Crisi umanitaria ad Haiti: epidemia di colera colpisce gli sfollati
“Nove mesi dopo un terremoto che ha causato la morte di più di 200mila persone, Haiti
sta ancora attraversando una profonda crisi umanitaria che tocca i diritti umani di
chi è stato sfollato a causa dalla tragedia”. A sostenerlo è Walter Kaelin, rappresentante
Onu del segretario generale dei diritti degli sfollati, che parla di un milione e
300mila persone coinvolte a vario titolo nella crisi, tra chi ha perso la casa durante
il terremoto e chi è sfuggito all’estrema povertà accentuata dal sisma del 12 gennaio
scorso. A questo allarme se ne aggiunge un altro, lanciato dalle autorità sanitarie
locali che parlano di un’epidemia di colera che ha già ucciso 135 persone. Sulla situazione
sanitaria ad Haiti, Salvatore Sabatino ha intervistato Federico Filidei,
medico del Gruppo di chirurgia d'urgenza dell'azienda ospedaliera universitaria di
Pisa, che si era recato ad Haiti nel post-terremoto:
R. – La situazione
al nostro arrivo era ovviamente disastrosa. La città era un brulicare di persone che
stavano fuggendo, ovviamente soprattutto nella parte più vicina al centro gli edifici
erano completamente crollati. Quindi, è una situazione molto, molto precaria.
D.
– Nonostante sia passato molto tempo, comunque la situazione purtroppo non è cambiata,
nonostante gli appelli lanciati alla comunità internazionale. Si poteva immaginare
un’epidemia di colera di questa entità?
R. – Dal mio punto di vista,
devo dire di sì. Secondo me, quando siamo arrivati la sensazione che ha avuto tutto
il gruppo è quella di una catastrofe, letteralmente, di una situazione da cui fosse
estremamente difficile risollevarsi, soprattutto per l’entità della distruzione del
centro, che ha colpito i punti nevralgici della città, nonché per il fatto che Haiti
di per sé non è un Paese con infrastrutture che potessero essere adeguate ad affrontare
la situazione. Quindi sì, la risposta è che era prevedibile.
D. – Come
si fa a fermare, dal punto di vista medico, un’epidemia di colera?
R.
– Il principale punto chiave è l’acqua, sicuramente, e l’igiene. La situazione non
prevedeva nessuna delle due cose. Il numero dei morti che ci sono stati, il fatto
che ci sia molto fango e che siano pochissime le strade asfaltate e forti le piogge,
sono tutti elementi che favoriscono l’inquinamento delle acque; e per il fatto che
non abbiano acqua potabile, va da sé che l’epidemia esplode.
D. – Il
gruppo di chirurgia d’urgenza dell’azienda ospedaliera universitaria di Pisa ha già
preso parte ad altre emergenze, come lo tsunami in Sri Lanka. Quella di Haiti, da
medico, rispetto alle altre esperienze sul campo, è e resta più drammatica?
R.
– Sì, assolutamente. Io personalmente ho svolto missioni in Iran, in Cina, durante
lo tsunami … quella di Haiti è stata in assoluto la cosa più tremenda, anche perché
i tipi di trauma erano gravi, si sono anche protratti nel tempo e lì la situazione
era di sbando. In altre realtà, anche quella dello Sri Lanka, le condizioni di organizzazione
dello Stato e delle infrastrutture erano già più presenti. Questa di Haiti, per tanti
versi, ha scosso la comunità internazionale non solo nel momento, ma poi per tutte
le ripercussioni. Non è un caso, appunto, che si continui a parlare di questa situazione!
Spero davvero che la comunità internazionale decida e abbia la possibilità di intervenire
in maniera massiccia.