Udienza generale dedicata a Santa Elisabetta d'Ungheria. Il Papa: esercitare un'autorità
vuol dire servire la giustizia
Possedere un’autorità vuol dire servire la giustizia e il bene comune. La fede e l’amore
verso Dio e il prossimo rendono più saldo un matrimonio. Sono due insegnamenti che
Benedetto XVI ha tratto dalla vita di Santa Elisabetta d’Ungheria, regina vissuta
ai primi del Duecento, alla quale il Papa ha dedicato la catechesi dell’udienza generale
di questa mattina, in Piazza San Pietro. Assieme al marito Ludovico, sovrano della
Turingia, Elisabetta diede testimonianza di valori cristiani sia nella vita di corte
che nella gestione del regno, dimostrando grande attenzione ai poveri. Il servizio
di Alessandro De Carolis:
Deporre la
corona, insegna della regalità, ai piedi della croce dove è inchiodato Cristo, Re
coronato di spine, e rimanere prostrata a terra in preghiera. L’umiltà di Elisabetta
d’Ungheria, regina di Turingia, arrivava a questo punto e la sua fede era di scandalo
a corte. Lo ha raccontato con dovizia di particolari Benedetto XVI, facendo risaltare
dalle vicende della giovane monarca medievale la grande libertà di coscienza che le
imponeva di professare le sue convinzioni religiose, anche se in aperto contrasto
con i dettami imposti dal protocollo e dal rango:
“Elisabetta divenne
(...) oggetto di sommesse critiche, perché il suo modo di comportarsi non corrispondeva
alla vita di corte. Così anche la celebrazione del matrimonio non fu sfarzosa e le
spese per il banchetto furono in parte devolute ai poveri. Nella sua profonda sensibilità
Elisabetta vedeva le contraddizioni tra la fede professata e la pratica cristiana.
Non sopportava i compromessi”.
“Come si comportava davanti a Dio,
allo stesso modo si comportava verso i sudditi”, ha proseguito il Papa, citando uno
scritto delle ancelle della regina, che ci hanno tramandato notizie su Elisabetta:
“’Non
consumava cibi se prima non era sicura che provenissero dalle proprietà e dai legittimi
beni del marito. Mentre si asteneva dai beni procurati illecitamente, si adoperava
anche per dare risarcimento a coloro che avevano subito violenza’. Un vero esempio
per tutti coloro che ricoprono ruoli di guida: l’esercizio dell’autorità, ad ogni
livello, dev’essere vissuto come servizio alla giustizia e alla carità, nella costante
ricerca del bene comune”.
Come è evidente, accanto a una donna che
“praticava assiduamente le opere di misericordia”, che portava di persona il cibo
ai poveri, che verificava la dignità dei loro abiti, c’era un uomo in perfetta sintonia
con lei. A chi lo criticava per il comportamento della moglie, re Ludovico replicava:
“Fin quando non mi vende il castello sono contento!”:
“Elisabetta
aiutava il coniuge ad elevare le sue qualità umane a livello soprannaturale, ed egli,
in cambio, proteggeva la moglie nella sua generosità verso i poveri e nelle sue pratiche
religiose. Sempre più ammirato per la grande fede della sposa, Ludovico, riferendosi
alla sua attenzione verso i poveri, le disse: 'Cara Elisabetta, è Cristo che hai lavato,
cibato e di cui ti sei presa cura'. Una chiara testimonianza di come la fede e l’amore
verso Dio e verso il prossimo rafforzino la vita familiare e rendano ancora più profonda
l’unione matrimoniale”.
Quando il consorte muore nel 1227 poco prima
di imbarcarsi per la Crociata, la giovane regina cade in uno stato di prostrazione,
dal quale esce grazie alla preghiera. Una nuova, “dura prova” la colpisce quando il
cognato le usurpa il trono, cacciandola dal castello con i tre figli e costringendola
a vagare in cerca di un posto dove stare. Eppure, ha narrato Benedetto XVI, Elisabetta
non si perdeva d’animo, “lavorava dove veniva accolta, assisteva i malati, filava
e cuciva”. Le vicende poi migliorano ed Elisabetta dà l’ultima prova della sua generosità
costruendo un ospedale e dedicandosi fino all’ultimo ai malati:
“Cari
fratelli e sorelle, nella figura di Santa Elisabetta vediamo come la fede, l'amicizia
con Cristo creino il senso della giustizia, dell'uguaglianza di tutti, dei diritti
degli altri e creino l'amore, la carità. E da questa carità nasce anche la speranza,
la certezza che siamo amati da Cristo e che l'amore di Cristo ci aspetta e così ci
rende capaci di imitare Cristo e di vedere Cristo negli altri”.
Al
momento dei saluti conclusivi, il Papa si è rivolto ai partecipanti al pellegrinaggio
delle Suore Catechiste del Sacro Cuore, in occasione della canonizzazione di Santa
Giulia Salzano, quindi, parlando ai giovani, ai malatie ai nuovi
sposi, Benedetto XVI si è soffermato sull’aspetto della cooperazione missionaria posto
in particolare risalto dal mese di ottobre: “Con le fresche energie della giovinezza,
con la forza della preghiera e del sacrificio e con le potenzialità della vita coniugale
– ha detto il Papa – sappiate essere missionari del Vangelo, offrendo il vostro concreto
sostegno a quanti faticano per portarlo a chi ancora non lo conosce”.