Giornata missionaria mondiale: una coppia di sposi in missione nella Zambia
In occasione della Giornata missionaria mondiale vi proponiamo la testimonianza di
due giovani, che si sono uniti in matrimonio ieri e che hanno deciso di partire in
missione nella Zambia per tre anni. Raggiungeranno la cittadina di Chirundu tra qualche
mese, per condividere la vita e la fede con la popolazione locale africana, offrire
aiuto nelle strutture socio-sanitarie e lavorare come catechisti e animatori. Sono
Giuseppina e Giovanni Stanco di Roma. Al microfono di Tiziana Campisi, Giovanni
racconta in che modo è stato coinvolto dalla moglie nella decisione di partire in
missione:
R. – Da quando
ci siamo conosciuti con Giuseppina c’è stata sempre una grande passione per l’Africa,
in genere, per questo mondo bisognoso, che ci ha uniti. In me e in Giuseppina era
radicata fortemente una passione proprio per questo mondo, che poi in Giuseppina si
è sviluppata attraverso i suoi studi di antropologia. A me anche non dispiaceva affatto
questa sua passione e, quindi, l’ho appoggiata fortemente. Poi, lei, per lavorare
alla sua tesi di laurea ha deciso di andare in Africa otto mesi e, quindi, ha potuto
avere un primo approccio con questa realtà e io l’ho seguita da qui. Avevamo già deciso
di sposarci prima che partisse. Poi, quando è tornata aveva un forte desiderio di
tornarci ancora e io ho detto: "Non c’è nulla di male, anzi, è una cosa bella! Se
riuscissimo ad andare insieme sarebbe una cosa buona!".
D. – Come vi
siete preparati per affrontare la missione?
R. – Tramite il professore
che ha seguito Giuseppina per la tesi di laurea abbiamo preso contatti con alcune
associazioni e andando in giro un po’ per l’Italia, facendo colloqui, alla fine, abbiamo
trovato appoggio al nostro progetto in un’associazione a Milano. Lì, in effetti, ha
preso corpo il fatto che il partire insieme, in due, poteva essere un progetto incentrato
non solo a livello lavorativo, ma anche a livello di missione, animati da valori cristiani
che poi cambiano totalmente un viaggio in Africa, perché si passa dal vedere una realtà
come un lavoro a una realtà, invece, come condivisone e conoscenza di quel mondo dove
vai. Alla fine, il lavoro non diventa più l’obiettivo; l’obiettivo è diventare famiglia,
con loro. Ecco, questo c’è piaciuto subito. Poi, ovviamente, in quest'ultimo anno,
abbiamo concretizzato un po’ il progetto, la formazione.
D. – Che tipo
di formazione avete ricevuto?
R. – Siamo stati, adesso, un mese a Verona,
nel Cum, il Centro Unitario Missionario, fondazione per la cooperazione missionaria
fra le Chiese, per conoscere tutti gli aspetti di una missione in Africa. Vuol dire
conoscere i tempi, la cultura dell’Africa, senza giudicare un sistema diverso dal
nostro, ma prendendo coscienza del fatto che, venendo a contatto con quel sistema,
l’unico modo per condividere qualcosa è entrare a far parte di quel modo di pensare,
cioè essere capaci di dialogare veramente con le persone. Quindi, ci sono stati insegnati
quali aspetti antropologici, culturali, oltre che religiosi, incontreremo.
D.
– Tre anni nella Zambia, un matrimonio appena celebrato: come pensate di affrontare
questa esperienza?
R. – Come una famiglia che semplicemente va a vivere
in un altro posto. Non è certo un altro quartiere di Roma, però, in fondo, noi portiamo
il nostro essere lì: noi andiamo come famiglia. E speriamo di diventare anche parte
della parrocchia nella quale ci troveremo, nella parrocchia della piccola comunità
che incontreremo.
D. – Che cosa vi aspetta nella Zambia? Dove sarete
accolti, dove vi troverete, dove opererete?
R. – C’è una missione già
avviata a Chirundu da 40 anni, dove non mancano l’ospedale, la scuola, una parrocchia
avviata, un’attività parrocchiale. Ci impegneremo in particolare nell’affiancare gli
animatori del posto, quindi nelle attività sia di catechesi sia di educazione e, poi,
anche nell’ambito operativo della vita parrocchiale.
D. – Che cosa vi
sentireste di dire a delle coppie che stanno pensando di partire in missione?
R.
– Sicuramente di non andare pensando semplicemente di “fare”, ma innanzitutto di “essere”,
cioè di dare molta importanza al capire chi è l’altro.