Giornata missionaria mondiale. Il Papa: testimoniare l'amore nella comunità cristiana
è la chiave della missione
“La costruzione della comunione ecclesiale è la chiave della missione”. Titola così
il Messaggio di Benedetto XVI per la Giornata missionaria mondiale di quest’anno,
che viene celebrata questa domenica in tutto il mondo. La riflessione del Papa sollecita
i cristiani a “far vedere Gesù” in una società sempre più multietnica e multireligiosa,
in una rete di relazioni che riaffermino la forza del Vangelo come “fermento” di libertà
e di pace. Il servizio di Alessandro De Carolis:
Essere di
Cristo in un mondo che preferisce farne a meno è possibile solo se si ha una “fede
adulta”. Il Papa, nel suo Messaggio, non considera la tiepidezza di tanti sedicenti
cristiani una moneta da spendere nella realtà di oggi. Non si promuove un “umanesimo
nuovo”, scrive anzitutto, se chi parla di Cristo non è nutrito “dalla preghiera, dalla
meditazione della Parola di Dio e dallo studio delle verità di fede”. Se un cristiano
ha questo spessore – affermò l’estate scorsa – ciò che annuncerà sarà coerente:
“L’annuncio
sereno, chiaro e coraggioso del messaggio evangelico – anche nei momenti di persecuzione
– senza cedere né al fascino della moda, né a quello della violenza o dell’imposizione;
il distacco dalle preoccupazioni per le cose – il denaro e il vestito – confidando
nella Provvidenza del Padre; l’attenzione e cura in particolare verso i malati nel
corpo e nello spirito. (…) Queste sono le caratteristiche dell’attività missionaria
della Chiesa in ogni epoca”. (Messa a Sulmona, 4 luglio 2010)
Gli
“uomini del nostro tempo”, ribadisce Benedetto XVI nel Messaggio, anche se “non sempre
consapevolmente, chiedono ai credenti non solo di ‘parlare’ di Gesù, ma di ‘far vedere’
Gesù” in ogni angolo della terra”, specialmente ai giovani. Ciò significa, ribadì
in un Angelus di qualche anno fa, che ogni battezzato deve fare la sua parte:
“La
missione è dunque un cantiere nel quale c’è posto per tutti: per chi si impegna a
realizzare nella propria famiglia il Regno di Dio; per chi vive con spirito cristiano
il lavoro professionale; per chi si consacra totalmente al Signore; per chi segue
Gesù Buon Pastore nel ministero ordinato al Popolo di Dio; per chi, in modo specifico,
parte per annunciare Cristo a quanti ancora non lo conoscono”. (Angelus, 22 ottobre
2006)
Ogni comunità diocesana e parrocchiale, si legge nel Messaggio,
è chiamata “ad un rinnovamento integrale e ad aprirsi sempre più alla cooperazione
missionaria tra le Chiese, per promuovere l’annuncio del Vangelo nel cuore di ogni
persona, di ogni popolo, cultura, razza, nazionalità, ad ogni latitudine”. In quest’ottica,
l’esortazione che il Papa rivolse lo scorso anno alla diocesi di Roma ha una valenza
universale:
“Prodigatevi pertanto a ridar vita in ogni parrocchia,
come ai tempi della Missione cittadina, ai piccoli gruppi o centri di ascolto di fedeli
che annunciano Cristo e la sua Parola, luoghi dove sia possibile sperimentare la fede,
esercitare la carità, organizzare la speranza. Questo articolarsi delle grandi parrocchie
urbane attraverso il moltiplicarsi di piccole comunità permette un respiro missionario
più largo, che tiene conto della densità della popolazione, della sua fisionomia sociale
e culturale, spesso notevolmente diversificata”. (Discorso al Convegno della diocesi
di Roma, 27 maggio 2009)
Al termine del messaggio, Benedetto XVI
ha parole di grande riconoscenza e di “particolare affetto” per chi, fra sacerdoti
Fidei Donum, e missionari religiosi e laici, lavora per “promuovere la comunione ecclesiale,
in modo che anche il fenomeno dell’’interculturalità’ possa integrarsi – è il suo
auspicio – in un modello di unità, nel quale il Vangelo sia fermento di libertà e
di progresso, fonte di fraternità, di umiltà e di pace”. Al termine dell’assise sinodale
dello scorso anno dedicata alla Chiesa africana, il Papa faceva questa constatazione
a proposito della Populorum progressio di Paolo VI:
“Ciò che
il Servo di Dio Paolo VI elaborò in termini di riflessione, i missionari l’hanno realizzato
e continuano a realizzarlo sul campo, promuovendo uno sviluppo rispettoso delle culture
locali e dell’ambiente, secondo una logica che ora, dopo più di 40 anni, appare l’unica
in grado di far uscire i popoli africani dalla schiavitù della fame e delle malattie”.
(Messa conclusiva secondo Sinodo dei vescovi per l’Africa, 25 ottobre 2009)