2010-10-24 11:48:11

Accordo al G20 sulla riforma del Fondo monetario internazionale


Scarso progresso sul fronte della cosiddetta guerra dei cambi in seno al G20 finanziario che si è concluso ieri in Corea del Sud. Il vertice ha tuttavia raggiunto un accordo sulla riforma della governance del Fondo monetario internazionale, che prevede un peso maggiore delle economie emergenti negli organi direttivi dell’istituzione. Sul significato di questa intesa Eugenio Bonanata ha intervistato Riccardo Moro, docente di politiche dello sviluppo alla Statale di Milano e direttore del “Progetto Bridges”:RealAudioMP3

R. – Da un lato sicuramente vuol dire che i Paesi emergenti riescono a contare un po’ di più perché poi alla fine è il Board che decide e se nel Board c’è una persona in più dei Paesi emergenti, la presenza proprio alle riunioni conta. Ma credo che da un punto di vista geopolitico segni questo cambiamento, in atto da diverso tempo, e che la crisi finanziaria ha reso più evidente, cioè un ruolo più importante di Paesi come, certamente, la Cina ma anche il Brasile, l’India, ma non solo, il Sudafrica, altri Paesi dell’America Latina e dell’Asia, in un contesto internazionale in cui una volta i Paesi europei insieme ad America e Giappone decidevano tutto. La presidenza Obama in questo è una presidenza utile perché con la precedente amministrazione americana un passaggio di questo tipo sarebbe stato molto più faticoso - io credo - nei consessi internazionali.

D. – Professore, che cosa è successo sul fronte dei tassi di cambio? Altro tema centrale del vertice …

R. – E’ successo che nel comunicato finale è stata inserita una riga un po’ più esigente nei confronti della Cina, anche se la Cina non viene citata. E’ stato definito un auspicio a non eccedere sia in termini di esportazione che di importazione. Non è una decisione vera e propria. Segna il permanere di questa tensione tra cinesi e il resto del mondo per un riequilibrio un po’ più tranquillo dei propri ruoli commerciali. Non sappiamo come andrà a finire, sembra però segnare in qualche modo un lieve arretramento della Cina che sembra accettare l’idea di doversi rassegnare prima o poi a rivalutare la propria moneta.

D. – Proprio su questo fronte premono da sempre, più di tutti, gli americani?

R. – In questo momento la Cina con una moneta così bassa vende molto negli Stati Uniti. Gli Stati Uniti si trovano così spiazzati. Peraltro la Cina incassa dollari e con questi dollari acquista i titoli pubblici americani. Gli americani hanno un fortissimo debito pubblico e gli occorre assolutamente qualcuno che lo finanzi. E’, però, un abbraccio mortale nel senso che non può andare avanti con un continuo aumento dell’export cinese verso gli Stati Uniti perché gli Stati Uniti hanno bisogno di uscire dalla crisi con una ripresa e significa comprare più americano e meno cinese. Questo gli permetterebbe di autofinanziarsi il debito. Peraltro i cinesi non possono permettersi una guerra commerciale con gli Stati Uniti perché così esposti verso l’estero si troverebbero in grave crisi economica loro stessi.

D. – Al vertice si è ribadito comunque che la questione dei cambi rappresenta uno dei rischi maggiori per la ripresa mondiale, lo ha detto Mario Draghi …

R. – Questo è corretto perché le variazioni eccessive nell’andamento dei cambi comportano dei rischi di forte vulnerabilità. Una moneta che si svaluti o che si apprezzi troppo velocemente determina l’impossibilità di approvvigionarsi all’estero dei materiali, piuttosto che non di vendere all’estero i propri prodotti, e, dunque, di usufruirne in termini di reddito e di occupazione da parte del Paese che subisca queste variazioni monetarie.







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