2010-10-19 14:10:55

Pagine ricche di contenuti e di affetto: il commento di mons. Giovanni Tani alla lettera del Papa ai futuri sacerdoti


Chi vuole diventare sacerdote “deve essere soprattutto un uomo di Dio’”. Un Dio che “non è un’ipotesi distante, non è uno sconosciuto che si è ritirato dopo il ‘big bang’”. E’ uno dei passaggi più incisivi della lettera che Benedetto XVI ha indirizzato ieri ai seminaristi, a conclusione dell’Anno Sacerdotale. Una lettera che non ha esitato a toccare ancora una volta il doloroso tasto degli abusi sessuali commessi dal clero, ribadendo tuttavia che la missione sacerdotale resta “grande e pura”. Alessandro De Carolis ha chiesto al rettore del Pontificio Seminario Maggiore di Roma, mons. Giovanni Tani, quale impressione abbiano suscitato in lui le parole del Papa:RealAudioMP3

R. – La lettera me la sono trovata di sorpresa. E’ stata una bella sorpresa. Una sorpresa per il fatto in sé di questa lettera e, poi, anche per come è scritta, per il calore con cui il Papa si rivolge ai seminaristi e per lo svolgimento del pensiero, toccando punti importanti della formazione. E’ stata per me una bella sorpresa e stamattina palando appunto con altri rettori - non avevamo questo all’ordine al giorno, evidentemente - anche per loro è stata una cosa bella che il Papa ha fatto.

D. – Il Papa ieri ha detto: il sacerdozio non è una “professione del passato”, ma del presente e del futuro. Come insegnate ai seminaristi a radicarsi in questa consapevolezza, in un contesto sociale piuttosto ostile?

R. – Credo che la linea principale sia proprio quella di far capire la verità della fede e la bellezza dell’incontro con Cristo come elemento risolutivo, costitutivo, dell’esperienza personale e, quindi, qualche cosa da poter proporre agli altri.

D. – Negli ultimi mesi e negli ultimi anni, il percorso di formazione nei seminari, credo, abbia dovuto inevitabilmente affrontare la questione degli abusi sessuali, di coloro che - come scrive il Papa - hanno sfigurato il ministero del sacerdozio. Che esperienza avete vissuto in questo periodo nel Seminario Maggiore?

R. – Una esperienza da una parte certamente dolorosa per quello che sentivamo e una esperienza di presa di responsabilità: ci si rende conto che il cammino deve essere serio. Abbiamo avuto alcuni incontri con esperti, con persone che hanno potuto presentarci l’argomento sotto vari aspetti in maniera tale da mantenere la coscienza viva su questo punto. Non abbiamo ignorato il problema, insomma.

D. – Ogni giovane è figlio della sua epoca e la nostra - che è piuttosto sorda quando anche semplicemente si accenna alla morale - non può non condizionare, immagino, anche un ragazzo attratto dal seminario. Come insegnate a comprendere il valore del celibato, così come anche ieri il Papa lo ha ribadito?

R. – La linea che il Papa ha indicato è un po’ quella che noi seguiamo. Cioè, il celibato, la sessualità, non possono essere trattati come un capitolo a parte della persona. E’ tutto l’aspetto affettivo, passionale, che deve trovare un obiettivo nell’incontro con Cristo. Allora, cerchiamo di rendere la vita spirituale particolarmente intensa. Nessuno può dire: io ho deciso questo. Oppure: la Chiesa mi chiede questo e, quindi, sì. Ci vuole tutto un lavoro dove ciascuno possa rendersi conto di quello che abita dentro di lui come energia sessuale e affettiva e deve poterla destinare nella maniera giusta.

D. – Il Papa nella lettera ribadisce quali siano i punti della formazione di un futuro sacerdote: intensa vita sacramentale, studio approfondito della teologia… punti che il Papa ha toccato in più occasioni nel corso dell’Anno sacerdotale. Quali novità ha potuto cogliere nella vita del vostro seminario, durante e dopo la conclusione di questo speciale anno?

R. – Mi pare che ci sia un buon livello di consapevolezza. Mi sembra che la tensione dei ragazzi sia al punto giusto, che siano sereni, gioiosi, che abbiano voglia di impegnarsi. Colgo questa realtà.







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