Pagine ricche di contenuti e di affetto: il commento di mons. Giovanni Tani alla lettera
del Papa ai futuri sacerdoti
Chi vuole diventare sacerdote “deve essere soprattutto un uomo di Dio’”. Un Dio che
“non è un’ipotesi distante, non è uno sconosciuto che si è ritirato dopo il ‘big bang’”.
E’ uno dei passaggi più incisivi della lettera che Benedetto XVI ha indirizzato ieri
ai seminaristi, a conclusione dell’Anno Sacerdotale. Una lettera che non ha esitato
a toccare ancora una volta il doloroso tasto degli abusi sessuali commessi dal clero,
ribadendo tuttavia che la missione sacerdotale resta “grande e pura”. Alessandro
De Carolis ha chiesto al rettore del Pontificio Seminario Maggiore di Roma, mons.
Giovanni Tani, quale impressione abbiano suscitato in lui le parole del Papa:
R. – La lettera
me la sono trovata di sorpresa. E’ stata una bella sorpresa. Una sorpresa per il fatto
in sé di questa lettera e, poi, anche per come è scritta, per il calore con cui il
Papa si rivolge ai seminaristi e per lo svolgimento del pensiero, toccando punti importanti
della formazione. E’ stata per me una bella sorpresa e stamattina palando appunto
con altri rettori - non avevamo questo all’ordine al giorno, evidentemente - anche
per loro è stata una cosa bella che il Papa ha fatto.
D. – Il Papa ieri
ha detto: il sacerdozio non è una “professione del passato”, ma del presente e del
futuro. Come insegnate ai seminaristi a radicarsi in questa consapevolezza, in un
contesto sociale piuttosto ostile?
R. – Credo che la linea principale
sia proprio quella di far capire la verità della fede e la bellezza dell’incontro
con Cristo come elemento risolutivo, costitutivo, dell’esperienza personale e, quindi,
qualche cosa da poter proporre agli altri.
D. – Negli ultimi mesi e
negli ultimi anni, il percorso di formazione nei seminari, credo, abbia dovuto inevitabilmente
affrontare la questione degli abusi sessuali, di coloro che - come scrive il Papa
- hanno sfigurato il ministero del sacerdozio. Che esperienza avete vissuto in questo
periodo nel Seminario Maggiore?
R. – Una esperienza da una parte certamente
dolorosa per quello che sentivamo e una esperienza di presa di responsabilità: ci
si rende conto che il cammino deve essere serio. Abbiamo avuto alcuni incontri con
esperti, con persone che hanno potuto presentarci l’argomento sotto vari aspetti in
maniera tale da mantenere la coscienza viva su questo punto. Non abbiamo ignorato
il problema, insomma.
D. – Ogni giovane è figlio della sua epoca e la
nostra - che è piuttosto sorda quando anche semplicemente si accenna alla morale -
non può non condizionare, immagino, anche un ragazzo attratto dal seminario. Come
insegnate a comprendere il valore del celibato, così come anche ieri il Papa lo ha
ribadito?
R. – La linea che il Papa ha indicato è un po’ quella che
noi seguiamo. Cioè, il celibato, la sessualità, non possono essere trattati come un
capitolo a parte della persona. E’ tutto l’aspetto affettivo, passionale, che deve
trovare un obiettivo nell’incontro con Cristo. Allora, cerchiamo di rendere la vita
spirituale particolarmente intensa. Nessuno può dire: io ho deciso questo. Oppure:
la Chiesa mi chiede questo e, quindi, sì. Ci vuole tutto un lavoro dove ciascuno possa
rendersi conto di quello che abita dentro di lui come energia sessuale e affettiva
e deve poterla destinare nella maniera giusta.
D. – Il Papa nella lettera
ribadisce quali siano i punti della formazione di un futuro sacerdote: intensa vita
sacramentale, studio approfondito della teologia… punti che il Papa ha toccato in
più occasioni nel corso dell’Anno sacerdotale. Quali novità ha potuto cogliere nella
vita del vostro seminario, durante e dopo la conclusione di questo speciale anno?
R.
– Mi pare che ci sia un buon livello di consapevolezza. Mi sembra che la tensione
dei ragazzi sia al punto giusto, che siano sereni, gioiosi, che abbiano voglia di
impegnarsi. Colgo questa realtà.