Aperta a Roma la fase diocesana della Causa di beatificazione del cardinale Van Thuan,
grande testimone della fede
La vita di uno dei grandi testimoni della fede del Novecento, il cardinale Xavier
Nguyên Van Thuân, scomparso nel 2002, è da oggi al centro della fase diocesana della
Causa di beatificazione che lo riguarda, aperta nel Palazzo Lateranense di Roma. A
prendere la parola questa mattina sono stati il cardinale vicario, Agostino Vallini,
e il cardinale Peter K. A. Turkson, presidente del Pontificio Consiglio Giustizia
e Pace, carica che il cardinale Van Thuân ricoprì dal 1998 alla sua morte. Alla Lateranense,
invece, si è tenuta la cerimonia di consegna del Premio Van Thuân 2010, attribuito
a Juan Somavia, direttore generale dell’Organizzazione Internazionale del Lavoro.
E molte altre sono le iniziative religiose e culturali che intendono ricordare il
porporato, per 13 anni rinchiuso in carcere dal regime ateo vietnamita senza che questo
riuscisse a spezzare la sua fedeltà a Cristo. Un profilo del cardinale Van Thuân in
questo servizio di Alessandro De Carolis:
(musica)
Quando
gli chiese un pezzo di filo elettrico, il carceriere – che pure aveva imparato a conoscerlo
– si spaventò. Bastava anche quello per suicidarsi e il suicidio era per tanti prigionieri
un’allettante via di fuga. Non per quel prigioniero, però. Quel prete era un uomo
mite, attaccato alla vita, attaccato al suo Dio. Il carceriere fece di meglio, ritornò
con una pinza e assieme forgiarono una catenella alla quale il prigioniero attaccò
la rozza crocetta di legno che si era costruito in un altro carcere. Un episodio tra
i tanti, che raccontano la storia di un’anima che ha commosso chiunque l’abbia ascoltata.
Xavier Nguyên Van Thuan, sacerdote, vescovo e prigioniero. Tredici anni, nove in isolamento,
da quando nel 1975 Paolo VI lo volle coadiutore a Saigon e la dittatura vietnamita
dietro le sbarre, senza processo, perché la nomina di uomo di Chiesa non poteva essere
altro che un “complotto tra il Vaticano e gli imperialisti”.
Un uomo
sepolto vivo, per essere un cristiano in meno, e diventato un’icona di Cristo grazie
a una eccezionale saldezza umana e a una fede incrollabile e intraprendente – una
mollica per fare l’ostia, tre gocce di vino in mano a mo’ di calice e di altare, carta
di sigarette come tabernacolo – con la cella che gli aguzzini consideravano una tomba
e invece era una chiesa. Cinque anni dopo la sua morte, avvenuta il 16 settembre 2002,
Benedetto XVI gli dedicò questo pensiero:
“Il
cardinale Van Thuân era un uomo di speranza, viveva di speranza e la diffondeva tra
tutti coloro che incontrava. Fu grazie a quest’energia spirituale che resistette a
tutte le difficoltà fisiche e morali. La speranza lo sostenne come vescovo isolato
per 13 anni dalla sua comunità diocesana; la speranza lo aiutò a intravedere nell’assurdità
degli eventi capitatigli - non fu mai processato durante la sua lunga detenzione -
un disegno provvidenziale di Dio”. (17 sett. 2007, discorso al Pontificio Consiglio
Giustizia e pace)
Nel 2000, l’anno prima di essere creato cardinale,
Giovanni Paolo II lo invitò a predicare gli esercizi spirituali della Quaresima in
Vaticano. Preso in contropiede sul tema da proporre, fu anticipato dal Papa stesso:
“Ci porti la sua testimonianza”. Il calvario patito in quei 108 mesi fu raccontato
da mons. Van Thuan con una delicatezza e un fuoco da togliere
il fiato. Le parole bimillenarie della Scrittura, citate da lui, sembravano avere
un altro peso, quasi fossero un tutt'uno con chi le pronunciava. La stessa impressione
si ebbe anche ascoltandolo durante l’ultima meditazione dedicata ai discepoli di Emmaus,
quando sentono il cuore riscaldato e felice dopo aver avuto per compagno di cammino
Gesù:
“Il cammino percorso con loro indica l’ineffabile certezza del
suo essere con noi: come luce che illumina è fuoco che riscalda i cuori. Con questo
ritorno (…) a Cristo, la nostra tristezza diventa gioia, una gioia grandissima che
nessuno può dare, perché Gesù ci ha resuscitato. Quando siamo nel peccato siamo morti.
Nessuno mai si prende cura dei morti, nessuno si prende cura dei cadaveri. E’ impossibile,
ma Gesù l’ha fatto (...) Siamo felici e questa è la nostra gioia e la nostra speranza”.
(18 marzo 2000 - meditazione conclusiva Esercizi spirituali della Quaresima)
Commosso
da questa fede adamantina e cristiana nel senso più vero – e cioè gioiosa – Giovanni
Paolo II lo ringraziò con queste parole:
“Testimone egli
stesso della croce, nei lunghi anni di carcerazione in Vietnam, ci ha raccontato frequentemente
fatti ed episodi della sua sofferta prigionia, rafforzandoci così nella consolante
certezza che quando tutto crolla attorno a noi, e forse anche dentro di noi, Cristo
resta l’indefettibile nostro sostegno”. (18 marzo 2000 – discorso a conclusione degli
Esercizi spirituali della Quaresima)
Un anno prima della morte, in veste
di presidente del Pontificio Consiglio Giustizia e pace, il cardinale Van
Thuan preparava con il Papa il raduno di Assisi del gennaio 2002, convocato
dopo le stragi dell’11 settembre. In quella occasione, il collega Fabio Colagrande
lo avvicinò e gli chiese se quella speranza, diventata quasi un secondo nome per lui,
fosse mai venuta meno negli anni bui della prigionia. Questa la risposta:
“Io
ho avuto momenti veramente difficili, la tentazione della vendetta, la tentazione
della disperazione… ma nel momento più critico, nell’abisso della mia miseria, della
mia debolezza umana, in quel momento il Signore mi ha teso la mano e la speranza è
ritornata, come la luce dopo la pioggia”. (musica)