Questa mattina è intervenuto in Aula il Relatore Generale, S. B. Antonios NAGUIB,
Patriarca di Alessandria dei Copti (REPUBBLICA ARABA DI EGITTO), per la lettura della
Relatio post disceptationem (Relazione dopo la Discussione). Nella sua seconda relazione,
a conclusione della discussione generale sul tema sinodale in Aula, il Relatore Generale
ha sintetizzato i vari interventi succedutisi in queste giornate nelle Congregazioni
Generali e ha offerto alcune linee di orientamento per facilitare i lavori dei Circoli
minori. Dopo l’intervallo ha continuato la lettura il Segretario Speciale, S.
E. R. Mons. Joseph SOUEIF, Arcivescovo di Cipro dei Maroniti (CIPRO).
Pubblichiamo
qui di seguito il testo integrale della Relazione:
Santo Padre, Eminenze,
Beatitudini, Eccellenze, Delegati Fraterni delle Chiese Sorelle e delle Comunità
Ecclesiali Cari Sorelle e Fratelli, Uditori e Assistenti, Invitati ed Esperti
INTRODUZIONE
“Avrete
forza dallo Spirito Santo che scenderà su di voi e mi sarete testimoni a Gerusalemme,
in tutta la Giudea e la Samaria e fino agli estremi confini della terra” (At 1,8).
Il giorno di Pentecoste gli Apostoli ricevettero lo Spirito Santo promesso e obbedirono
alla missione che Cristo aveva loro affidato. Andarono per il mondo a predicare Cristo
e il Vangelo, e ad essere suoi testimoni fino alla testimonianza suprema: il martirio.
Un’Assemblea Sinodale è un rinnovamento e un prolungamento della Pentecoste. Lo Spirito
Santo è anche oggi all’opera, con noi e in noi, come lo sarà sempre con la sua Chiesa.
Per una felice e provvidenziale circostanza, l’Assemblea Speciale per il Medio Oriente
del Sinodo dei Vescovi ha iniziato i suoi lavori l’11 ottobre 2010, 48° anniversario
dell’inaugurazione del Concilio Ecumenico Vaticano II (11.10.1962) da parte del Beato
Papa Giovanni XXIII, che festeggiamo nello stesso giorno. Quest’anno ricorre anche
il 45° anniversario della costituzione del Sinodo dei Vescovi ad opera di Papa Paolo
VI, il 15 settembre 1965. In questo Sinodo dedicato alla “Comunione e alla testimonianza”,
eccoci, Cardinali, Patriarchi, Vescovi, Religiosi e Religiose, Laici, Fratelli e Sorelle
invitati, riuniti attorno al Santo Padre e guidati dallo Spirito Santo, in una “Comunione”,
non teorica, ma visibile e concreta. Rinnoviamo la nostra gratitudine al Santo
Padre Benedetto XVI che ha voluto prendere l’iniziativa di convocarci a questa Assemblea
storica, di cui sperimentiamo il clima fraterno, caloroso e ottimista, che ci fa sperare
in molti frutti benefici per il futuro delle nostre Chiese e della loro missione.
Vorremmo che questo Sinodo potesse valere per tutte le Chiese, in Oriente e in Occidente,
portandole tutte a vivere una comunione concreta. Ringraziamo anche la Segreteria
Generale del Sinodo dei Vescovi per i lavori di preparazione e di accompagnamento. Questo
Sinodo è dedicato essenzialmente alle Chiese in Medio Oriente, come indica il suo
titolo. Ma il Santo Padre ha voluto unire ad esse anche le Chiese dell’Africa Nord
Orientale, che sono in stretto rapporto con le nostre Chiese. Come ha voluto farvi
partecipare i Capi dei Dicasteri della Santa Sede, i rappresentanti delle nostre Chiese
nella diaspora, dell’Unione dei Superiore Generali e delle Conferenze Episcopali Cattoliche,
come pure gli Assistenti del Segretario Speciale, Uditori e Uditrici, Delegati Fraterni
delle Chiese Sorelle e delle Comunità Ecclesiali, e gli invitati speciali in rappresentanza
dell’Islam e dell’Ebraismo. Questo conferisce al Sinodo un aspetto di comunione ecclesiale
più perfetta, di partecipazione universale e di incontro ecumenico e interreligioso.
A.
Obiettivo del Sinodo
“Chi ha orecchi, ascolti ciò che lo Spirito dice alle
Chiese” (Ap 2,7). Mi sembra utile ricordare nuovamente il duplice obiettivo del Sinodo:
1)
Confermare e rafforzare i cristiani nella loro identità, grazie alla Parola di Dio
e ai Sacramenti.
2) Rinnovare la comunione ecclesiale fra le Chiese sui iuris,
affinché possano offrire una testimonianza di vita autentica ed efficace. Nel contesto
in cui viviamo, la dimensione ecumenica, il dialogo interreligioso e l’aspetto missionario
sono parte integrante di questa testimonianza.
Vogliamo offrire ai cristiani
dei nostri Paesi le ragioni della loro presenza, per confermarli nella loro missione
di essere e di rimanere testimoni autentici di Cristo Risorto, in ciascuno dei loro
Paesi, come icona visibile di Cristo, incarnazione viva della sua Chiesa e canale
attuale dell’azione dello Spirito Santo.
B. Riflessione alla luce della Parola
di Dio
I Padri Sinodali hanno illustrato bene questo punto. La nostra regione
rimane fedele alla parola di Dio rivelata, scritta da uomini delle nostre terre sotto
l’ispirazione dello Spirito Santo. Gli uomini e le pietre delle nostre terre hanno
incarnato la storia dell’amore di Dio per l’umanità e vi sono diventati un messaggio
d’amore per ogni uomo. La Parola di Dio rimarrà sempre la fonte d’ispirazione della
nostra comunione, della nostra fedeltà, del nostro amore, della nostra missionarietà
e della nostra testimonianza. Dobbiamo diventare persone bibliche, vivificate dallo
spirito del Vangelo che le trasforma in Vangeli viventi, gettati come semente e lievito
nel nostro contesto, per coltivarvi la cultura del Vangelo, invece che sia la società
a modellarci secondo la sua cultura materialista, egoista e relativista. La Parola
di Dio rimane la sorgente spirituale e il tesoro teologico delle nostre liturgie vive. È
stato ricordato che i nostri fedeli hanno una grande sete della Parola di Dio e non
trovandola da noi, vanno spesso a dissetarsi altrove. È per questo che abbiamo bisogno
di molte persone specializzate in Sacra Scrittura, sicure accademicamente, ma soprattutto
pastoralmente e spiritualmente. I presbiteri hanno come primo dovere quello di proclamare
la Parola di Dio. Hanno un carisma speciale per l’interpretazione della Sacra Scrittura
quando, comunicando non le loro idee personali, ma la Parola di Dio, applicano la
perenne verità del Vangelo alle circostanze concrete della vita (cfr. Presbyterorum
Ordinis 4). Aiutino dunque i fedeli a vedere in Gesù Cristo il compimento di tutte
le Scritture e a sottomettere i fatti della propria storia alla luce della Parola
(cfr. Sal 118, 105). Bisogna precisare il concetto di “rivelazione”, molto ambiguo
a causa della diversa concezione dall’Islam. Per noi, la rivelazione è l’intervento
salvifico di Dio nella storia dell’uomo, attraverso avvenimenti storici sperimentati
come gesti di amore gratuito di Dio verso i suoi fedeli. Essa è il dialogo fra Dio
e l’uomo nella storia. L’annuncio orale di questi interventi fa parte di questa “rivelazione”,
poiché trasmette la fede di generazione in generazione. La Sacra Scrittura è una sintesi
della rivelazione, ma rimane “lettera morta” per il lettore, se questi non la riceve
come “trasmissione di fede” della sua Chiesa e della sua comunità cristiana. L’annuncio,
l’ascolto, la lettura o la meditazione della Bibbia sono incontro con la persona stessa
di Cristo. Per questo si è insistito sul posto privilegiato della liturgia e delle
celebrazioni della Parola in piccoli gruppi sull’esempio delle prime comunità cristiane,
per una comprensione esistenziale della Parola di Dio. Poiché è celebrando questa
Parola che essa diventa viva ed efficace nella vita di quanti l’ascoltano, la meditano,
la celebrano e trovano il proprio cammino alla luce di essa. Abbiamo bisogno che
la Parola di Dio sia il fondamento di qualsiasi educazione e formazione nelle nostre
famiglie, nelle nostre Chiese e nelle nostre scuole, soprattutto nella nostra condizione
di minoranze in società a maggioranza non cristiana, dove predominano la cultura e
i valori di questa maggioranza, che invadono tutti i campi della vita pubblica e rischiano
di impadronirsi del nostro pensiero e dei nostri comportamenti. Abbiamo bisogno che
la Parola di Dio evangelizzi la nostra vita, affinché la nostra vita evangelizzi la
nostra società.
I. LA PRESENZA CRISTIANA IN MEDIO ORIENTE
A. SITUAZIONE
DEI CRISTIANI IN MEDIO ORIENTE
1. Breve excursus storico: unità nella molteplicità
È
dall’Oriente che la luce di Cristo è arrivata. E Cristo rimane sempre il vero Sole
invincibile che non conosce eclisse. Il volto di Cristo brilla come il sole (Mt 17,2)
e illumina tutta la storia dell’umanità. La Chiesa di Gerusalemme, nata il giorno
di Pentecoste, è stata l’origine di tutte le Chiese particolari. Da Gerusalemme, dall’Oriente,
sono nate le nostre Chiese e tutte le Chiese di Cristo. Il cristianesimo ha le sue
radici in Oriente, vi è cresciuto e da lì si è diffuso in Occidente fino agli estremi
confini della terra. La conversione di san Paolo è avvenuta a Damasco, da dove è partito
per l’Arabia ed è divenuto “l’Apostolo delle genti”. Le Chiese si sono moltiplicate,
ma erano unite dalla Parola di Dio, dai Sacramenti e dall’insegnamento degli Apostoli.
L’unità è una componente essenziale del cristiano e della Chiesa di Cristo: “La moltitudine
di coloro che erano diventati credenti aveva un cuor solo e un’anima sola” (At 4,32). Purtroppo,
a seguito dei conflitti nel corso della sua storia la Chiesa ha subito varie divisioni.
Si rende necessario un profondo studio della storia e della teologia per comprendere
meglio quei tragici avvenimenti e promuovere così il dialogo ecumenico.
2.
Comunità apostoliche in una terra apostolica
“Andate in tutto il mondo e predicate
il vangelo ad ogni creatura” (Mc 16,15). Sono queste le parole di Gesù nel momento
di lasciare i suoi discepoli. Gesù prende l’iniziativa di dare fiducia ai suoi apostoli
che non avevano creduto a quelli che lo avevano visto risorto: “Andate! Proclamate!”
Gesù ha comandato agli apostoli non solo di annunciare il Vangelo ma di annunciarlo
al mondo intero. Questa è la missione della Chiesa. Essere cristiano vuol dire essere
missionario. Non si è cristiani se non si è missionari. L’annuncio è un dovere della
Chiesa e del cristiano. L’annuncio rispettoso e pacifico non è affatto proselitismo. Gli
Apostoli e la Chiesa nascente nelle nostre terre sono stati fedeli a questo comandamento
del Maestro portando la fede in Gesù Cristo fino agli estremi confini della terra,
spesso a prezzo del martirio. Il loro sangue è stato seme di numerose Chiese. Le prime
Chiese sono il frutto della morte e della risurrezione di Cristo. Le nostre Chiese
sono state l’avamposto delle missioni. Per le loro radici e le loro storie missionarie,
le nostre Chiese sono aperte all’oikoumene, all’universalità, in quanto piattaforme
dove s’incontrano l’Oriente e l’Occidente. Anche a noi Gesù chiede oggi di continuare
l’azione degli Apostoli e delle nostre Chiese d’origine. Gesù non cessa di inviare
la sua Chiesa, di inviarci: “Andate in tutto il mondo”. Siamo dunque inviati in missione
nel mondo della nostra scuola, del nostro villaggio, del nostro lavoro, del nostro
Paese, e di tutta la terra. Gesù non ci chiede di provare, di convincere, ci chiede
semplicemente di testimoniare con gioia e forza la nostra fede. La Chiesa è dunque,
per sua natura, essenzialmente missionaria (Ad gentes, 20). L’annuncio del Vangelo
e l’annuncio di Cristo a tutti i popoli è un dovere supremo delle nostre Chiese e
di tutte le Chiese. Le nostre Chiese hanno bisogno di una conversione missionaria
per vivificare in noi il senso, l’ardore, lo slancio e il dinamismo missionario. L’azione
missionaria deve ritrovare il proprio posto nella vita delle nostre Chiese Orientali.
Dobbiamo ritrovarvi l’impegno rinnovato all’evangelizzazione, sia all’interno dei
nostri Paesi, sia all’esterno: “Guai a me se non predicassi il vangelo” (1Cor 9,16).
La “missione” e “l’annuncio” devono trovare il loro posto nelle nostre Chiese, in
base alle possibilità concrete in ogni Paese. E per questo, la formazione missionaria
dei nostri fedeli, e soprattutto dei nostri responsabili della vita della Chiesa,
è indispensabile. A maggior ragione, la missionarietà deve essere strettamente legata
alla vocazione e al ministero del sacerdote. È auspicabile stabilire nella regione
almeno un Istituto di formazione missionaria. Dobbiamo soprattutto sostenere la missione
e i missionari con la preghiera.
3. Ruolo dei cristiani nella società, nonostante
il loro numero esiguo
I cristiani del Medio Oriente sono “cittadini indigeni”.
Appartengono di pieno diritto al tessuto sociale e all’identità stessa dei loro rispettivi
Paesi. Bisogna rafforzare questa convinzione nell’animo dei pastori e dei fedeli,
per aiutarli a vivere con serenità, forza e impegno nella loro patria. I Padri
Sinodali hanno molto parlato delle condizioni che favoriscono la vita dei cristiani
nei nostri paesi. Il contesto socio-politico è un fattore importante in questo campo.
La laicità positiva è stata evocata come fattore favorevole. Ma il termine stesso
non è ben accetto nei nostri contesti. È sospetto di ateismo o quanto meno di laicismo
che si discosta dalla dimensione religiosa e dall’apertura a Dio e all’assoluto. Ad
esso, si preferisce il termine di “stato civico”. Gli emigrati dovranno dunque confrontarsi
con il termine “laicità”. Il termine “cittadinanza” è anch’esso problematico, visto
che in Oriente se ne ha una concezione più ristretta che in Occidente. Lo stato civico
indica un sistema socio-politico basato sul rispetto dell’uomo e della sua libertà,
sui diritti che gli sono inerenti per la sua natura umana, sull’uguaglianza e sulla
cittadinanza completa, nonché sul riconoscimento del ruolo della religione stessa
nella vita pubblica e sui valori morali. Questo sistema riconosce e garantisce la
libertà religiosa, libertà di culto come pure libertà di coscienza. Distingue fra
ordine civile e ordine religioso, senza predominio dell’uno sull’altro, e nel rispetto
dell’autonomia di ciascuno. La religione non deve essere politicizzata né lo Stato
prevalere sulla religione. È richiesta una presenza di qualità perché possa avere
un impatto reale ed efficace sulla società. Questo richiede una solida formazione
dei pastori, come pure dei fedeli, dottrinale, spirituale e sociale, soprattutto dei
giovani. Le nostre Chiese devono risvegliare l’audacia dell’impegno dei fedeli ad
una presenza visibile e incisiva nella vita pubblica, nell’amministrazione, nella
funzione pubblica, nei partiti democratici pluriconfessionali, rendendosi “indispensabili”
grazie alla qualità, all’efficacia e alla capacità di servire onestamente il bene
comune. Ciò che conta non è il numero di persone nella Chiesa, ma che queste vivano
la loro fede e possano effettivamente trasmettere un messaggio. Qui la famiglia ha
un ruolo essenziale nell’educazione dei figli in questo spirito e in questa prospettiva.
È importante anche formare le menti alla “cittadinanza”, affinché questa penetri
nelle mentalità e nello stile di vita. I moderni media (sms, website, internet, televisione,
radio) hanno un ruolo importante in questo campo. Essi offrono uno strumento potente
e prezioso per diffondere il messaggio cristiano, affrontare le sfide che si oppongono
a questo messaggio e comunicare con i fedeli della diaspora. A tale scopo bisogna
formare dei quadri specializzati. I cristiani orientali devono impegnarsi per il bene
comune, in tutti i suoi aspetti, come hanno sempre fatto. Attraverso la presentazione
della Dottrina sociale della Chiesa, la cui assenza è stata notata, le nostre comunità
offrono un valido contributo alla costruzione della società. La promozione della famiglia
e la difesa della vita dovrebbero occupare un posto principale nell’insegnamento e
nella missione delle nostre Chiese. L’educazione è un campo privilegiato della nostra
azione e un investimento enorme. Nella misura del possibile, le nostre scuole potrebbero
aiutare maggiormente i più bisognosi. Malgrado molti sacrifici, esse costituiscono
un po’ il centro della nostra presenza nella città, in quanto luoghi privilegiati,
spesso gli unici, per una coesistenza positiva e costruttiva, ecumenica e interreligiosa.
Esse promuovono e rafforzano come valori evangelici e umani gli stessi diritti umani,
la non violenza, il dialogo, l’apertura, l’armonia e la pace. In alcuni Paesi esse
sono l’unico luogo di formazione cristiana. Devono essere mantenute ad ogni costo.
Ringraziamo tutti coloro che ci aiutano a riuscirvi. Con le loro attività sociali,
sanitarie e caritative, accessibili a tutti i membri della società, le nostre Chiese
collaborano visibilmente al bene comune. Per assicurare la sua credibilità evangelica,
la Chiesa deve trovare i modi per garantire la trasparenza nella gestione del denaro,
distinguendo chiaramente ciò che le appartiene da ciò che appartiene al personale
della Chiesa. In vista di questo, sono necessarie strutture adeguate.
B. LE
SFIDE CHE I CRISTIANI DEVONO AFFRONTARE
1. I conflitti politici nella regione
Le
situazioni politico-sociali dei nostri Paesi hanno una ripercussione diretta sui cristiani,
che risentono più fortemente delle conseguenze negative. Pur condannando la violenza
da dovunque provenga, e invocando una soluzione giusta e durevole del conflitto israelo-palestinese,
esprimiamo la nostra solidarietà con il popolo palestinese, la cui situazione attuale
favorisce il fondamentalismo. Chiediamo alla politica mondiale di tener sufficientemente
conto della drammatica situazione dei cristiani in Iraq, che sono la vittima principale
della guerra e delle sue conseguenze. In base alle possibilità presenti in ogni
Paese, i cristiani devono favorire la democrazia, la giustizia e la pace, e la laicità
positiva nella distinzione fra religione e Stato e il rispetto di ogni religione.
Un atteggiamento di impegno positivo nella società è la risposta costruttiva sia per
la società sia per la Chiesa. Le Chiese in Occidente sono pregate di non schierarsi
per gli uni dimenticando il punto di vista e le condizioni degli altri.
2.
Libertà di religione e libertà di coscienza
I diritti umani sono la base che
garantisce il bene della persona umana integrale, criterio di ogni sistema politico.
La libertà religiosa è una componente essenziale dei diritti dell’uomo. La mancanza
di libertà religiosa è quasi sempre associata alla privazione dei diritti fondamentali.
La libertà di culto, che è un aspetto della libertà religiosa, nella maggior parte
dei nostri Paesi, è garantita dalle costituzioni. Ma anche qui, in alcuni Paesi, certe
leggi o pratiche ne limitano l’applicazione. L’altro aspetto della libertà religiosa
è la libertà di coscienza, basata sulla libera scelta della persona. La libertà di
coscienza è affermata nella “Dichiarazione Universale dei Diritti dell’Uomo” (10.12.1948,
art. 18) e ratificata dalla maggior parte degli Stati della nostra regione. La libertà
religiosa non è un relativismo che considera uguali tutti le fedi religiose. Essa
è la conseguenza del dovere che ciascuno ha di aderire alla verità, in base ad una
convinta scelta di coscienza e nel rispetto della dignità di ogni persona. Con tutte
le persone di buona volontà, la Chiesa si sforza di promuovere il pluralismo nell’uguaglianza.
L’educazione in questo senso è un apporto prezioso al progresso culturale del Paese
per una maggiore giustizia e uguaglianza davanti al diritto.La libertà religiosa comporta
anche il diritto all’annuncio della propria fede, che è un diritto e un dovere di
ogni religione. L’annuncio pacifico è molto diverso dal “proselitismo” che la Chiesa
condanna fermamente in tutte le sue forme. Secondo Wikipedia, “il termine proselitismo
viene dal termine proselita, dal latino ecclesiastico ‘proselytus’, dal greco προσήλυτος
‘nuovo venuto (in un paese)’. Nel Nuovo Testamento, questo termine è utilizzato correntemente
per indicare una persona venuta dal paganesimo, che si riavvicina al monoteismo ebraico
poi cristiano (Mt 23,15; Gv 12,20; At 2,10; ecc.). Il proselitismo dunque indica l’atteggiamento
di coloro che cercano di suscitare proseliti, nuovi aderenti alla loro fede. Per estensione,
esso indica lo zelo messo in campo per far aderire delle persone ad una dottrina.
Il termine oggi ha una connotazione negativa nella sua utilizzazione quando si riferisce
alle attività religiose o politiche”. Bisogna osservare che questo significato si
applica a quelle attività quando utilizzano mezzi disonesti o fraudolenti, o abusano
della propria autorità, ricchezza o potere per attirare nuovi adepti. L’annuncio che
la Chiesa reclama è al contrario la proclamazione e la presentazione serena e pacifica
della fede in Gesù Cristo.
3. I cristiani e l’evoluzione dell’Islam contemporaneo
A
partire dagli anni settanta, constatiamo nella regione l’avanzata dell’Islam politico,
che comprende diverse correnti religiose. Esso colpisce la situazione dei cristiani,
soprattutto nel mondo arabo. Vuole imporre un modello di vita islamico a tutti i cittadini,
a volte con la violenza. Costituisce dunque una minaccia per tutti, e noi dobbiamo,
insieme, affrontare queste correnti estremiste.
4. L’emigrazione
L’emigrazione
è una delle grandi sfide che minacciano la presenza dei cristiani in alcuni Paesi
del Medio Oriente. Tale questione che è una preoccupazione comune a tutte le Chiese,
dovrebbe essere presa in considerazione dentro una concertazione ecumenica. Le cause
principali di questo preoccupante fenomeno sono le situazioni economiche e politiche,
l’avanzata del fondamentalismo e la restrizione delle libertà e dell’uguaglianza,
fortemente aggravate dal conflitto israelo-palestinese e dalla guerra in Iraq. I giovani,
le persone istruite e le persone agiate sono i più numerosi ad andare via, privando
la Chiesa e il Paese delle risorse più valide. L’emigrazione è diventata un fenomeno
generale che tocca cristiani e musulmani. Essa priva le nostre Chiese e i nostri Paesi
di elementi validi e moderati. Potrebbe costituire un soggetto di dialogo sincero
e franco con i musulmani sulle ragioni che spingono ad andare via, soprattutto per
i cristiani. L’emigrazione è un diritto naturale lasciato alla libera scelta delle
persone e delle famiglie, soprattutto per coloro che si trovano in condizioni difficili.
Ma la Chiesa ha il dovere d’incoraggiare i suoi fedeli a rimanere come testimoni,
apostoli, e costruttori di pace e di benessere nel loro Paese. I Pastori dovrebbero
rendere i loro fedeli più consapevoli della loro vocazione, della loro missione e
del loro ruolo storico nel loro Paese in quanto portatori del messaggio di Cristo
del loro Paese, pur nelle difficoltà e persecuzioni. La loro mancanza inciderebbe
gravemente sul futuro. È ad una fede profonda che i cristiani attingeranno le ragioni
per vivere coraggiosamente e gioiosamente il loro cristianesimo nel loro Paese. È
importante evitare qualsiasi discorso disfattista o di incoraggiare l’emigrazione
quale opzione preferenziale. D’altra parte bisogna promuovere le condizioni che
favoriscono la scelta di rimanere. Spetta ai responsabili politici consolidare la
pace, la democrazia e lo sviluppo per favorire un clima di stabilità e di fiducia.
I cristiani, con tutte le persone di buona volontà, sono chiamati a impegnarsi positivamente
nella realizzazione di questo obiettivo. Una maggiore sensibilizzazione delle Istanze
internazionali al dovere di contribuire allo sviluppo dei nostri Paesi sarebbe di
grande aiuto in questo senso. Numerosi interventi hanno evidenziato le relazioni
molto positive fra le Comunità Cattoliche Orientali nella diaspora e la Chiesa latina
locale del Paese di accoglienza. Così, negli Stati Uniti, in Oceania, Australia e
in molti Paesi d’Europa. I Cristiani che arrivano dal Medio Oriente bussano alla porta
del cuore dei loro fratelli e sorelle in Occidente e ne risvegliano la coscienza cristiana.
Le nostre Chiese sono molto riconoscenti alle Chiese dei Paesi di accoglienza per
l’aiuto prezioso che danno ai nostri fedeli emigrati. I Padri Sinodali hanno richiamato
l’attenzione sulla necessità e importanza di far conoscere ai cristiani d’Europa le
cause che fanno sì che migliaia e milioni di cristiani lascino il Medio Oriente. Si
potrebbe nominare un Vicario Patriarcale orientale per il coordinamento della pastorale
per i fedeli della sua Chiesa nella diaspora. Le Chiese d’accoglienza dovrebbero
aiutare gli emigrati ad avere le proprie strutture: parrocchie, scuole, centri di
incontro e altre. Questo richiede strutture di accoglienza, d’inquadramento sociale
e culturale, e di accompagnamento. La maggior parte delle Diocesi di accoglienza hanno
una pastorale adeguata per gli emigrati, con una sezione speciale per le comunità
orientali. Con gratitudine apprezziamo molto questa lodevole sollecitudine e questa
attenzione solidale. I cristiani d’Occidente esprimeranno efficacemente il loro sostegno
ai cristiani del Medio Oriente, venendo in aiuto dei loro fratelli d’Oriente e sostenendoli. Le
Chiese di accoglienza, nelle loro norme e pratiche sacramentali e amministrative,
sono anche invitate a conoscere e a rispettare la teologia, le tradizioni e i patrimoni
orientali. Uno dei ruoli delle Chiese d’accoglienza è anche quello di accompagnare
gli emigrati, gravati dal doloroso ricordo di atti umilianti ed offensivi, in un’iniziativa
di perdono. Queste Chiese opereranno perché i loro Paesi prendano misure adeguate
per garantire il rispetto, la dignità e i diritti della persona umana e della famiglia.
Questa deve poter restare unita e trovare il necessario per una vita dignitosa e gradita
a Dio. Le Chiese in Nord Africa auspicano la collaborazione con le Chiese in Medio
Oriente e la presenza di sacerdoti arabi per incrementare il dialogo con i musulmani.
La Chiesa cattolica latina del Maghreb vive in un contesto plurale ed ecumenico soddisfacente.
Le Chiese latine del Golfo hanno spiegato la particolare e complessa situazione in
cui si trovano e che le porta ad adottare delle strutture e uno stile pastorale che
appaiono restrittivi. Esse affermano di fare il massimo per rispondere ai bisogni
immensi degli emigrati, nei limiti di possibilità civili e religiose costrittive.
I Padri Sinodali sono ritornati con insistenza e di frequente sul bisogno di estendere
la giurisdizione dei Patriarchi sui fedeli del loro rito al di fuori del territorio
della Chiesa Patriarcale sui iuris. Essi auspicano vivamente il passaggio dal concetto
territoriale al concetto personale. La limitazione della giurisdizione del Patriarca
ai fedeli della sua Chiesa sui iuris è logica, ma ad una dimensione delle persone
e non del territorio. Come si può essere “Padre e Capo” di persone sottratte all’autorità?
Questa estensione di giurisdizione si colloca nel quadro dell’adattamento pastorale
del servizio dei fedeli orientali nella diaspora. La comunione è una relazione personale,
animata dallo Spirito Santo. Questa prospettiva è molto importante per il dialogo
ecumenico e il cammino verso la perfetta unità. L’emigrazione costituisce anche
un sostegno notevole ai Paesi e alle Chiese. La Chiesa del Paese d’origine deve trovare
i mezzi per mantenere stretti legami con i propri fedeli emigrati e assicurare loro
assistenza spirituale. È indispensabile assicurare la Liturgia, nel loro rito, ai
fedeli delle Chiese Orientali che si trovano in un territorio latino. La liquidazione
delle proprietà in patria è altamente sconsigliabile. La conservazione o l’acquisizione
di beni fondiari incoraggerebbe a ritornare. La terra afferma e rafforza l’identità
e l’appartenenza e queste reclamano un radicamento alla terra. Le comunità della Diaspora
hanno il ruolo di incoraggiare e consolidare la presenza cristiana in Oriente in vista
di renderne più forte la testimonianza e sostenerne le cause, per il bene comune del
Paese. Una pastorale adeguata deve prendersi cura dell’emigrazione interna in ogni
Paese.
5. L’immigrazione cristiana internazionale in Medio Oriente I Paesi
del Medio Oriente conoscono un nuovo importante fenomeno: l’accoglienza di molti lavoratori
africani e asiatici, in maggioranza donne. Questi vengono a trovarsi in un contesto
a prevalenza musulmana e a volte con scarse possibilità per la pratica religiosa.
Molti si sentono abbandonati, messi di fronte ad abusi e trattamenti scorretti, a
situazioni di ingiustizia e d’infrazione delle leggi e delle convenzioni internazionali.
Alcuni emigranti cambiano nome per essere accettati meglio e aiutati. Le nostre
Chiese devono fare uno sforzo più consistente per aiutarli, con l’accoglienza, l’accompagnamento
e l’assistenza umana, religiosa e sociale. In ognuno dei nostri Paesi, le nostre Chiese
cattoliche devono stabilire per queste esigenze una pastorale adeguata, in un’azione
coordinata fra i Vescovi, le Congregazioni religiose e le Organizzazioni sociali e
di beneficienza. Questo richiede anche una cooperazione fra le istanze cattoliche
locali e la gerarchia delle Chiese di provenienza.
C. RISPOSTA DEI CRISTIANI
NELLA LORO VITA QUOTIDIANA
La testimonianza cristiana a tutti i livelli è la
risposta principale nelle circostanze in cui i cristiani vivono. Il perfezionamento
di questa testimonianza, seguendo sempre di più Gesù Cristo, è un’esigenza necessaria
a tutti i livelli: clero, Ordini, Congregazioni, Istituti e Società di vita apostolica,
come pure laici, secondo la vocazione propria di ciascuno. La formazione del clero
e dei fedeli, le omelie e la catechesi devono approfondire e rendere più forte il
senso della fede e la coscienza del ruolo e della missione nella società, come traduzione
e testimonianza di questa fede. È necessario realizzare un rinnovamento ecclesiale:
conversione e purificazione, approfondimento spirituale, determinazione della priorità
della vita e della missione. Uno sforzo particolare deve essere fatto per individuare
e formare i “quadri” necessari a tutti i livelli. Questi devono essere un modello
di testimonianza, per sostenere e incoraggiare i loro fratelli e sorelle soprattutto
in tempi difficili. È opportuno anche formare quadri per la presentazione del cristianesimo
sia ai cristiani poco attenti alla Chiesa o lontani da essa, sia ai non cristiani.
La qualità dei quadri è più importante della quantità. È indispensabile la formazione
permanente. Una particolare attenzione deve essere data ai giovani, forza del presente
e speranza del futuro. I cristiani devono essere incoraggiati ad impegnarsi nelle
istituzioni pubbliche per la costruzione della città comune. Il pericolo che minaccia
i cristiani del Medio Oriente non deriva soltanto dalla loro situazione di minoranza
né da minacce esterne, ma soprattutto dal loro allontanamento dalla verità del Vangelo,
dalla loro fede e dalla loro missione. La duplicità della vita, per il cristianesimo,
è più pericolosa di qualsiasi altra minaccia. Il vero dramma dell’uomo non è il fatto
che soffra a causa della sua missione, ma che non abbia più una missione, per cui
perde il senso e lo scopo della propria vita. Anche nelle situazioni difficili e drammatiche,
la risposta cristiana nella vita quotidiana saranno l’impegno pastorale, le opere
di carità e le iniziative culturali ed educative di grande qualità. Ci sono esempi
concreti che dimostrano questo impegno, come in Turchia e altrove.
II. LA COMUNIONE
ECCLESIALE
A. PARTECIPAZIONE AL MISTERO PASQUALE: MORTE E RISURREZIONE DI CRISTO Il
mistero della Chiesa consiste nella sua identità come “Corpo di Cristo”. La Chiesa
è essenzialmente comunione con Gesù Cristo: “Rimanete in me e io in voi... Io sono
la vite, voi i tralci” (Gv 15, 4-5). “Chi mangia la mia carne e beve il mio sangue
dimora in me e io in lui” (Gv 6,56). Cristo è “il capo del corpo, cioè della Chiesa”
(Col 1,18). Ci unisce alla sua Pasqua: tutte le membra devono sforzarsi di assomigliare
a Lui “finché non sia formato Cristo” in esse (Gal 4,19). “Perciò siamo collegati
ai misteri della sua vita… associati alle sue sofferenze, come il corpo al capo e
soffriamo con lui per essere con lui glorificati” (LG 7). Provvede alla nostra crescita
(Col 2,19) per farci crescere verso di Lui, nostro Capo (cfr. Ef 4,11-16), Cristo
dispone nel suo Corpo, la Chiesa, i doni e i ministeri attraverso i quali noi ci aiutiamo
reciprocamente lungo il cammino della salvezza. Cristo e la Chiesa formano, dunque,
il ‘Cristo totale’. La Chiesa è una con Cristo (Catechismo della Chiesa cattolica,
787-795). Fonte e modello della comunione non è dunque altro che la vita trinitaria
di Dio Padre, Figlio e Spirito Santo. La partecipazione dei battezzati alla comunione
trinitaria crea la comunione fra le persone e le comunità. La Chiesa universale è
una comunione di Chiese. La Chiesa realizza la comunione al mistero pasquale, morte
e risurrezione di Cristo. La comunione vive profondamente l’unità nella diversità
e la diversità nell’unità. Questo contribuirà a rivelare la bellezza delle venerabili
tradizioni delle nostre Chiese, in una comunione profonda che rispetti le ricchezze
particolari. La comunione è la prima necessità nella realtà complessa del Medio
Oriente, e la migliore testimonianza alle nostre società. “Senza la comunione non
c’è testimonianza” (Benedetto XVI). È una comunione di fede e di carità che ci lega
alla Chiesa universale. Dobbiamo approfondire un’ecclesiologia di comunione. Essa
sarà di aiuto anche nel dialogo ecumenico e interreligioso. Abbiamo bisogno di valorizzare
meglio, comprendere meglio, e praticare meglio l’unità della Chiesa. È indispensabile
insegnare la Chiesa come “comunione”, nella catechesi, nelle omelie, nella formazione
del clero, dei religiosi e delle religiose, e dei laici. La comunione è chiamata ad
essere innanzitutto affettiva, prima di diventare effettiva. È importante coltivare
un senso profondo della comunione spirituale, dell’appartenenza ad una stessa Chiesa.
B.
PARTECIPAZIONE AL MISTERO DELLA CHIESA: UNA, SANTA, CATTOLICA E APOSTOLICA
1.
Comunione in seno alla Chiesa Cattolica (ad intra)
La ‘comunione’ fra le Chiese
è il primo obiettivo e il primo compito di questo Sinodo. La comunione ha il suo fondamento
e nutrimento nella Parola di Dio, nei Sacramenti, specialmente il Battesimo e la Eucaristia,
e nell’unione con il Vescovo di Roma, successore di Pietro. Siamo prima di tutto membra
dello stesso Corpo di Cristo, della stessa Chiesa, dunque chiamati ad una stretta
collaborazione, ad uno stile di vita solidale, caritatevole e fraterno. I Pastori
devono aiutare i fedeli a conoscere, apprezzare, amare e vivere la bellezza della
varietà plurale della Chiesa, nell’unità e nella carità. Dobbiamo annunciare e insegnare
il senso della Chiesa una, nelle chiese, nelle scuole, nei seminari, nel catechismo,
nelle case di formazione, nei movimenti e in tutte le istituzioni delle nostre Chiese.
L’utilizzazione dei media è in questo indispensabile e estremamente proficua. La
comunione deve cominciare all’interno di una stessa Chiesa sui iuris. È per questo
che bisognerà consolidare le strutture di comunione nel Sinodo Patriarcale di ogni
Chiesa. Un’espressione concreta di questa comunione sarebbe la solidarietà del personale
e dei beni fra le Diocesi. È auspicabile stabilire strutture di comunione per progetti
pastorali comuni: un solo seminario interrituale in ogni Paese, una pastorale comune
nella regione per i giovani, la catechesi, la famiglia e tanti altri settori comuni.
I Pontefici e la Santa Sede invitino gli Ordini, le Congregazioni e i Movimenti di
origine occidentale ad adottare la lingua, il rito e la liturgia del Paese in cui
esercitano la loro missione, e ad inserirsi completamente nella sua pastorale d’insieme.
Questo assicurerà una maggiore inculturazione nel patrimonio spirituale, patristico,
liturgico, culturale e linguistico del luogo, per rafforzare la comunione e la testimonianza.
Devono evitare accuratamente di fare gruppo a sé. Le difficili circostanze del
momento attuale sono un incentivo ad una maggiore coesione fra le comunità cristiane,
superando qualsiasi confessionalismo, per dare risposte positive e costruttive alle
grandi sfide attuali. Il confessionalismo e l’attaccamento esagerato all’etnia rischiano
di trasformare le nostre Chiese in ghetti e farle chiudere in se stesse. Una Chiesa
etnica o nazionalista ostacola l’azione dello Spirito ed è in contrasto con la missione
universale della Chiesa. Abbiamo necessità che tutte le Chiese della nostra regione
si uniscano nella riflessione e nell’azione relative ai nostri problemi comuni, come
i diritti umani e gli altri temi cruciali. Le Comunità cattoliche devono collaborare
insieme. Bisogna incoraggiare una riunione periodica dei Vescovi della regione. Il
Consiglio dei Patriarchi Cattolici d’Oriente potrà esaminare questo tema nella sua
prossima Assemblea e fissare la data, il luogo e la partecipazione economica dei membri.
È uno strumento potente per stabilire una pastorale d’insieme per la regione, e rendere
il Consiglio dei Patriarchi più presente e più efficace. Una struttura post-sinodale
dovrebbe dare seguito all’applicazione di questo Sinodo nella vita delle nostre Chiese.
Sarebbe auspicabile che essa fosse in rapporto con il Santo Padre e con la Santa Sede.
Devono essere incoraggiate le relazioni inter-ecclesiali, non solo fra le Chiese
sui iuris del Medio Oriente, ma anche con le Chiese Orientali e con la Chiesa latina
della Diaspora, in stretta unione con il Santo Padre, la Santa Sede e i Rappresentanti
Pontifici. La nostra comunione con le Chiese in Occidente ha radici storiche profonde.
L’Europa deve la sua fede alle Chiese d’Oriente (At 16,9-10). La vita monastica in
Occidente è stata ispirata dal monachesimo del Medio Oriente. Oggi l’Occidente accoglie
e accompagna le comunità di emigranti del Medio Oriente, siano esse di antica o recente
data. Siamo loro molto riconoscenti. Per una maggiore comunione, sarà necessario assicurare
al clero latino in Occidente una conoscenza di base della teologia sacramentale ed
ecclesiologica delle Chiese Orientali e far conoscere ai fedeli latini la realtà e
la storia delle Chiese Orientali. Qualcuno ha auspicato anche che i Patriarchi,
per la loro identità di “Padri e Capi” di Chiese sui iuris, che fanno parte della
cattolicità della Chiesa Cattolica, fossero ipso facto membri del Collegio degli elettori
del Sommo Pontefice.
2. Comunione tra i Vescovi, il clero e i fedeli
La
comunione deve realizzarsi visibilmente e praticamente in primo luogo all’interno
di ogni Chiesa. E innanzitutto, dobbiamo ricordarci che può essere fatta solo sulla
base dei mezzi spirituali: Eucaristia, preghiera e Parola di Dio. Occorrerà creare
o riattivare le strutture di comunione e della pastorale. Il Codice dei Canoni delle
Chiese Orientali definisce strutture di comunione molto preziose. Iniziamo a farle
conoscere e a metterle fedelmente in pratica. Sarebbe auspicabile la creazione dei
consigli pastorali interrituali. È di fondamentale importanza la valorizzazione
del ruolo dei laici, uomini e donne, e della loro partecipazione nella vita e nella
missione della Chiesa. Che questo Sinodo sia per loro e per tutta la Chiesa una vera
primavera spirituale, pastorale e sociale. Abbiamo bisogno di rafforzare l’impegno
dei laici nella pastorale comune della Chiesa. La donna, consacrata e laica, dovrebbe
trovarvi il posto e la missione adeguati A livello del clero, deve essere incoraggiata
la comunione ecclesiale. Esistono associazioni di amicizia e di spiritualità comune
che dovrebbero essere sostenute e rafforzate. Il ministero dei sacerdoti in équipe
si rivela difficile, ma non bisogna disperare. Un Padre sinodale ha suggerito la creazione
di una “banca di sacerdoti” o di una associazione di “sacerdoti senza frontiere” per
rispondere alle necessità delle Chiese che ne sono prive, in uno spirito di comunione.
La stessa cosa potrebbe essere fatta anche a livello dei laici, sulla base del sacerdozio
comune del cristiano. I fedeli e tutta la Chiesa di Dio si aspetta dai pastori, dalle
persone consacrate e dai responsabili delle attività pastorali una vita più conforme
alla radicalità del Vangelo. Senza questa irradiazione di santità, la loro vita e
la loro azione resterebbero sterili. Sono anzitutto testimoni e icone viventi di Cristo.
A livello dei religiosi, delle religiose, delle persone consacrate e dei movimenti
ecclesiali, abbiamo il dovere di accoglierli, incoraggiarli, alimentarli spiritualmente
e integrarli sempre più nella vita e nella missione della Chiesa. Non bisogna né temere,
né scartare le nuove realtà ecclesiali. Sono il dono prezioso e indispensabile dell’azione
dello Spirito Santo nella Chiesa e nel mondo di oggi. Dobbiamo riscoprire il valore
e i tesori della vita monastica e contemplativa, parte delle nostre terre. Le comunità
di vita contemplativa devono essere incentivate laddove esistono. Con la preghiera
possiamo preparare il terreno all'azione dello Spirito per suscitare la vita contemplativa
laddove non esiste. Gli Ordini esistenti nei nostri paesi renderebbero un servizio
prezioso alle nostre Chiese prendendo l’iniziativa di stabilire delle comunità in
altri luoghi o paesi. La vita religiosa e monastica è l’anima della Chiesa.
3.
Comunione con le Chiese e le comunità ecclesiali: ecumenismo )ad extra(
“Perché
tutti siano una sola cosa … perché il mondo creda” (Gv 17, 21). Questa preghiera di
Cristo deve essere portata avanti dai Suoi discepoli in tutti i tempi. La divisione
dei cristiani è contraria alla volontà di Cristo, costituisce uno scandalo e ostacola
l’annuncio e la testimonianza. La missione e l’ecumenismo sono strettamente correlate.
Le Chiese cattoliche e ortodosse hanno molto in comune, tanto che i Papi Paolo VI,
Giovanni Paolo II e Benedetto XVI parlano di “comunione praticamente completa”. Ciò
deve essere messo in risalto più delle diversità. Si dovranno anche sottolineare e
diffondere i risultati positivi nel campo dell'ecumenismo. Allo stesso tempo, abbiamo
bisogno di fare un sincero esame di coscienza su ciò che abbiamo omesso di fare. Occorre
uno sforzo sincero per superare i pregiudizi, per capirsi meglio e puntare alla pienezza
di comunione nella fede, nei sacramenti e nel servizio gerarchico. Questo Sinodo dovrebbe
favorire la comunione e l’unità con le Chiese sorelle ortodosse e le comunità ecclesiali.
Le divisioni dei cristiani sono contrarie all’essenza stessa della Chiesa e costituiscono
un intralcio per la sua missione (Lettera quinta dei Patriarchi cattolici d’Oriente
sull’ecumenismo). Ufficialmente, la Santa Sede ha appoggiato iniziative riguardanti
tutte le Chiese d‘Oriente, in collaborazione con le Chiese Orientali Cattoliche. È
necessario e molto utile farle conoscere ai cristiani di tutte le Chiese dei nostri
paesi. I media devono contribuire a questo. La Bibbia, Parola di Dio, è il frutto
di un dialogo tra Dio e l'umanità. Per questo dovrebbe essere una fonte privilegiata
per il dialogo con gli altri cristiani e i credenti di altre religioni. Un dialogo
di rispetto, di vita e di amore, un dialogo di un presente e di un futuro comuni.
Abbiamo constatato che l’ecumenismo sta attraversando attualmente una crisi. D’altra
parte, non si possono negare gli importanti passi avanti fatti fino a oggi, mediante
l’azione e la grazia dello Spirito Santo. Essi sono ragione e causa di fiducia e speranza.
Ci richiamano a un maggiore impegno, alla luce della Parola di Dio. Occorre che l’ecumenismo
diventi un obiettivo fondamentale nelle Assemblee e nelle Conferenze Episcopali. È
stata proposta la creazione di una commissione ecumenica nel Consiglio dei Patriarchi
cattolici d’Oriente. Si dovranno utilizzare i media per rafforzare e vivificare l'ecumenismo.
Potremmo pensare di lanciare e di sostenere dei media cristiani ecumenici. Sarebbe
molto utile un congresso ecumenico in ogni paese, per studiare insieme i risultati,
gli appelli e le raccomandazioni del Sinodo. L’azione ecumenica richiede comportamenti
appropriati: la preghiera, la conversione, la santificazione e lo scambio vicendevole
di doni, in uno spirito di rispetto, di amicizia, di carità reciproca, di solidarietà
e di collaborazione. L’unità è prima di tutto opera dello Spirito Santo e dono d’amore
del Cristo alla Sua Chiesa. Questi comportamenti sono da coltivare e incentivare,
attraverso l’insegnamento e i media. È auspicabile l’istituzione di commissioni locali
di dialogo ecumenico. Lo studio della storia delle Chiese orientali cattoliche, nonché
di quella della Chiesa di tradizione latina, permetterebbe di chiarire il contesto,
la mentalità e le prospettive legate alla loro nascita. Dobbiamo anche rafforzare
le iniziative e le strutture che esprimono e sostengono l’unità, come il Consiglio
delle Chiese del Medio Oriente e la settimana di preghiera per l’unità dei cristiani.
Bisogna fare tutto il possibile per consolidare il Consiglio delle Chiese del Medio
Oriente e aiutarlo a compiere la sua missione. La “purificazione della memoria” è
un passo importante nella ricerca della piena unità. È imprescindibile la collaborazione
per la pastorale e per le azioni comuni. Così la cooperazione negli studi biblici,
teologici, patristici e culturali favorirà lo spirito di dialogo. Potrebbe avere luogo
un’azione comune per la formazione degli esperti di comunicazione nelle lingue locali.
Nell’annuncio e nella missione, si eviteranno accuratamente ogni proselitismo e ogni
strumento in contrapposizione con il Vangelo. Sarebbe opportuno incentivare l’ecumenismo
della vita, cercando insieme di vivere meglio la nostra fede. A più riprese, è
stato espresso l'augurio di unificare le date di Natale e di Pasqua tra cattolici
e ortodossi. Si tratta di una necessità pastorale, visto il contesto pluralista della
regione e la quantità notevole di matrimoni misti tra cristiani di denominazioni ecclesiali
diverse. È anche una potente testimonianza di comunione… Come arrivarci? Auspichiamo
anche l’unificazione del testo arabo delle preghiere principali, a cominciare dal
"Padre Nostro". È stato accolto positivamente l'invito di un fratello delegato a inserire
una “festa dei martiri” da celebrare da parte di tutti i cristiani. Molti Padri Sinodali
hanno ricordato l’impatto positivo sul piano ecumenico e interreligioso delle Scuole
e delle Università cattoliche in Medio Oriente. Alcuni Padri Sinodali hanno espresso
l’augurio che le Chiese orientali siano più coinvolte nei dialoghi ecumenici tra la
Santa Sede e le altre Chiese e che diano il loro personale contributo a esso. Il
dialogo è un mezzo essenziale per l’ecumenismo. Richiede un atteggiamento positivo
di comprensione, di ascolto e di apertura all’altro. Ciò aiuterà a superare le diffidenze
e a lavorare insieme per sviluppare i valori religiosi e collaborare a progetti di
utilità sociale. I problemi comuni devono essere affrontati insieme. La ripetizione
del battesimo dei cattolici da parte degli ortodossi continua a essere motivo di sofferenza
e di indebolimento nel cammino verso l’unità. Si favorirà la collaborazione ecumenica
pratica nella diakonia di servizio e di carità. Auspichiamo la creazione di un manuale-guida
per l’azione ecumenica, adattato alla regione o al paese. Il dialogo teologico e il
dialogo della diakonia dovranno fondarsi sul dialogo spirituale, sulla preghiera e
tradursi incessantemente nel dialogo della vita. Si eviteranno accuratamente ogni
proselitismo e l'uso di qualunque strumento si opponga al Vangelo. Si potrebbe forse
stabilire un protocollo tra le Chiese che si impegnano a evitare ogni forma di proselitismo. Nella
preghiera, nella riflessione, nello studio e nella docilità all’azione dello Spirito
Santo, dobbiamo cercare di rispondere alla richiesta del Servo di Dio Papa Giovanni
Paolo II formulata nella sua enciclica “Ut unum sint” (25.05.1995) di proporre una
forma nuova di esercizio del primato, che non danneggi la missione del Vescovo di
Roma e che si ispiri alle forme ecclesiali del primo millennio. Se il Santo Padre
è d’accordo, potrebbe incaricare una commissione pluridisciplinare per lo studio di
questo delicato tema.
III. LA TESTIMONIANZA CRISTIANA: TESTIMONI DELLA RESURREZIONE
E DELL’AMORE
“Ciò che era fin da principio, ciò che noi abbiamo udito, ciò
che noi abbiamo veduto con i nostri occhi, ciò che noi abbiamo contemplato e ciò che
le nostre mani hanno toccato, ossia il Verbo della vita … noi lo annunziamo” (1 Gv
1,1-3). Gli Apostoli, la Chiesa delle origini e, attraverso di loro e dopo di loro,
tutti i cristiani sono testimoni della resurrezione e dell’amore. Come per Paolo di
Tarso, è l’incontro personale con il Risorto, incontro spirituale ma reale, che trasforma
il cristiano in vero testimone, fedele fino all’estrema testimonianza, il martirio.
Con questa esperienza, si avvicina a quella degli Apostoli, dei santi e dei martiri
attraverso i tempi. San Paolo elenca alcune qualità indispensabili per essere buoni
testimoni di Cristo: “ con ogni umiltà, mansuetudine e pazienza, sopportandovi a vicenda
con amore, cercando di conservare l'unità dello spirito per mezzo del vincolo della
pace” (Ef 4, 2-3). Solo quando avremo instaurato relazioni positive, potremo parlare
di Gesù e della sua Parola. Sforziamoci di essere fedeli ai consigli che ci dà San
Paolo e di accogliere le persone così come sono, amandole. Il ruolo profetico della
Chiesa e dei fedeli deve essere elaborato e approfondito. È parte integrante dell'annuncio
e della testimonianza.
A. LA CATECHESI, TESTIMONIANZA E ANNUNCIO PER LA CHIESA
Una
catechesi per oggi, da parte di persone ben preparate
La Chiesa rende testimonianza
al suo Signore e l’annuncia con la vita, le opere e la catechesi, soprattutto l’iniziazione
alla fede e ai sacramenti. Una formazione della fede solida e una vita spirituale
viva sono le migliori garanzie del consolidamento dell'identità cristiana illuminata,
aperta ed effusiva. La catechesi deve essere rivolta a tutte le fasce d'età, bambini,
giovani e adulti. I catechisti devono essere ben preparati per questa missione, mediante
una formazione adeguata che tenga conto dei problemi e delle sfide attuali. Dopo una
buona preparazione, i giovani possono essere buoni catechisti per altri giovani. Genitori
ben preparati parteciperanno all'attività catechistica nella famiglia e nella parrocchia.
La famiglia cristiana riveste un ruolo fondamentale nella trasmissione della fede
ai bambini. Le scuole cattoliche, le associazioni e i movimenti apostolici sono i
luoghi privilegiati per l’insegnamento della fede. Occorre formare i nostri fedeli
alla comprensione dell’Antico Testamento, nella visione dell'opera della salvezza.
Ciò permetterà loro di non cadere nella trappola del politicizzare i testi della Bibbia. La
catechesi deve essere integrale, includendo l'interesse per la tradizione, per la
vita vissuta, per la modernità secondo l'insegnamento cattolico e per il dialogo ecumenico
e interreligioso nella verità e nella carità. L’insegnamento religioso ai bambini,
ai giovani e agli adulti deve porre rimedio alla scomparsa dell’iniziazione cristiana
precedente al battesimo, impartito adesso ai neonati. L’educazione religiosa deve
essere integrata con l'educazione umana. La Dottrina Sociale della Chiesa, in generale
poco presente, è parte integrante della formazione della fede. Il "Catechismo della
Chiesa Cattolica" e il "Compendio della Dottrina Sociale della Chiesa" sono eccellenti
risorse. La pastorale della famiglia, dell’infanzia e dei giovani non è stata sufficientemente
affrontata nei documenti preparatori del Sinodo. Il problema delle sette è una grave
sfida che riguarda le nostre Chiese. La catechesi deve mirare al consolidamento della
fede nel nostro contesto socio-religioso. Bisogna studiarlo insieme e stabilire un
piano pastorale a tal proposito. È importante istituire un catecumenato post battesimale
per l’accoglienza delle persone convertite al cristianesimo. La catechesi deve portare
all’impegno concreto a servizio dei più poveri, sofferenti e emarginati. Senza
la testimonianza della loro vita, l’azione dei catechisti rimarrà sterile. Essi sono
innanzitutto dei testimoni del Vangelo. La catechesi deve anche promuovere i valori
morali e sociali, il rispetto dell’altro, la cultura della pace e della non violenza
nonché l’impegno per la giustizia e l’ambiente. Si invita a favorire la formazione
della fede in piccoli gruppi o in piccole comunità, che offrono più calore attraverso
rapporti personali. Questo eviterà che i nostri fedeli si orientino verso le sette.
La parrocchia diverrà così la comunità delle comunità. È stato confermato che i cristiani
d’Oriente come quelli d’Occidente hanno bisogno di una nuova evangelizzazione, per
una profonda conversione e di un rinnovamento alla luce della Parola di Dio e dell'Eucaristia. Dobbiamo
incoraggiare tutti i fedeli, ma soprattutto i sacerdoti, i religiosi e le religiose,
le persone consacrate e i responsabili della pastorale e dell’apostolato, a seguire
l’insegnamento della Chiesa e a studiare i documenti del magistero, preferibilmente
mediante uno studio comunitario. La comunione richiede anche incontri frequenti con
i Patriarchi, i Vescovi, i sacerdoti e i laici. La vita spirituale e il cammino della
Chiesa universale devono essere il primo obiettivo della formazione. Occorre ridare
al battesimo il suo vero senso e promuovere i valori del Vangelo. L’invito e la vocazione
alla santità devono essere al centro della formazione della fede, in tutte le fasi
e in tutte le forme della vita cristiana. Un’attenzione speciale deve essere riservata
alla famiglia, che rischia di essere indebolita e minata dalla visione relativista
occidentale e dalla visione non cristiana dominante nella nostra regione. Le famiglie
di religione mista devono essere oggetto di particolare cura pastorale. I manuali
di catechismo devono completare le lacune e correggere gli errori che si trovano altrove.
Il tema "Metodi di catechesi" non è stato praticamente toccato. L’uso di mezzi
moderni di comunicazione è imprescindibile per la trasmissione della fede, per la
formazione religiosa, per la missione e l’evangelizzazione, per l’azione educativa,
per la formazione alla pace, per le opere di sviluppo e per l’azione per lo sviluppo
integrale delle nostre società. I media sono il luogo della testimonianza di Cristo
e dei valori cristiani. Costituiscono una nuova cultura della comunicazione mondiale
vera e propria, caratterizzata da nuovi linguaggi e metodi di pensiero. Sono i nuovi
areopaghi del mondo globalizzato. Si dovrà stare all’erta per prevenire gli impatti
negativi dei media: la manipolazione delle masse, la diffusione delle sette, della
violenza e della pornografia, l’anticlericalismo internazionale. Si è constatato tuttavia
che l’uso dei media nelle nostre Chiese, salvo rare eccezioni, è individuale e a livello
primitivo, per la mancanza di risorse finanziarie e quindi professionali o a causa
del lavoro individualista. È stato suggerito di formare una commissione per l'impulso
e il coordinamento dei mezzi di comunicazione in Medio Oriente. Le nostre Chiese
hanno bisogno di persone specializzate in questi campi. Forse potremmo aiutare i più
dotati a formarsi e impegnarli successivamente in questo lavoro. Ma si dovrà necessariamente
formare sacerdoti e religiosi fin dal Seminario. I media e la comunicazione sono un
potente mezzo per consolidare la comunione. Rendono le Chiese del Medio Oriente e
del mondo sempre più "uno". Avremmo desiderato che Telepace, KTO e altri media cattolici
mettessero dei sottotitoli in arabo durante le loro trasmissioni e che dedicassero
dei tempi alla trasmissione di programmi in arabo. Essi consolidano poi le relazioni
interreligiose. È indispensabile stabilire dei piani e dei mezzi per garantire la
comunicazione dei risultati di questo Sinodo e la concretizzazione delle sue direttive
e delle sue raccomandazioni.
B. LA LITURGIA, APICE E FONTE DI COMUNIONE E TESTIMONIANZA
La
liturgia costituisce un annuncio e una testimonianza importanti di una Chiesa che
prega e non solo che agisce. “Nondimeno la liturgia è il culmine verso cui tende l'azione
della Chiesa e, al tempo stesso, la fonte da cui promana tutta la sua energia” )Sacrosantum
Concilium, 10(. Nelle nostre Chiese orientali, la Divina Liturgia è al centro della
vita religiosa. Essa svolge un ruolo importante nel conservare l’identità cristiana,
rafforzare l’appartenenza alla Chiesa, vivificare la vita di fede. Dobbiamo conservare
e coltivare il senso del sacro, dei simboli e della religiosità popolare purificata
e approfondita. Occorre curare la pulizia e la dignità degli ambienti, degli abiti,
degli oggetti e dei libri sacri. Anche il musulmano è molto sensibile al sacro. Non
si è parlato molto del rinnovamento della liturgia, benché fosse auspicato da molti.
Occorrerà saper unire “cose nuove e cose antiche” (Mt 13, 52). La tradizione è dinamica,
tende al perfezionamento, in armonia con le nuove esigenze dello sviluppo della comunità
(S.S. Papa Benedetto XVI). Le comunità religiose e i movimenti sono chiamati a una
vera inculturazione nella liturgia del paese in cui esercitano la loro missione. È
stato detto anche che la Chiesa latina dovrebbe limitarsi a celebrare la liturgia
in lingua araba per i soli fedeli di lingua araba che le appartengono. È importante
e urgente mettersi d’accordo su un testo arabo unificato per la preghiera domenicale
da utilizzare nella liturgia, negli incontri, nella preghiera privata e pubblica.
C.
RAPPORTI CON L’EBRAISMO
1. Vaticano II: fondamento teologico del legame con
l’ebraismo
La Dichiarazione “Nostra aetate” del Concilio Vaticano II tratta
specificatamente del rapporto tra la Chiesa e le religioni non cristiane. L’ebraismo
vi occupa un posto di rilievo.
2. Magistero attuale della Chiesa
Hanno
avuto luogo delle iniziative di dialogo, a livello della Santa Sede e delle Chiese
locali. Il conflitto israelo-palestinese si ripercuote sui rapporti tra cristiani
ed ebrei. A più riprese, la Santa Sede ha chiaramente espresso la sua posizione, auspicando
che i due popoli possano vivere in pace, ognuno nella sua patria, con confini sicuri,
internazionalmente riconosciuti. La sicurezza duratura si basa sulla fiducia ed è
alimentata alla radice dalla giustizia e dall'onestà. Abbiamo il dovere di ricordare
a tutti che la convivenza pacifica è il frutto del riconoscimento reale e pratico
dei propri diritti e doveri. La preghiera per la pace è di fondamentale importanza.
3.
Dialogo con l’ebraismo
Le nostre Chiese rifiutano l’antisemitismo e l’antiebraismo.
Le difficoltà dei rapporti fra i popoli arabi e il popolo ebreo sono dovute piuttosto
alla situazione politica conflittuale. Noi distinguiamo tra realtà religiosa e realtà
politica. I cristiani hanno la missione di essere artefici di riconciliazione e di
pace, basate sulla giustizia per entrambe le parti. Vi sono delle iniziative pastorali
locali di dialogo con l’ebraismo, come ad esempio la preghiera in comune, principalmente
a partire dai Salmi, e la lettura e meditazione dei testi biblici. Questo crea buone
disposizioni per invocare insieme la pace, la riconciliazione, il perdono reciproco
e i buoni rapporti. Altre iniziative promuovono un dialogo dei fedeli tra i figli
delle tre religioni abramitiche. Il Vicariato per i cristiani di lingua ebraica
deve aiutare la società ebraica a conoscere e comprendere meglio la Chiesa e il suo
insegnamento. Essa è disposta anche alla collaborazione per il servizio pastorale
dei fedeli cattolici di lingua ebraica e degli emigrati. Ciò favorirà una presenza
pacifica dei cristiani in Terra Santa. L’interpretazione tendenziosa di alcuni versetti
della Bibbia giustifica o favorisce la violenza. La lettura dell’Antico Testamento
e l’approfondimento delle tradizioni ebraiche aiutano a conoscere meglio la religione
ebraica. Esse offrono un terreno comune di studi seri e aiutano a conoscere meglio
il Nuovo Testamento e le tradizioni orientali. Nella realtà attuale vi sono altre
possibilità di collaborazione. Il dialogo è necessario anche a livello accademico.
Da qui il bisogno di contatto e di collaborazione tra gli istituti di formazione.
Le scuole cattoliche svolgono una funzione essenziale nella formazione al rispetto
reciproco e alla pace.
D. RAPPORTI CON I MUSULMANI
La Dichiarazione
“Nostra aetate” del Concilio Vaticano II stabilisce anche il fondamento dei rapporti
della Chiesa cattolica con i musulmani. Vi si legge: “La Chiesa guarda anche con stima
i musulmani che adorano l’unico Dio, vivente e sussistente, misericordioso e onnipotente,
creatore del cielo e della terra, che ha parlato agli uomini” )n. 3(. Dopo il Concilio,
si sono svolti numerosi incontri fra i rappresentanti delle due religioni. All’inizio
del suo pontificato, Papa Benedetto XVI ha dichiarato: “Il dialogo interreligioso
e interculturale fra cristiani e musulmani non può ridursi ad una scelta stagionale.
Esso è infatti una necessità vitale, da cui dipende in gran parte il nostro futuro”
(Benedetto XVI, Incontro con i rappresentanti delle comunità musulmane, Colonia, 20.08.2005). Il
Pontificio Consiglio per il Dialogo Interreligioso svolge incontri di dialogo di fondamentale
importanza. Si raccomanda la creazione di commissioni locali di dialogo interreligioso.
È necessario dare la priorità al dialogo della vita, che offre l’esempio di una testimonianza
silenziosa eloquente e che è talvolta l'unico mezzo di proclamare il Regno di Dio.
Solo i cristiani che offrono una testimonianza di fede autentica sono all’altezza
di un dialogo interreligioso credibile. Abbiamo bisogno di educare i nostri figli
al dialogo. I cristiani orientali possono aiutare quelli dell’Occidente ad avvicinarsi
in modo più profondo all’incontro costruttivo con l'Islam. Le ragioni per intessere
rapporti tra cristiani e musulmani sono molteplici. Sono tutti connazionali, condividono
la stessa lingua e la stessa cultura nonché gioie e sofferenze. Inoltre, i cristiani
hanno la missione di vivere come testimoni di Cristo nelle loro società. Fin dalla
sua nascita, l’Islam ha trovato radici comuni con il Cristianesimo e l’Ebraismo. La
letteratura arabo-cristiana deve essere maggiormente valorizzata e essere utilizzata
come risorsa nel dialogo con i musulmani. La nostra vicinanza con i musulmani è
consolidata da 14 secoli di vita comune, caratterizzata da difficoltà ma anche da
molti aspetti positivi. Per un dialogo proficuo, cristiani e musulmani devono conoscersi
meglio. Musulmani e cristiani condividono l’essenza dei 5 pilastri dell’Islam. Numerose
iniziative dimostrano la possibilità di incontro e di lavoro fondato sui valori comuni
)pace, solidarietà, non violenza(. Sono stati menzionati numerosi esempi di iniziative
promettenti o riuscite, in materia di dialogo e lavoro comune tra cristiani e musulmani,
in Siria, in Libano, in Terra Santa, in Egitto e altrove. Devono essere favorite attività
comuni in ambito culturale, sportivo, sociale ed educativo. Di qui l’importanza fondamentale
dei nostri istituti educativi che sono aperti a tutti e che formano all’amicizia,
alla giustizia e alla pace. Anche i movimenti ecclesiali offrono un valido contributo
in questo campo. Dio Amore ama i musulmani. Forse occorre trovare un nuovo linguaggio
teologico per esprimere questo mistero e renderlo loro più accessibile. La nostra
testimonianza di vita aiuterà notevolmente. Da qui l'importanza fondamentale del dialogo
della vita o dialogo di vicinato, “hiwar aljiwar”. Il dialogo con i musulmani è
stato spesso evocato, raccomandato e incoraggiato. Il dialogo è l’espressone della
comunione dei figli di Dio. Siamo tutti abitanti della stessa terra, della stessa
casa di Dio. È stato anche affermato: nessuna pace senza dialogo con i musulmani.
San Francesco d’Assisi, nel suo incontro con il re Al-Kamel in Egitto nel 1219, ci
dà un esempio di dialogo con la non violenza e il dialogo della vita. Le Chiese orientali
sono le più adatte a promuovere il dialogo interreligioso con l’Islam. È un dovere
che spetta loro per la natura della loro storia, della loro presenza e della loro
missione. Il contatto con i musulmani può rendere i cristiani più attaccati alla loro
fede, può approfondirla e purificarla. La santità di vita è reciprocamente apprezzata
dall’una e dall’altra parte. Il vero rapporto con Dio non ha bisogno di religiosità
rumorosa, ma di autentica santità. Le persone profondamente religiose sono oggetto
di rispetto e di venerazione, un punto comune di riferimento e coscienza della società.
Il rapporto con l’Islam presuppone una profonda vita spirituale. Se non siamo aperti
a Dio, come possiamo essere aperti agli uomini? Abbiamo il dovere di educare i
nostri fedeli al dialogo interreligioso e all’accettazione della diversità religiosa,
al rispetto e alla stima reciproci. I pregiudizi ereditati dalla storia dei conflitti
e delle controversie, da una parte e dall’altra, devono essere attentamente affrontati,
chiariti e corretti. Nel dialogo sono importanti l’incontro, l’accoglienza della differenza
altrui, la gratuità, la fiducia, la comprensione reciproca, la riconciliazione, la
pace e l’amore. Il dialogo è salutare per il servizio alla pace, per la vita e contro
la violenza. Il dialogo è la strada della non violenza. L’amore è più necessario e
efficace delle discussioni. Non bisogna discutere con i musulmani, ma amarli, sperando
di suscitare nel loro cuore la reciprocità. Prima di scontrarci su ciò che ci separa,
ritroviamoci su ciò che ci unisce, soprattutto per quanto riguarda la dignità umana
e la costruzione di un mondo migliore. Occorre evitare ogni azione provocatoria, offensiva,
umiliante e ogni atteggiamento anti-islamico. Per essere autentico, il dialogo
deve realizzarsi nella verità. Il dialogo è una testimonianza nella verità e nell’amore.
Bisogna dire sinceramente la verità, i problemi e le difficoltà, in modo rispettoso
e caritatevole. Se il dialogo è imprescindibile e deve proseguire, forse esso deve
dare inizio a una nuova fase di sincerità, onestà e apertura. Questo è ancor più necessario
via via che l’annuncio islamico (“Al da’wat”) è più attivo in Occidente. Dobbiamo
ammettere la nostra diversa visione della verità. Dobbiamo affrontare serenamente
e oggettivamente i temi riguardanti l’identità dell’uomo, la giustizia, i valori della
vita sociale dignitosa e la reciprocità – quest’ultimo termine deve essere chiarito,
secondo alcuni interventi-. Dobbiamo considerare anche che i musulmani hanno diverse
correnti d’insegnamento e d'azione. Ci sono i fondamentalisti, i tradizionalisti pacifici
– la maggioranza – che considerano l’Islam la fede e la norma supreme e non hanno
alcun problema a vivere serenamente con i non musulmani, e i moderati aperti all’altro
e che sono una minoranza. Qualcuno ha proposto di non limitarci alle correnti attuali
moderate dell’Islam ma di avvicinarci anche ai fondamentalisti e agli estremisti,
che coinvolgono profondamente la massa. La libertà religiosa è alla base dei rapporti
sani tra musulmani e cristiani. Dovrebbe essere un tema prioritario nel dialogo interreligioso.
Auspicheremmo che il principio coranico “Nessuna costrizione nella religione” fosse
realmente messo in pratica. Alcuni Padri Sinodali hanno parlato di costrizioni, di
limiti alla libertà, di atti di violenza e di sfruttamento dei lavoratori emigrati
in alcuni paesi. Nessuno ha citato i versetti del Corano sui quali si basano gli estremisti
per giustificare il loro comportamento e gli atti di violenza. Questo dimostra l’atteggiamento
lodevole dei pastori che vedono ciò che ci unisce e mette pace piuttosto che ciò che
separa. Nel dialogo con i musulmani, occorrerà studiare la rilettura degli “hadiths”
di violenza, legati a un contesto storico passato sostituito dal contesto attuale
di rispetto dei diritti umani. Dobbiamo lavorare tutti insieme per trasformare
le mentalità e passare dallo spirito e dall’atteggiamento del confessionalismo allo
spirito della vita e dell’azione per il bene comune. È un lavoro di ampio respiro,
visto che il confessionalismo ha radici strutturali profonde, che risalgono agli statuti
degli “dhimmis” e dei “millets”. Il dialogo impedirà l’atteggiamento di diffidenza
e di paura degli uni nei confronti degli altri. I cristiani tenderanno a radicarsi
sempre di più nelle loro società e a non cedere alla tentazione di ripiegarsi su se
stessi in quanto minoranza. Devono lavorare insieme per promuovere la giustizia, la
pace, la libertà, i diritti dell’uomo, l’ambiente, i valori della vita e della famiglia.
Bisogna affrontare le problematiche socio-politiche non come diritti da reclamare
per i cristiani ma come diritti universali, che cristiani e musulmani difendono insieme
per il bene di tutti. Dobbiamo abbandonare la logica della difesa dei diritti dei
cristiani e impegnarci per il bene di tutti. I giovani avranno a cuore d’intraprendere
azioni comuni in queste prospettive. Occorre cooperare insieme, con le persone di
buona volontà, per affrontare i problemi urgenti del momento: la libertà, l’uguaglianza,
la democrazia, i diritti umani, l’emigrazione e l’immigrazione, le conseguenze della
globalizzazione, della crisi economica, la violenza e l’estremismo, la vita. È
necessario purificare i libri scolastici da qualsiasi pregiudizio sull’altro e da
qualsiasi offesa o deformazione. Si cercherà piuttosto di comprendere il punto di
vista dell’altro, pur rispettando le diversità di fede e di pratiche. Si valorizzeranno
gli spazi comuni, soprattutto a livello spirituale e morale. La Santa Vergine Maria
è un punto di incontro molto importante. La recente dichiarazione dell’Annunciazione
come festa nazionale in Libano costituisce un esempio incoraggiante. La religione
è costruttrice di unità e di armonia, oltre che espressione di comunione fra le persone
e con Dio.
E. COSTRUIRE INSIEME UNA CITTÀ DI COMUNIONE
Tutti i cittadini
dei nostri paesi devono affrontare insieme due sfide principali: la pace e la violenza.
Le situazioni di guerre e conflitti che viviamo generano la violenza e vengono sfruttate
dal terrorismo mondiale e dalle correnti e dai movimenti estremisti nella regione.
L’Occidente viene identificato con il Cristianesimo e le scelte degli Stati vengono
attribuite alla Chiesa. Oggi, invece, i governi occidentali sono laici e sempre più
in contrasto con i principi della fede cristiana. È importante spiegare questa realtà
e il senso di una laicità positiva, che distingue il politico dal religioso. In questo
contesto, il cristiano ha il dovere e la missione di presentare e vivere i valori
evangelici. I nostri cristiani laici devono essere ben formati per approfondire
e rafforzare la coscienza della vocazione cristiana. La vocazione della Chiesa è il
servizio. La testimonianza non è un modo di evitare l'annuncio esplicito. Non è neppure
un buon esempio (senso riduttivo). La testimonianza significa vivere nella verità.
Da qui la necessità di un’autentica vita cristiana. Dobbiamo in ogni momento dare
testimonianza con la vita, senza sincretismo né relativismo, con umiltà, rispetto,
sincerità e amore. “Medico, cura te stesso” (Lc 4, 23). Dobbiamo prima guarire per
poter riflettere la luce di Cristo. L’amore gratuito per l’uomo è la nostra testimonianza
più importante nella società. La Chiesa cattolica dà un’eloquente e preziosa testimonianza
attraverso numerose opere e istituzioni educative, caritative, sanitarie e di sviluppo
sociale. Esse sono molto apprezzate e frequentate da tutti i cittadini, senza distinzione
di religione o di appartenenza. Aiutano notevolmente ad abbattere i muri della diffidenza
e del rifiuto. La Chiesa dà priorità al servizio dei più poveri. Più siamo coscienti
della nostra vocazione cristiana nella società, più saremo capaci di mostrare e di
irradiare la forza del Vangelo, che è potente e può trasformare la società umana anche
oggi. L’Esortazione Apostolica del Servo di Dio Papa Giovanni Paolo II “Una Speranza
Nuova per il Libano” (10 maggio 1997) è una guida concreta per la testimonianza cristiana
nella città. Si dovrà valorizzarla pienamente e viverla concretamente, soprattutto
in Libano. Musulmani e cristiani, dobbiamo percorrere insieme il comune cammino.
Malgrado le diverse concezioni dell’uomo, dei suoi diritti e della libertà, possiamo
trovare insieme le basi chiare e precise di un’azione comune per il bene delle nostre
società e dei nostri paesi. I diritti umani sono il terreno comune che ha più possibilità
di unirci per uno studio sereno e un’azione comune. Il dialogo sarà proficuo con le
persone impegnate nella difesa dei diritti umani, dell’etica fondata sui principi
della natura umana, della famiglia, della vita e dello Stato civile. Favoriamo questa
corrente di persone moderate e sincere. Dobbiamo preoccuparci reciprocamente gli uni
per il bene degli altri. Costruiamo insieme una “città della comunione”.
*
Nei Circoli Minori si dovrebbero approfondire gli argomenti poco trattati finora:
metodi di catechesi rinnovamento della liturgia la modernità il contributo specifico
insostituibile del cristiano futuro dei cristiani del Medio Oriente.
CONCLUSIONE
Quale
futuro per i cristiani del medio oriente? “Non temere, piccolo gregge!” (Lc 12, 32) I
contesti attuali sono fonte di difficoltà e di preoccupazione. Animati dallo Spirito
Santo e guidati dal Vangelo, li affrontiamo nella speranza e nella fiducia filiale
nella Divina Provvidenza. Siamo oggi un “piccolo resto”, ma il nostro comportamento
e la nostra testimonianza possono fare di noi una presenza che conta. Dobbiamo assumere
la nostra vocazione e la nostra missione di testimonianza, al servizio dell’uomo,
della società e del nostro paese. Dobbiamo lavorare tutti insieme per preparare
una nuova alba in Medio Oriente. Siamo sostenuti dalla preghiera, dalla comprensione
e dall'amore di tutti i nostri fratelli e le nostre sorelle nel mondo. Non siamo soli.
Questo Sinodo ce l’ha fatto sentire molto chiaramente. E come ha detto il rappresentante
della Conferenza Episcopale dell’Oceania: “Vogliamo che i nostri fratelli e le nostre
sorelle del Medio Oriente sappiano che noi apprezziamo la comunione con loro e che
ci impegniamo a rimanere solidali con loro, nelle loro speranze e sofferenze, e che
li sosterremo con la preghiera e l’assistenza pratica, nelle sfide che affrontano
oggi”. La fede ci dice anche che il Signore stesso ci accompagna e che la Sua promessa
è sempre attuale: “Ecco, io sono con voi tutti i giorni, fino alla fine del mondo”
(Mt 28, 20). Dio è il Maestro della storia (S.S Papa Benedetto XVI – Omelia della
Messa d’apertura – 10.10.2010). Ora che il Sinodo sta per concludersi, comincerà il
vero lavoro: l’annuncio e la comunicazione di tutto ciò che il Sinodo ci ha portato,
la concretizzazione degli orientamenti e delle raccomandazioni attraverso strutture
appropriate e il controllo regolare di questo lavoro, in un’azione pastorale coordinata,
per raccogliere frutti abbondanti, grazie all’azione dello Spirito Santo. Noi ci speriamo
molto. “La speranza poi non delude, perché l’amore di Dio è stato riversato nei nostri
cuori per mezzo dello Spirito Santo che ci è stato donato" (Rm 5, 2-5).“Non temere
piccolo gregge”, ci dice il Signore. Per rispondervi, occorre più fede, più comunione
e più amore, che saranno portatrici di grazia, di forza, di pace, di gioia, di numerose
vocazioni consacrate e di santità. Imploriamo la Santa Vergine Maria, così onorata
e così amata nelle nostre Chiese, affinché formi i nostri cuori sull’esempio del cuore
di suo Figlio Gesù. E accogliamo il suo invito: “Fate quello che vi dirà” (Gv 2,5).
QUESTIONARIO
1.
Come ritrovare ciò che caratterizza la Parola di Dio, cioè il suo potere di entrare
nell’esistenza delle persone per operare un cambiamento nella loro vita in vista di
un impegno maggiore e più fecondo? Come la frequentazione della Parola di Dio può
essere agente di sviluppo dell’essere e dell’agire dei cristiani? La Parola di Dio
è fonte inesauribile di comunione e di apertura. Come è letta e approfondita nella
Chiesa per essere agente di comunicazione, di dialogo e di sviluppo della comunità
ecclesiale e del mondo?
2. L’Antico Testamento è talvolta interpretato in modo
tendenzioso e interessato. Come possiamo riscoprire le ricchezze dell’Antico Testamento
alla luce dell’unità dei due Testamenti in Cristo, nel nostro contesto attuale?
3.
Le nostre Chiese talvolta devono far fronte a situazioni di persecuzione che sfociano
anche nel martirio. Qual è il nostro atteggiamento oggi davanti a tali situazioni?
4.
In origine, le Chiese orientali erano le Chiese missionarie per eccellenza. Attualmente,
questo slancio missionario si è indebolito. Come rinvigorire lo spirito missionario
nelle nostre Chiese, per una nuova evangelizzazione all’interno di ogni Chiesa e al
servizio della Chiesa universale, allo scopo di conservare lo spirito del Vangelo
ravvivando la fede dei cristiani e mantenendo viva « la memoria delle origini »?
5.
Nel quadro di una pastorale efficace e evangelica, quali strutture creare per formare
agenti pastorali che possano essere dirigenti creativi, che sappiano ascoltare, guidare,
orientare, sostenere, compatire e proporre allo stesso tempo?
6. In un universo
in cui i cristiani sono in minoranza, per dare nuovo dinamismo alle comunità, occorre
aiutarle a ritornare allo spirito del Vangelo, rafforzando la fede e la spiritualità
dei nostri fedeli ; occorre rinsaldare il legame sociale e la solidarietà tra loro,
senza sfociare in un atteggiamento da ghetto. Quali strutture ecclesiali e quale pastorale
sarebbero in grado di rafforzare questa appartenenza spirituale e sociale?
7.
Tra inculturazione e fusione, la Chiesa si trova anch’essa contaminata dalla politica
e dai conflitti che dilaniano il mondo che la circonda? Quali strategie proporre affinché
rimanga un riferimento di apertura e di dialogo evangelici? Come agire in un mondo
multiculturale, in cui la libertà d’epressione dipende talvolta dal clan, dalla confessione
o dalle tradizioni incompatibili con il Vangelo? Come formare i nostri giovani a un
vero dialogo che non sia né fusione né confusione, ma che sia espressione di una vera
condivisione e di una volontà evangelica fatta d’accoglienza, d’apertura e d’amore
per la verità e l’unità?
8. Davanti al fenomeno dell’emigrazione, come possiamo
aiutare i nostri fedeli a vivere secondo la propria identità ecclesiale in stretta
collaborazione con la Chiesa locale dei paesi di accoglienza e di inserimento al fine
di manifestare sempre l’unità nella diversità?
9. Per rispondere alle esigenze
pastorali dell’emigrazione, quali sono le linee guida adeguate per la formazione dei
futuri ministri nei nostri seminari e facoltà di teologia?
10. I nostri paesi
del Medio Oriente accolgono sempre più immigrati per motivi economici. Come possono
le nostre Chiese contribuire a far rispettare i diritti umani fondamentali e a fornire
loro un accompagnamento spirituale adatto?
11. Data la nuova realtà ecclesiale
nei paesi del Golfo, come operare insieme per instaurare una migliore collaborazione
pastorale tra le Chiese orientali cattoliche e la Chiesa cattolica romana?
12.
Indubbiamente, in Oriente, c’è una crisi di vocazioni rispetto a un recente passato
florido. Le vocazioni nella Chiesa sono opera dello Spirito Santo per tutta la Chiesa.
Quale pastorale vocazionale proporre in particolare ai giovani per toccare i loro
cuori affinché osino seguire Cristo generosamente e senza paura? Davanti alla mancanza
di sacerdoti in alcuni luoghi, come vivere la comunione ecclesiale sacerdotale, per
rispondere alle necessità di queste Chiese?
13. Come vedete l’identità e la
vocazione delle nostre Chiese orientali cattoliche alla luce del Concilio Vaticano
II e del dialogo ecumenico in atto?
14. In qual modo riscoprire il senso concreto
della Chiesa come mistero di comunione per una presenza e una testimonianza evangeliche
in Medio Oriente?
15. Quali sono i mezzi da mettere a punto per evitare di
cadere davvero in realizzazioni da parte della Chiesa basate solo su considerazioni
etniche, culturali o politiche?
16. Le nostre Chiese accolgono sempre di più
nuovi movimenti apostolici e d’iniziazione cristiana. Come garantire, nel rispetto
del carisma, la loro integrazione armoniosa nella realtà pastorale delle nostre Chiese
d’Oriente?
17. Risalendo alle nostre comuni radici nell’esperienza della Chiesa
di Gerusalemme, possiamo ritrovarvi un mezzo utile al raggiungimento dell’unità di
cui parla Cristo nella sua preghiera sacerdotale? Quali potrebbero essere le strategie
necessarie da attuare per raggiungerla?
18. La situazione dei cristiani in
Medio Oriente è complessa e spesso confusa sia sul piano politico-culturale che sul
piano ecumenico e interreligioso. In qualità di cristiani, alla sequela di Cristo,
come andare verso gli altri al di là delle divergenze storiche, di pensiero e di ideologie
per incontrare gli uomini, nostri simili in quanto figli di Dio e quindi fratelli
e persone degne del nostro rispetto e della nostra stima?
19. Quali sono le
misure che le nostre Chiese devono attuare in materia di nuovi mezzi di comunicazione
per promuovere la testimonianza comune e l’evangelizzazione in un’ottica ecumenica
e interreligiosa?
20. Il Papa Benedetto XVI ha appena creato un dicastero per
la nuova evangelizzazione nei paesi di antica tradizione cristiana. Le nostre Chiese
apostoliche in Medio Oriente hanno coscienza dell’interesse di una Nuova Evangelizzazione
per rispondere ai problemi dell’uomo contemporaneo?
21. La Chiesa porta avanti
abitualmente un dialogo positivo con i musulmani moderati per il bene comune. Dato
il notevole impatto delle correnti fondamentaliste islamiche sul corso degli eventi,
quale può essere il nostro atteggiamento di fronte a tali correnti?
22. Nella
tradizione della Chiesa orientale, la liturgia è l’espressione privilegiata della
fede e dell’agire cristiano (lex orandi, lex credendi, lex vivendi). Come adattare
le nostre antiche tradizioni liturgiche, impregnate del vigore biblico e patristico,
ai bisogni dell’uomo d’oggi?
23. Spesso l’insegnamento religioso si interrompe
alla fine del periodo scolastico. Gli adulti hanno bisogno di una solida formazione
nella fede per impregnare la propria vita personale, familiare e professionale. Come
possono fare le nostre Chiese a garantire loro questa formazione? In questo senso,
dobbiamo elaborare un piano catechistico di base per adulti, con un lavoro comune
tra e per tutte le nostre Chiese cattoliche del Medio Oriente?