Intervento del Card. Lubomyr HUSAR, Arcivescovo Maggiore di Kyiv-Halyč (UCRAINA),
"in scriptis"
Intendo intervenire su due argomenti che, fra i numerosi altri, sono presenti nell'
Instrumentum Laboris e che costituiscono elementi di profonda attenzione, a mio parere,
e continua preoccupazione in quanto ci interpellano come Chiese Orientali, andando
oltre i nostri confini geografici e storici. Concludo poi con due proposte concrete.
1 Il primo punto sul quale intervengo è tutto il mondo dell'emigrazione.
Noi Greco cattolici Ucraini condividiamo con i Confratelli del Medio Oriente il dramma
della migrazione dei nostri fedeli, sebbene dettati da motivi diversi. I dati statistici
documentano che in questi ultimi anni sono migrati verso il mondo intero e verso l'Europa
occidentale in particolare cinque milioni di ucraini, metà dei quali dalle regioni
nelle quali vi è la maggioranza di nostri fedeli. Dobbiamo riconoscere che nei
Paesi verso i quali si sono indirizzati hanno trovato generalmente una buona accoglienza
dalle Diocesi latine, ma questo non ci solleva dalla grave responsabilità che abbiamo
di salvaguardarne la fede secondo la Tradizione Orientale alla quale appartengono
e nella quale devono essere assicurati con l'adeguata cura pastorale specifica del
loro Rito, secondo quanto prescrive rigorosamente anche il diritto canonico. Nell'Instrumentum
Laboris si riconosce questo nostro diritto dovere laddove al n. 6 si legge: "I membri
delle Chiese sui iuris sono i fedeli intesi come singole persone e come membri delle
rispettive comunità". Sembra evidente che essi, sebbene fuori dalla patria, devono
essere messi in condizione di esercitare questa loro appartenenza originaria con la
garanzia di tutti i mezzi dei quali la loro Chiesa dispone per la cura pastorale:
sacerdoti propri, rito proprio, spiritualità propria, vita comunitaria propria. Può
sorgere l'obiezione che questa garanzia possa costituire un impedimento all'integrazione
nelle nuove realtà nelle quali i nostri fedeli hanno deciso di vivere. La nostra esperienza
ormai ultrasecolare ci insegna che questo non è assolutamente vero: i nostri fedeli
nelle Americhe ed in Australia, oltre che in vari Paesi d'Europa, sono oggi perfettamente
integrati pur mantenendo intatto il loro patrimonio ed esercitando la piena appartenenza
alla Chiesa Greco cattolica Ucraina.
Mi sia consentita una osservazione a
questo proposito: un Padre della Chiesa l'ha definita "circumdata varietate" a significare
che l'unità della Chiesa non si identifica con l'uniformità, ma esprime la ricchezza
di Dio Creatore nell'armonia delle diversità o delle molteplicità, volendo usare il
termine scelto ed impiegato anche nell'Instrumentum Laboris. Come spiega assai bene
Sant'Ignazio di Antiochia con l'immagine delle corde unite alla cetra e della sinfonia
del coro che canta, la diversità non è un pericolo, ma un irrinunciabile tesoro per
la Chiesa Universale, naturalmente tenendo conto del fatto che il Successore di Pietro
ha il divino mandato di dirigere il coro perché non ci siano stonature e venga così
garantita la sinfonia della verità e della carità. Dobbiamo trovare il coraggio nello
Spirito Santo di vivere l'armonia nella molteplicità o diversità in tutte quelle regioni
che fino a pochi decenni fa per motivi storici sono state caratterizzate dalla presenza
di un unico Rito e si sono abituate ad una specie di monopolio. Per osservare che
il territorio non è più, oggi, a fronte della sfida crescente delle migrazioni, un
concetto geografico, ma è un concetto antropologico. Applicando il principio enunciato
proprio dalla citazione sopra riportata dell' Instrumentum Laboris, mi sembra di dover
arguire che il territorio di tutte le Chiese sui iuris è costituito dalle persone
dei fedeli laddove per varie necessità, hanno deciso di vivere. Si devono, pertanto,
ripensare e rivedere gli strumenti anche giuridici per garantire praticamente questo
principio, per assicurare la salus animarum dei nostri fedeli dei quali siamo responsabili
ovunque come pastori e per superare l'eventuale pericolo di assimilazioni che impoveriscono
la strutturale natura della Chiesa come voluta da nostro Signore Gesù Cristo. 2
Il secondo tema sul quale desidero soffermare la comune riflessione mi è offerto dal
n. 20 del nostro Instrumentum Laboris avente come oggetto la "apostolicità e vocazione
missionaria". Vi si afferma: "In quanto apostoliche, le nostre Chiese hanno la missione
particolare di portare il Vangelo in tutto il mondo come è avvenuto nel corso della
storia". Devo dolorosamente concordare con quanto viene rilevato in termini critici
appena dopo, riferendo una certa chiusura tipica della mentalità di chi si sente assediato
o di chi ha vissuto entro confini etnici o ideologici assolutisti come è capitato
a noi per 70 anni con il regime comunista sovietico. E' vero che è stato frenato lo
"slancio evangelico". Mi chiedo: le prove odierne che attraversano le nostre Chiese
sui iuris anche quella in Ucraina ha avvisaglie di nuove difficoltà ed il singolare
fenomeno che ci colpisce così profondamente della massiccia migrazione dei nostri
fedeli non è forse un segno inviato dallo Spirito Santo perché usciamo come Abramo
dalle certezze di Ur di Caldea e ci mettiamo in viaggio in tutto il mondo? E non ho
timore di dire in tutto il mondo, cioè anche là dove la Chiesa ha conosciuto fino
ad oggi o a ieri situazioni che potrei definire di pacifico possesso, attualmente
in profonda crisi per la defezione o la superficialità o la contrarietà di persone
e di culture anticristiane. Mi chiedo: se tutta la Chiesa Universale è missionaria,
questa situazione non è forse una provocazione per noi di Tradizione Orientale per
deciderci di andare ad gentes, ovunque queste gentes hanno bisogno o attendono la
Parola che salva? La ricchezza della nostra spiritualità e delle nostre Liturgie è
un patrimonio da condividere e non da tenere gelosamente custodito o addirittura nascosto
nelle nostre comunità. E' vero che siamo poveri rispetto a tanti altri fratelli, ma
non dobbiamo mai dimenticarci che Dio sceglie sempre gli umili e i poveri per compiere
le sue opere meravigliose, come ha fatto, a sublime esempio, con Maria, la Theotókos.
3 I due temi che ho richiamato alla comune attenzione sono solo una piccola
parte delle grandi sfide che dobbiamo quotidianamente affrontare e dinanzi alle quali
ci sentiamo spesso sprovvisti o inadeguati o deboli, comunque in difficoltà. Abbiamo
bisogno dell'aiuto di Pietro. Ed ecco la proposta appello che con tutta semplicità
e profonda fiducia avanzo: costituire un organismo formato dai Patriarchi e Arcivescovi
Maggiori delle Chiese Orientali in comunione con Roma, simile al Sinodo Permanente
della Tradizione Orientale, tramite il quale il Successore di san Pietro può confortarci,
sostenerci e consigliarci nel dare pienezza evangelica al nostro ministero e alla
nostra missione. 4 Conseguentemente a questa prima proposta, ne avanzo una seconda.
Chiedo ai Partecipanti a questo Sinodo di chiedere al Santo Padre di dedicare al tema
generale della natura e del ruolo delle Chiese Cattoliche Orientali un Sinodo entro
un prossimo futuro.