquente dei nostri tempi, che porta in maggiore evidenza la vocazione dell'umanità
a formare una sola famiglia, e, al tempo stesso, le difficoltà che, invece di unirla,
la dividono e la lacerano. Non perdiamo la speranza, e preghiamo insieme Dio, Padre
di tutti, perché ci aiuti ad essere, ciascuno in prima persona, uomini e donne capaci
di relazioni fraterne; e, sul piano sociale, politico ed istituzionale, si accrescano
la comprensione e la stima reciproca tra i popoli e le culture. Con questi auspici,
invocando l'intercessione di Maria Santissima Stella maris, invio di cuore a tutti
la Benedizione Apostolica, in modo speciale ai migranti ed ai rifugiati e a quanti
operano in questo importante ambito.
Da Castel Gandolfo, 27 settembre 2010 BENEDICTUS
PP. XVI
Franceză:
Chers frères
et soeurs, La Journée mondiale du migrant et du réfugié offre l’occasion, pour
toute l’Eglise, de réfléchir sur un thème lié au phénomène croissant de la migration,
de prier afin que les coeurs s’ouvrent à l’accueil chrétien et d’oeuvrer afin que
croissent dans le monde la justice et la charité, piliers de l’édification d’une
paix authentique et durable. «Comme je vous ai aimés, vous aussi, aimez-vous les
uns les autres» (Jn 13, 34) est l’invitation que le Seigneur nous adresse avec force et
nous renouvelle constamment: si le Père nous appelle à être des fils bien-aimés dans
son Fils préféré, il nous appelle aussi à nous reconnaître tous comme frères dans
le Christ. De ce lien profond entre tous les êtres humains découle le thème que
j’ai choisi cette année pour notre réflexion: «Une seule famille humaine», une
seule famille de frères et soeurs dans des sociétés qui deviennent toujours plus
multiethniques et interculturelles, où les personnes de diverses religions aussi
sont encouragées au dialogue, afin que l’on puisse parvenir à une coexistence sereine
et fructueuse dans le respect des différences légitimes. Le Concile Vatican II
affirme que «tous les peuples forment, en effet, une seule communauté; ils ont une
seule origine, puisque Dieu a fait habiter tout le genre humain sur toute la face
de la terre (cf. Ac 17, 26); ils ont aussi une seule fin dernière, Dieu, dont la
providence, les témoignages de bonté et les desseins de salut s’étendent à tous»
(Déclaration Nostra aetate, n. 1). Ainsi, «nous ne vivons pas les uns à côté des
autres par hasard; nous parcourons tous un même chemin comme hommes et donc comme
frères et soeurs» (Message pour la Journée mondiale de la Paix 2008, n. 6). Le
chemin est le même, celui de la vie, mais les situations que nous traversons sur ce parcours
sont différentes: beaucoup de personnes doivent affronter l’expérience difficile de
la migration, dans ses différentes expressions: intérieures ou internationales,
permanentes ou saisonnières, économiques ou politiques, volontaires ou forcées.
Dans divers cas, le départ de son propre pays est provoqué par différentes formes
de persécutions, de sorte que la fuite devient nécessaire. De plus, le phénomène
même de la mondialisation, caractéristique de notre époque, n’est pas seulement
un processus socio-économique, mais comporte également «une humanité qui devient
de plus en plus interconnectée», dépassant les frontières géographiques et culturelles. A
ce propos, l’Eglise ne cesse de rappeler que le sens profond de ce processus historique
et son critère éthique fondamental découlent précisément de l’unité de la famille
humaine et de son développement dans le bien (cf. Benoît XVI, Enc. Caritas in veritate,
n. 42). Tous, appartiennent donc à une unique famille, migrants et populations
locales qui les accueillent, et tous ont le même droit de bénéficier des biens
de la terre, dont la destination est universelle, comme l’enseigne la doctrine
sociale de l’Eglise. C’est ici que trouvent leur fondement la solidarité et le
partage. «Dans une société en voie de mondialisation, le bien commun et l’engagement
en sa faveur ne peuvent pas ne pas assumer les dimensions de la famille humaine
tout entière, c’est-à-dire de la communauté des peuples et des Nations, au point
de donner forme d’unité et de paix à la cité des hommes, et d’en faire, en quelque
sorte, la préfiguration anticipée de la cité sans frontières de Dieu» (Benoît XVI,
Enc. Caritas in veritate, n. 7). Telle est la perspective dans laquelle il faut considérer
également la réalité des migrations. En effet, comme l’observait déjà le Serviteur
de Dieu Paul VI, «le manque de fraternité entre les hommes et entre les peuples»
est la cause profonde du sous-développement (Enc. Populorum progressio, n. 66)
et — pouvons-nous ajouter — il influe fortement sur le phénomène migratoire. La
fraternité humaine est l’expérience, parfois surprenante, d’une relation qui rapproche,
d’un lien profond avec l’autre, différent de moi, fondé sur le simple fait d’être
des hommes. Assumée et vécue de façon responsable, elle alimente une vie de communion
et de partage avec tous, en particulier avec les migrants; elle soutient le don
de soi aux autres, en vue de leur bien, du bien de tous, dans la communauté politique
locale, nationale et mondiale. Le vénérable Jean-Paul II, à l’occasion de cette
même journée célébrée en 2001, souligna que «[le bien commun universel] englobe
toute la famille des peuples, au-dessus de tout égoïsme nationaliste. C'est dans
ce contexte qu'il faut considérer le droit à émigrer. L’Eglise reconnaît ce droit
à tout homme, sous son double aspect: possibilité de sortir de son pays et possibilité
d'entrer dans un autre pays à la recherche de meilleures conditions de vie» (Message
pour la Journée mondiale des migrations 2001, n. 3; cf. Jean XXIII, Enc. Mater
et Magistra, n. 30; Paul VI, Enc. Octogesima adveniens, n. 17). Dans le même temps,
les Etats ont le droit de réglementer les flux migratoires et de défendre leurs
frontières, en garantissant toujours le respect dû à la dignité de chaque personne
humaine. En outre, les immigrés ont le devoir de s’intégrer dans le pays d’accueil,
en respectant ses lois et l’identité nationale. «Il faudra alors concilier l'accueil
qui est dû à tous les êtres humains, spécialement aux indigents, avec l'évaluation
des conditions indispensables à une vie digne et pacifique pour les habitants originaires
du pays et pour ceux qui viennent les rejoindre» (Jean-Paul II, Message pour la
Journée mondiale de la paix 2001, n. 13). Dans ce contexte, la présence de l’Eglise
comme peuple de Dieu en chemin dans l’histoire parmi tous les autres peuples, est
une source de confiance et d’espérance. En effet, l’Eglise est «dans le Christ,
en quelque sorte le sacrement, c’est-à-dire à la fois le signe et le moyen de l’union
intime avec Dieu et de l’unité de tout le genre humain» (Conc. OEcum. Vatican II,
Const. dogm. Lumen gentium, n. 1); et, grâce à l’action de l’Esprit Saint en elle,
«l’effort qui tend à instaurer une fraternité universelle n’est pas vain» (ibid.,
Const. apost. Gaudium et spes, n. 38). C’est de façon particulière la sainte Eucharistie
qui constitue, dans le coeur de l’Eglise, une source inépuisable de communion pour
l’humanité tout entière. Grâce à elle, le Peuple de Dieu embrasse «toutes nations,
races, peuples et langues» (Ap 7, 9) non pas à travers une sorte de pouvoir sacré,
mais à travers le service supérieur de la charité. En effet, l’exercice de la charité, en
particulier à l’égard des plus pauvres et faibles, est un critère qui prouve l’authenticité
des célébrations eucharistiques (cf. Jean-Paul II, Lett. apost. Mane nobiscum Domine,
n. 28). C’est à la lumière du thème «une seule famille», qu’il faut considérer
de façon spécifique la situation des réfugiés et des autres migrants forcés, qui
représentent une part importante du phénomène migratoire. A l’égard de ces personnes,
qui fuient les violences et les persécutions, la Communauté internationale a pris
des engagements précis. Le respect de leurs droits, ainsi que des justes préoccupations
pour la sécurité et la cohésion sociale, favorisent une coexistence stable et harmonieuse. Dans
le cas des migrants forcés également, la solidarité se nourrit de la «réserve» d’amour qui
naît du fait de se considérer comme une seule famille humaine et, pour les fidèles catholiques,
membres du Corps mystique du Christ: nous dépendons en effet tous les uns des autres,
nous sommes tous responsables de nos frères et soeurs en humanité, et, pour ceux qui croient,
dans la foi. Comme j’ai déjà eu l’occasion de le dire, «accueillir les réfugiés et
leur accorder l'hospitalité représente pour tous un geste juste de solidarité humaine,
afin que ces derniers ne se sentent pas isolés à cause de l'intolérance et du manque
d'intérêt» (Audience générale, 20 juin 2007: Insegnamenti II, 1 (2007), 1158).
Cela signifie qu’il faudra aider ceux qui sont contraints de quitter leurs maisons
ou leur terre à trouver un lieu où ils pourront vivre dans la paix et la sécurité,
travailler et assumer les droits et les devoirs existant dans le pays qui les accueille,
en contribuant au bien commun, sans oublier la dimension religieuse de la vie. Je
voudrais adresser enfin une pensée particulière, toujours accompagnée par la prière,
aux étudiants étrangers et internationaux, qui représentent également une réalité
en croissance au sein du grand phénomène migratoire. Il s’agit d’une catégorie
qui revêt elle aussi une importance sociale, dans la perspective de leur retour,
en tant que futurs dirigeants, dans leurs pays d’origine. Ils constituent des «ponts
culturels» et économiques entre ces pays et ceux d’accueil, et tout cela va précisément
dans la direction de former «une seule famille humaine». C’est cette conviction qui
doit soutenir l’engagement en faveur des étudiants étrangers et accompagner l’attention
pour leurs problèmes concrets, comme les difficultés financières ou la crainte
se sentir seul pour affronter un milieu social et universitaire très différent,
ainsi que les difficultés d’insertion. A ce propos, je voudrais rappeler qu’«appartenir
à une communauté universitaire signifie être au carrefour des cultures qui ont
façonné le monde moderne» (Jean-Paul II, discours au évêques des Etats-Unis des
provinces ecclésiastique de Chicago, Indianapolis et Milwaukee, en visite «ad limina
Apostolorum», 30 mai 1998, 6: Insegnamenti XXI, 1 [1998], 1116). C’est à l’école et
à l’Université que se forme la culture des nouvelles générations: de ces institutions
dépend dans une large mesure leur capacité à considérer l’humanité comme une famille
appelée à être unie dans la diversité. Chers frères et soeurs, le monde des
migrants est vaste et diversifié. Il est constitué d’expériences merveilleuses
et prometteuses, ainsi que, malheureusement, de nombreuses autres, dramatiques
et indignes de l’homme et de sociétés qui se qualifient de civiles. Pour l’Eglise, cette
réalité constitue un signe éloquent de notre époque, qui souligne de façon encore
plus évidente la vocation de l’humanité à former une seule famille et, dans le
même temps, les difficultés qui, au lieu de l’unir, la divisent et la déchirent.
Ne perdons pas l’espérance et prions ensemble Dieu, Père de tous, afin qu’il nous
aide à être, chacun en première personne, des hommes et des femmes capables de
relations fraternelles; et, sur le plan social, politique et institutionnel, afin
que s’accroissent la compréhension et l’estime réciproques entre les peuples et
les cultures. Avec ces voeux, en invoquant l’intercession de la Très Sainte Vierge
Marie Stella Maris, j’envoie de tout coeur à tous une Bénédiction apostolique,
de façon particulière aux migrants et aux réfugiés et à tous ceux qui oeuvrent
dans cet important domaine. De Castel Gandolfo, le 27 septembre 2010 BENEDICTUS
PP. XVI
Engleză:
Dear Brothers and Sisters, The World
Day of Migrants and Refugees offers the whole Church an opportunity to reflect on
a theme linked to the growing phenomenon of migration, to pray that hearts may open
to Christian welcome and to the effort to increase in the world justice and charity,
pillars on which to build an authentic and lasting peace. “As I have loved you,
so you also should love one another” (Jn 13:34), is the invitation that the Lord
forcefully addresses to us and renews us constantly: if the Father calls us to
be beloved children in his dearly beloved Son, he also calls us to recognize each
other as brothers and sisters in Christ. This profound link between all human beings
is the origin of the theme that I have chosen for our reflection this year: “One
human family”, one family of brothers and sisters in societies that are becoming
ever more multiethnic and intercultural, where also people of various religions are
urged to take part in dialogue, so that a serene and fruitful coexistence with respect
for legitimate differences may be found. The Second Vatican Council affirms that
“All peoples are one community and have one origin, because God caused the whole
human race to dwell on the face of the earth (cf. Acts 17:26); they also have one
final end, God” (Message for the World Day of Peace, 2008, 1). “His providence,
His manifestations of goodness, His saving design extend to all men” (Declaration
Nostra aetate, 1). Thus, “We do not live alongside one another purely by chance;
all of us are progressing along a common path as men and women, and thus as brothers
and sisters” (Message for the World Day of Peace, 2008, 6). The road is the same,
that of life, but the situations that we pass through on this route are different:
many people have to face the difficult experience of migration in its various forms: internal
or international, permanent or seasonal, economic or political, voluntary or forced.
In various cases the departure from their Country is motivated by different forms
of persecution, so that escape becomes necessary. Moreover, the phenomenon of globalization
itself, characteristic of our epoch, is not only a social and economic process,
but also entails “humanity itself [that] is becoming increasingly interconnected”,
crossing geographical and cultural boundaries. In this regard, the Church does
not cease to recall that the deep sense of this epochal process and its fundamental
ethical criterion are given by the unity of the human family and its development
towards what is good (cf. Benedict XVI, Encyclical Caritas in veritate, 42). All, therefore,
belong to one family, migrants and the local populations that welcome them, and all have
the same right to enjoy the goods of the earth whose destination is universal, as
the social doctrine of the Church teaches. It is here that solidarity and sharing
are founded. “In an increasingly globalized society, the common good and the effort
to obtain it cannot fail to assume the dimensions of the whole human family, that
is to say, the community of peoples and nations, in such a way as to shape the
earthly city in unity and peace, rendering it to some degree an anticipation and
a prefiguration of the undivided city of God” (Benedict XVI, Encyclical Caritas
in veritate, 7). This is also the perspective with which to look at the reality of
migration. In fact, as the Servant of God Paul VI formerly noted, “the weakening of
brotherly ties between individuals and nations” (Encyclical Populorum progressio,
66), is a profound cause of underdevelopment and – we may add – has a major impact
on the migration phenomenon. Human brotherhood is the, at times surprising, experience
of a relationship that unites, of a profound bond with the other, different from
me, based on the simple fact of being human beings. Assumed and lived responsibly,
it fosters a life of communion and sharing with all and in particular with migrants;
it supports the gift of self to others, for their good, for the good of all, in
the local, national and world political communities. Venerable John Paul II, on
the occasion of this same Day celebrated in 2001, emphasized that “[the universal
common good] includes the whole family of peoples, beyond every nationalistic egoism.
The right to emigrate must be considered in this context. The Church recognizes
this right in every human person, in its dual aspect of the possibility to leave one’s country
and the possibility to enter another country to look for better conditions of life” (Message
for World Day of Migration 2001, 3; cf. John XXIII, Encyclical Mater et Magistra, 30;
Paul VI, Encyclical Octogesima adveniens, 17). At the same time, States have the right
to regulate migration flows and to defend their own frontiers, always guaranteeing
the respect due to the dignity of each and every human person. Immigrants, moreover,
have the duty to integrate into the host Country, respecting its laws and its national
identity. “The challenge is to combine the welcome due to every human being, especially
when in need, with a reckoning of what is necessary for both the local inhabitants
and the new arrivals to live a dignified and peaceful life” (World Day of Peace
2001, 13). In this context, the presence of the Church, as the People of God journeying
through history among all the other peoples, is a source of trust and hope. Indeed
the Church is “in Christ like a sacrament or as a sign and instrument both of a
very closely knit union with God and of the unity of the whole human race” (Second
Vatican Ecumenical Council, Dogmatic Constitution Lumen gentium, 1); and through
the action within her of the Holy Spirit, “the effort to establish a universal
brotherhood is not a hopeless one” (Idem, Pastoral Constitution Gaudium et spes, 38). It
is the Holy Eucharist in particular that constitutes, in the heart of the Church,
an inexhaustible source of communion for the whole of humanity. It is thanks to
this that the People of God includes “every nation, race, people, and tongue” (Rev
7:9), not with a sort of sacred power but with the superior service of charity.
In fact the exercise of charity, especially for the poorest and weakest, is the
criterion that proves the authenticity of the Eucharistic celebration (cf. John Paul II,
Apostolic Letter Mane nobiscum Domine, 28). The situation of refugees and of the
other forced migrants, who are an important part of the migration phenomenon, should
be specifically considered in the light of the theme “One human family”. For these
people who flee from violence and persecution the International Community has taken
on precise commitments. Respect of their rights, as well as the legitimate concern
for security and social coherence, foster a stable and harmonious coexistence. Also
in the case of those who are forced to migrate, solidarity is nourished by the “reserve” of
love that is born from considering ourselves a single human family and, for the Catholic faithful,
members of the Mystical Body of Christ: in fact we find ourselves depending on each other,
all responsible for our brothers and sisters in humanity and, for those who believe,
in the faith. As I have already had the opportunity to say, “Welcoming refugees
and giving them hospitality is for everyone an imperative gesture of human solidarity,
so that they may not feel isolated because of intolerance and disinterest” (General
Audience, 20 June 2007: Insegnamenti II, 1 [2007], 1158). This means that those
who are forced to leave their homes or their country will be helped to find a place
where they may live in peace and safety, where they may work and take on the rights
and duties that exist in the Country that welcomes them, contributing to the common
good and without forgetting the religious dimension of life. Lastly, I would like
to address a special thought, again accompanied by prayer, to the foreign and international
students who are also a growing reality within the great migration phenomenon. This,
as well, is a socially important category with a view to their return, as future leaders,
to their Countries of origin. They constitute cultural and economic “bridges” between
these Countries and the host Countries, and all this goes precisely in the direction
of forming “one human family”. This is the conviction that must support the commitment
to foreign students and must accompany attention to their practical problems, such
as financial difficulties or the hardship of feeling alone in facing a very different
social and university context, as well as the difficulties of integration. In this
regard, I would like to recall that “to belong to a university community… is to
stand at the crossroads of the cultures that have formed the modern world” (John
Paul II, To the Bishops of the United States of America of the Ecclesiastical Provinces
of Chicago, Indianapolis and Milwaukee on their ad limina visit, 30 May 1998, 6:
Insegnamenti XXI, 1 [1998] 1116). At school and at university the culture of the
new generations is formed: their capacity to see humanity as a family called to
be united in diversity largely depends on these institutions. Dear brothers
and sisters, the world of migrants is vast and diversified. It knows wonderful and
promising experiences, as well as, unfortunately, so many others that are tragic and unworthy
of the human being and of societies that claim to be civil. For the Church this reality constitutes
an eloquent sign of our times which further highlights humanity’s vocation to form one
family, and, at the same time, the difficulties which, instead of uniting it, divide
it and tear it apart. Let us not lose hope and let us together pray God, the Father
of all, to help us – each in the first person – to be men and women capable of
brotherly relationships and, at the social, political and institutional levels,
so that understanding and reciprocal esteem among peoples and cultures may increase.
With these hopes, as I invoke the intercession of Mary Most Holy, Stella Maris,
I cordially impart the Apostolic Blessing to all and, especially, to migrants and
refugees and to everyone who works in this important field. From Castel Gandolfo,
27 September 2010 BENEDICTUS PP. XVI