2010-10-22 14:54:01

Intervento del Card. Lubomyr HUSAR, Arcivescovo Maggiore di Kyiv-Halyč (UCRAINA), "in scriptis"


Intendo intervenire su due argomenti che, fra i numerosi altri, sono presenti nell' Instrumentum Laboris e che costituiscono elementi di profonda attenzione, a mio parere, e continua preoccupazione in quanto ci interpellano come Chiese Orientali, andando oltre i nostri confini geografici e storici. Concludo poi con due proposte concrete.

1 Il primo punto sul quale intervengo è tutto il mondo dell'emigrazione. Noi Greco cattolici Ucraini condividiamo con i Confratelli del Medio Oriente il dramma della migrazione dei nostri fedeli, sebbene dettati da motivi diversi. I dati statistici documentano che in questi ultimi anni sono migrati verso il mondo intero e verso l'Europa occidentale in particolare cinque milioni di ucraini, metà dei quali dalle regioni nelle quali vi è la maggioranza di nostri fedeli.
Dobbiamo riconoscere che nei Paesi verso i quali si sono indirizzati hanno trovato generalmente una buona accoglienza dalle Diocesi latine, ma questo non ci solleva dalla grave responsabilità che abbiamo di salvaguardarne la fede secondo la Tradizione Orientale alla quale appartengono e nella quale devono essere assicurati con l'adeguata cura pastorale specifica del loro Rito, secondo quanto prescrive rigorosamente anche il diritto canonico.
Nell'Instrumentum Laboris si riconosce questo nostro diritto dovere laddove al n. 6 si legge: "I membri delle Chiese sui iuris sono i fedeli intesi come singole persone e come membri delle rispettive comunità". Sembra evidente che essi, sebbene fuori dalla patria, devono essere messi in condizione di esercitare questa loro appartenenza originaria con la garanzia di tutti i mezzi dei quali la loro Chiesa dispone per la cura pastorale: sacerdoti propri, rito proprio, spiritualità propria, vita comunitaria propria.
Può sorgere l'obiezione che questa garanzia possa costituire un impedimento all'integrazione nelle nuove realtà nelle quali i nostri fedeli hanno deciso di vivere. La nostra esperienza ormai ultrasecolare ci insegna che questo non è assolutamente vero: i nostri fedeli nelle Americhe ed in Australia, oltre che in vari Paesi d'Europa, sono oggi perfettamente integrati pur mantenendo intatto il loro patrimonio ed esercitando la piena appartenenza alla Chiesa Greco cattolica Ucraina.

Mi sia consentita una osservazione a questo proposito: un Padre della Chiesa l'ha definita "circumdata varietate" a significare che l'unità della Chiesa non si identifica con l'uniformità, ma esprime la ricchezza di Dio Creatore nell'armonia delle diversità o delle molteplicità, volendo usare il termine scelto ed impiegato anche nell'Instrumentum Laboris. Come spiega assai bene Sant'Ignazio di Antiochia con l'immagine delle corde unite alla cetra e della sinfonia del coro che canta, la diversità non è un pericolo, ma un irrinunciabile tesoro per la Chiesa Universale, naturalmente tenendo conto del fatto che il Successore di Pietro ha il divino mandato di dirigere il coro perché non ci siano stonature e venga così garantita la sinfonia della verità e della carità. Dobbiamo trovare il coraggio nello Spirito Santo di vivere l'armonia nella molteplicità o diversità in tutte quelle regioni che fino a pochi decenni fa per motivi storici sono state caratterizzate dalla presenza di un unico Rito e si sono abituate ad una specie di monopolio. Per osservare che il territorio non è più, oggi, a fronte della sfida crescente delle migrazioni, un concetto geografico, ma è un concetto antropologico. Applicando il principio enunciato proprio dalla citazione sopra riportata dell' Instrumentum Laboris, mi sembra di dover arguire che il territorio di tutte le Chiese sui iuris è costituito dalle persone dei fedeli laddove per varie necessità, hanno deciso di vivere. Si devono, pertanto, ripensare e rivedere gli strumenti anche giuridici per garantire praticamente questo principio, per assicurare la salus animarum dei nostri fedeli dei quali siamo responsabili ovunque come pastori e per superare l'eventuale pericolo di assimilazioni che impoveriscono la strutturale natura della Chiesa come voluta da nostro Signore Gesù Cristo.
2 Il secondo tema sul quale desidero soffermare la comune riflessione mi è offerto dal n. 20 del nostro Instrumentum Laboris avente come oggetto la "apostolicità e vocazione missionaria". Vi si afferma: "In quanto apostoliche, le nostre Chiese hanno la missione particolare di portare il Vangelo in tutto il mondo come è avvenuto nel corso della storia". Devo dolorosamente concordare con quanto viene rilevato in termini critici appena dopo, riferendo una certa chiusura tipica della mentalità di chi si sente assediato o di chi ha vissuto entro confini etnici o ideologici assolutisti come è capitato a noi per 70 anni con il regime comunista sovietico. E' vero che è stato frenato lo "slancio evangelico". Mi chiedo: le prove odierne che attraversano le nostre Chiese sui iuris anche quella in Ucraina ha avvisaglie di nuove difficoltà ed il singolare fenomeno che ci colpisce così profondamente della massiccia migrazione dei nostri fedeli non è forse un segno inviato dallo Spirito Santo perché usciamo come Abramo dalle certezze di Ur di Caldea e ci mettiamo in viaggio in tutto il mondo? E non ho timore di dire in tutto il mondo, cioè anche là dove la Chiesa ha conosciuto fino ad oggi o a ieri situazioni che potrei definire di pacifico possesso, attualmente in profonda crisi per la defezione o la superficialità o la contrarietà di persone e di culture anticristiane. Mi chiedo: se tutta la Chiesa Universale è missionaria, questa situazione non è forse una provocazione per noi di Tradizione Orientale per deciderci di andare ad gentes, ovunque queste gentes hanno bisogno o attendono la Parola che salva? La ricchezza della nostra spiritualità e delle nostre Liturgie è un patrimonio da condividere e non da tenere gelosamente custodito o addirittura nascosto nelle nostre comunità. E' vero che siamo poveri rispetto a tanti altri fratelli, ma non dobbiamo mai dimenticarci che Dio sceglie sempre gli umili e i poveri per compiere le sue opere meravigliose, come ha fatto, a sublime esempio, con Maria, la Theotókos.
3 I due temi che ho richiamato alla comune attenzione sono solo una piccola parte delle grandi sfide che dobbiamo quotidianamente affrontare e dinanzi alle quali ci sentiamo spesso sprovvisti o inadeguati o deboli, comunque in difficoltà. Abbiamo bisogno dell'aiuto di Pietro.
Ed ecco la proposta appello che con tutta semplicità e profonda fiducia avanzo: costituire un organismo formato dai Patriarchi e Arcivescovi Maggiori delle Chiese Orientali in comunione con Roma, simile al Sinodo Permanente della Tradizione Orientale, tramite il quale il Successore di san Pietro può confortarci, sostenerci e consigliarci nel dare pienezza evangelica al nostro ministero e alla nostra missione.
4 Conseguentemente a questa prima proposta, ne avanzo una seconda. Chiedo ai Partecipanti a questo Sinodo di chiedere al Santo Padre di dedicare al tema generale della natura e del ruolo delle Chiese Cattoliche Orientali un Sinodo entro un prossimo futuro.

[00192-01.03] [IS001] [Testo originale: italiano]







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