Verso il Sinodo 2012 sulla Nuova Evangelizzazione. Mons. Fisichella: riportare
Cristo all’uomo di oggi
Un Sinodo per la Nuova Evangelizzazione nel 2012: è l’importante annuncio fatto, ieri,
da Benedetto XVI al termine della Messa, che ha chiuso il Sinodo per il Medio Oriente.
Il Papa ha ribadito l’“urgente bisogno” di una nuova evangelizzazione soprattutto
“nei Paesi di antica cristianizzazione”. Alessandro Gisotti ha chiesto all’arcivescovo
Rino Fisichella, presidente del neonato dicastero per la “Nuova Evangelizzazione”
di raccontare con quali sentimenti ha accolto la notizia:
R. – Un duplice
sentimento. Innanzitutto, una grande meraviglia, un grande stupore per la rilevanza
che il Papa riserva a questo tema che diventa sempre più importante come nota stessa
del suo Pontificato. Quindi, una meraviglia unita a un senso di profonda gioia nel
sapere che il Papa, oltre ad avere istituito poche settimane fa il nuovo Pontificio
Consiglio per la Nuova Evangelizzazione, adesso pensi anche a coinvolgere tutto quanto
l’episcopato nel mondo per il Sinodo del 2012. E’ inevitabile, insieme a questo, anche
una profonda responsabilità. Noi stiamo nascendo adesso come Pontificio Consiglio
e il 2012 è dietro l’angolo. E’ inevitabile che il peso più grande sarà portato dalla
Segreteria del Sinodo; ciò non toglie che, proprio per la natura stessa dei contenuti
che verranno trattati, questo Pontificio Consiglio sarà direttamente coinvolto.
D.
– Ci saranno due anni di lavoro davvero intenso per questo grande evento ecclesiale.
C’è però qualcosa, in fondo, già una linea che lei intravede anche pensando al tema
scelto dal Papa per questo Sinodo?
R. – La linea l’ha già indicata il
Papa nella sua Lettera apostolica “Ubicumque et semper”. Il Papa lo ha indicato già
diverse volte in ripetuti interventi. Credo che ci siano alcuni punti fondamentali
che tornano alla mente e, in primo luogo, direi, l’esigenza di rinnovare tutto quello
che è la capacità della Chiesa di dover essere in grado di riportare ancora il Vangelo
di Gesù Cristo all’uomo di oggi. Per molti versi si è parlato anche di un deserto
in cui vive il nostro uomo contemporaneo: perché? Perché allontanatosi da Dio, non
ha trovato quello che cercava e, quindi, si è rinchiuso sempre di più in se stesso
e non è stato in grado di poter corrispondere ai suoi "desiderata". L’uomo ha bisogno
di Dio. Il Papa ancora una volta riporta in primo piano questa dimensione che è il
centro della sua vita. Come poi poterlo fare è sempre Benedetto XVI che lo ha ribadito
più volte: facendo comprendere nel giusto e corretto modo - in una società sempre
più secolarizzata - il tema del rapporto tra fede e ragione e, quindi, in che modo
una ragione coerente con se stessa può riuscire a raggiungere veramente l’obiettivo
della sua ricerca che è la verità. E da questa verità non si può escludere la presenza
di Dio nella propria vita. Ci sono, dunque, tanti elementi. Inevitabilmente c’è il
grande tema della secolarizzazione e da qui la Chiesa non è esclusa, tutt’altro. La
secolarizzazione non tocca solo la Chiesa; la secolarizzazione come fenomeno tocca
la cultura, in primo luogo e, quindi, tocca tutte quelle dimensioni di cui l’uomo
vive e, quindi, è tutto questo che fa della secolarizzazione un fenomeno che deve
essere guardato - come è stato fatto anche nel passato - e studiato con attenzione.
Adesso viene però anche il momento di dare una risposta positiva.
D.
– L’annuncio di un Sinodo dei vescovi, l’istituzione di un dicastero vaticano ad hoc.
Ma come i fedeli - lo chiedo al pastore - possono essere promotori di una nuova evangelizzazione
nei contesti della loro vita dalla famiglia al lavoro? Come stare - per riprendere
il titolo di un suo libro - nel mondo da credenti?
R. – E’ quanto emergerà
anche dallo stesso Sinodo dove, appunto, i pastori saranno presenti. Ci saranno anche
tanti laici e tante persone consacrate che saranno presenti e daranno il loro positivo
apporto ma è inevitabile che il laicato in prima persona è coinvolto in questo. Come
insegnava il Concilio Vaticano II, i laici giungono in quei luoghi dove solo loro
possono arrivare e, quindi, è inevitabile che la loro capacità di trasformare il tessuto
sociale, culturale, politico, è loro piena responsabilità. Dobbiamo essere capaci,
però, di trovare un denominatore comune; dobbiamo essere capaci di superare quella
condizione di frammentarietà di cui vive la cultura contemporanea. Penso che la grande
sfida alla fine sia proprio questa: come cercare di avere un contenuto unitario e,
quindi, anche dei contenuti che consentano di esprimere pur in linguaggi diversi,
in tradizioni diverse, in riti diversi, in discipline diverse, l’unico centro della
nostra fede, quella fede in Gesù morto e risorto.