2010-10-18 12:53:38

LA MISSIONE DEI CRISTIANI IN MEDIO ORIENTE


Dal Documento Preparatorio, cap. I, punti 24-25-28
È opportuno ricordare che i cristiani sono “cittadini indigeni” e che, pertanto, appartengono a pieno titolo al tessuto sociale e all’identità stessa dei loro rispettivi Paesi. La loro scomparsa rappresenterebbe una perdita per questo pluralismo che ha sempre caratterizzato i Paesi del Medio Oriente. Senza la voce cristiana, le società mediorientali risulterebbero impoverite.

In linea di massima, però, i cattolici devono poter dare il migliore apporto nell’approfondire, insieme agli altri cittadini cristiani ma anche musulmani intellettuali riformisti, il concetto di “laicità positiva” (Cf. BENEDETTO XVI, Viaggio apostolico in Francia, Cerimonia di benvenuto al Palazzo dell’Eliseo, Parigi, 12.09.2008: L’Osservatore Romano, 13.09.2008, p. 8) dello Stato. In tal modo, aiuterebbero ad alleviare il carattere teocratico del governo e permetterebbero più uguaglianza tra i cittadini di religioni differenti favorendo così la promozione di una democrazia sana, positivamente laica, che riconosca pienamente il ruolo della religione, anche nella vita pubblica, nel pieno rispetto della distinzione tra gli ordini religioso e temporale.

Benché i cristiani in Medio Oriente siano quasi ovunque una scarsa minoranza, essi tuttavia, là dove è socialmente e politicamente possibile, irradiano attivo dinamismo. Il pericolo sta nel ripiegamento su di sé e nella paura dell’altro. Occorre allo stesso tempo rafforzare la fede e la spiritualità dei nostri fedeli e rinsaldare il legame sociale e la solidarietà tra di loro, senza cadere in un atteggiamento ghettizzante.

Dal Documento Preparatorio, cap. I, punti 51-52-53
(…) Le persone di vita consacrata sono invitate a superare la tentazione di passività come pure di anteporre gli interessi personali alle esigenze della fede. Esse sono chiamate ad essere testimoni con una vita cristiana esemplare nella pratica dei voti dell’obbedienza, della castità e della povertà, seguendo sempre meglio Gesù Cristo, modello di ogni perfezione.

Questa è l’etica che tutti i membri del Popolo di Dio, pastori, persone consacrate e laici devono proporsi di vivere, secondo la propria vocazione, con grande coerenza di vita personale e comunitaria, nelle nostre istituzioni sociali, caritative ed educative, affinché i nostri fedeli siano anch’essi sempre più testimoni autentici della Resurrezione nella società. A questo scopo, diverse risposte auspicano che la formazione del nostro clero e dei fedeli, le omelie e la catechesi, diano al credente un senso autentico della sua fede, e la coscienza del proprio ruolo nella società in nome di questa stessa fede. Dobbiamo insegnargli a cercare e vedere Dio in ogni cosa e in ogni persona, sforzandosi di renderlo presente nella nostra società, nel nostro mondo, mediante la pratica delle virtù personali e sociali: giustizia, onestà, rettitudine, accoglienza, solidarietà, apertura del cuore, purezza di costumi, fedeltà, ecc.

A questo scopo, devono essere raddoppiati gli sforzi già in atto per scoprire e formare i “quadri” necessari, sacerdoti, religiosi, religiose, laici – uomini e donne –, affinché siano, nella nostra società, veri testimoni di Dio Padre e di Gesù Risorto e dello Spirito Santo che Egli ha inviato alla sua Chiesa, per confortare i loro fratelli e sorelle in questi tempi difficili, per mantenere e rafforzare la trama del tessuto sociale e contribuire all’edificazione della civitas.

Dal Documento Preparatorio, cap. III, punti 100-102
Quanto al contributo dei cristiani nella società, sono due le sfide che oggi nei nostri Paesi devono affrontare tutti: cristiani, ebrei, musulmani e drusi, indistintamente. Di fronte ai conflitti e alle operazioni militari, le sfide della pace e della violenza hanno una grande rilevanza. Parlare di pace e operare per la pace, mentre la guerra e la violenza dilagano, è una sfida. La soluzione dei conflitti è nelle mani di chi promuove la guerra. La violenza è nelle mani del forte ma anche del debole, che, per liberarsi, rischia ugualmente di ricorrere alla violenza di facile accesso. Diversi nostri Paesi vivono la guerra e tutta la regione ne soffre direttamente, da generazioni. Questa situazione è sfruttata dal terrorismo mondiale più radicale.

Troppo spesso i nostri Paesi identificano l’Occidente con il Cristianesimo. Se è vero che l’Occidente ha una tradizione cristiana e se è vero che le sue radici sono cristiane, è anche evidente che oggi i loro governi sono laici e la politica non si ispira di per sé alla fede cristiana, anzi spesso combatte alcune sue espressioni. Ma il fatto che il mondo musulmano non distingua facilmente tra aspetto politico e religioso nuoce grandemente alle Chiese della regione mediorientale, perché concretamente l’opinione pubblica musulmana addebita alla Chiesa qualunque scelta politica degli Stati occidentali. È importante spiegare il senso della laicità e della legittima autonomia delle realtà terrene, insegnata dal Concilio Vaticano II (Cf. CONCILIO ECUMENICO VATICANO II, Costituzione pastorale sulla Chiesa nel mondo contemporaneo Gaudium et spes, 36).

In queste circostanze, il contributo del cristiano consiste nel presentare e nel vivere i valori evangelici, ma anche nel dire la parola di verità (qawl alhaqq) ai forti che opprimono o seguono politiche, che vanno contro gli interessi del Paese, e anche a quanti rispondono all’oppressione con la violenza. La pedagogia della pace è realistica, anche se rischia di essere respinta dai più; essa ha anche più possibilità di essere accolta, visto che la violenza tanto dei forti quanto dei deboli ha condotto, nella regione del Medio Oriente, unicamente a fallimenti e a uno stallo generale. Il nostro contributo, che esige molto coraggio, è indispensabile.

Dal Documento Preparatorio, cap. III, punti 111-117
Il cristiano ha un contributo specifico e insostituibile in seno alla società in cui vive, per arricchirla dei valori del Vangelo. Egli è testimone di Cristo e dei valori nuovi da Lui portati all’umanità. È per questo che la nostra catechesi deve formare, simultaneamente, credenti e cittadini che operano nei vari settori della società. Un impegno politico privo dei valori del Vangelo è una contro testimonianza e arreca più male che bene. In diversi punti, questi valori, in particolare i diritti umani, trovano contatto con quelli del musulmano, suscitando dunque interesse a promuoverli insieme.

In Medio Oriente esistono diversi conflitti il cui focolaio principale è il conflitto israelo-palestinese. Il cristiano ha un contributo speciale da apportare nell’ambito della giustizia e della pace. È nostro dovere, pertanto, denunciare con coraggio la violenza da qualunque parte essa provenga, e suggerire una soluzione, che non può passare che per il dialogo.

Inoltre, mentre da una parte si esige giustizia per l’oppresso, è necessario, dall’altra, che si porti il messaggio della riconciliazione basata sul perdono reciproco. La forza dello Spirito Santo ci rende capaci di perdonare e chiedere perdono. Solo questo atteggiamento può creare un’umanità nuova.
Anche i poteri pubblici hanno bisogno di questa apertura spirituale che un apporto cristiano umile e disinteressato può procurare loro. Permettere allo Spirito di penetrare nei cuori degli uomini e delle donne che soffrono nella nostra regione situazioni conflittuali, ecco un contributo specifico del cristiano e il servizio migliore che egli può rendere alla sua società.

E poiché le situazioni dei vari Paesi sono molto diverse fra loro, anche le applicazioni dovranno essere diverse. Innanzitutto è necessario educare il pubblico e i cristiani stessi a considerare attentamente il contributo che essi possono portare nei vari settori della vita e nelle istituzioni civili e politiche, perché i cristiani sanno che è loro compito prendere a cuore il bene comune e i problemi comuni come povertà, insegnamento, lotta contro violenza e terrorismo. Essi hanno progetti di pace, per una convivenza tranquilla, creando relazioni e rapporti. Nella società, infatti, è nostro compito insegnare e chiamare all’apertura e non al fanatismo. Tuttavia dobbiamo esigere con mezzi pacifici che anche i nostri diritti siano riconosciuti dalle autorità civili.

In campo sociale la nostra più importante testimonianza è quella della gratuità dell’amore verso l’uomo, manifestata nei servizi sociali, come scuole, ospedali, cliniche, istituzioni accademiche, accogliendo tutti e proclamando il nostro amore per tutti in vista di una società migliore. La nostra attività caritativa verso i più poveri e gli esclusi, senza discriminazione, rappresenta il modo più evidente della diffusione dell’insegnamento cristiano. Tali servizi spesso sono assicurati solo dalle nostre istituzioni.
L’evangelizzazione in una società musulmana può avvenire soltanto attraverso la vita delle nostre comunità, ma si chiede che essa sia garantita anche da opportuni interventi esterni. Comunque, il nostro compito più impegnativo consiste nel vivere la fede nelle nostre azioni. Fare la verità e proclamarla con carità e coraggio è un impegno reale. La testimonianza più efficace è lasciare parlare le nostre azioni più delle nostre parole, vivendo il nostro cristianesimo fedelmente e mostrando solidarietà tra tutte le istituzioni cristiane, dando così una testimonianza forte di ciò che siamo e viviamo.

Noi cristiani non dobbiamo fermarci alla superficialità, dobbiamo andare in profondità per rendere credibile tutto ciò che è avvenuto nella Terra Santa, come la vita di Cristo e degli apostoli, vivendo una fede adulta con coraggio, anche a costo di sacrifici. La preghiera, la concordia interna alla Chiesa, la promozione dell’unità tra i cristiani, la vita secondo lo spirito del Vangelo, la vita interiore, la partecipazione alla liturgia sono veri e propri atti di testimonianza convinta e reale, ai quali devono essere preparati tutti, specialmente i giovani, con metodi adatti alla loro età e cultura.

Dal Documento Preparatorio, Conclusioni, punti 119-123
Anche se, a volte, pastori e fedeli possono cedere allo sconforto, dobbiamo ricordare che siamo discepoli del Cristo risorto, vincitore del peccato e della morte. Abbiamo quindi un avvenire e dobbiamo prenderlo in mano. Ciò dipenderà in gran parte dalla maniera con cui sapremo collaborare con gli uomini di buona volontà in vista del bene comune delle società di cui siamo membri. Ai cristiani del Medio Oriente, si può ripetere ancora oggi: “Non temere, piccolo gregge” (Lc 12, 32), tu hai una missione, da te dipenderà la crescita del tuo Paese e la vitalità della tua Chiesa, e ciò avverrà solo con la pace, la giustizia e l’uguaglianza di tutti i suoi cittadini!

La speranza, nata in Terra Santa, anima tutti i popoli e le persone in difficoltà nel mondo da 2000 anni. Nel mezzo delle difficoltà e delle sfide, essa resta una fonte inesauribile di fede, carità e gioia per formare i testimoni del Signore risorto, sempre presente tra la comunità dei suoi discepoli.

Ma la speranza significa, da un lato, riporre la propria fiducia nella Provvidenza divina che veglia sul corso della storia di tutti i popoli; dall’altro, vuol dire agire con Dio, essere “collaboratori di Dio” (1 Cor 3, 9), fare il possibile per contribuire a questa evoluzione con la grazia di Dio, in tutti gli aspetti della vita pubblica delle nostre società, specialmente per tutto ciò che riguarda i diritti e la dignità dell’uomo, e la libertà religiosa. Così le generazioni future avranno maggiore fiducia nell’avvenire della loro regione.

Il nostro abbandono alla Provvidenza di Dio significa anche, da parte nostra, una maggiore comunione. Ciò vuol dire un più grande distacco, più liberazione dalle spine che soffocano la parola di Dio (Cf. la parabola del seminatore, per esempio in Mt 13, 7 e paralleli) e la Sua grazia in noi.
Come raccomanda San Paolo: “Amatevi gli uni gli altri con affetto fraterno, gareggiate nello stimarvi a vicenda. Non siate pigri nello zelo; siate invece ferventi nello spirito, servite il Signore. Siate lieti nella speranza, forti nella tribolazione, perseveranti nella preghiera” (Rm 12, 10-12). E Cristo ci dice: “Se avrete fede pari a un granellino di senapa, potrete dire a questo monte: spostati da qui a là, ed esso si sposterà, e niente vi sarà impossibile” (Mt 17, 20; cf. Mt 21, 21).

Questi sono i credenti di cui le nostre Chiese hanno bisogno – tanto al livello dei nostri capi e padri, quanto a quello dei nostri fedeli –, credenti che siano dei testimoni, consapevoli che testimoniare la verità può portare ad essere perseguitati. La Vergine Maria, presente con gli Apostoli nella Pentecoste, ci aiuti ad essere uomini e donne pronti a ricevere lo Spirito e ad agire con la Sua forza! Possano le Chiese particolari del Medio Oriente accogliere ancora oggi l’invito che la Madre di Gesù rivolse a Cana di Galilea: “Fate tutto quello che vi dirà” (Gv 2, 5).


DAL DISCORSO DI BENEDETTO XVI, PRONUNCIATO IN OCCASIONE DELLA CONSEGNA DELL’INSTRUMENTUM LABORIS (Viaggio apostolico a Cipro, 4-6 giugno 2010)
Nicosia, 6 giugno 2010
L’Assemblea Speciale è un’occasione per i cristiani del resto del mondo di offrire un sostegno spirituale e una solidarietà per i loro fratelli e sorelle del Medio Oriente. E’ un’occasione per porre in risalto il valore importante della presenza e della testimonianza cristiane nei Paesi della Bibbia, non solo per la comunità cristiana a livello mondiale, ma ugualmente per i vostri vicini e concittadini. Voi contribuite in innumerevoli modi al bene comune, per esempio attraverso l’educazione, la cura dei malati e l’assistenza sociale, e voi operate per la costruzione della società. Voi desiderate vivere in pace ed in armonia con i vostri vicini ebrei e mussulmani. Spesso agite con artigiani della pace nel difficile processo di riconciliazione. Voi meritate la riconoscenza per il ruolo inestimabile che rivestite. E’ mia ferma speranza che i vostri diritti siano sempre più rispettati, compreso il diritto alla libertà di culto e la libertà religiosa, e che non soffriate giammai di discriminazioni di alcun tipo.

DAL DISCORSO DI BENEDETTO XVI, DURANTE LA CERIMONIA DI BENVENUTO IN TERRASANTA (Viaggio Apostolico in Terra Santa: 8-15 maggio 2009)
Tel Aviv, Lunedì 11 maggio 2009
Alle comunità cristiane della Terra Santa dico: attraverso la vostra fedele testimonianza a Colui che predicò il perdono e la riconciliazione, attraverso il vostro impegno a difendere la sacralità di ogni vita umana, potrete recare un particolare contributo perché terminino le ostilità che per tanto tempo hanno afflitto questa terra. Prego che la vostra continua presenza in Israele e nei Territori Palestinesi porti molto frutto nel promuovere la pace e il rispetto reciproco fra tutte le genti che vivono nelle terre della Bibbia.

DAL DISCORSO DI BENEDETTO XVI IN OCCASIONE DELL'INCONTRO CON LE ORGANIZZAZIONI PER IL DIALOGO INTERRELIGIOSO (Viaggio Apostolico in Terra Santa: 8-15 maggio 2009)
Gerusalemme, 11 maggio 2009
La fede religiosa presuppone la verità. Colui che crede è colui che cerca la verità e vive in base ad essa. Benché il mezzo attraverso il quale noi comprendiamo la scoperta e la comunicazione della verità differisca in parte da religione a religione, non dobbiamo essere scoraggiati nei nostri sforzi di rendere testimonianza al potere della verità. Insieme possiamo proclamare che Dio esiste e che può essere conosciuto, che la terra è sua creazione, che noi siamo sue creature e che Egli chiama ogni uomo e donna ad uno stile di vita che rispetti il suo disegno per il mondo. Amici, se crediamo di avere un criterio di giudizio e di discernimento che è divino nella sua origine e destinato a tutta l’umanità, allora non possiamo stancarci di portare tale conoscenza ad influire sulla vita civile. La verità deve essere offerta a tutti; essa serve a tutti i membri della società. Essa getta luce sulla fondazione della moralità e dell’etica, e permea la ragione con la forza di andare oltre i suoi limiti per dare espressione alle nostre più profonde aspirazioni comuni. Lungi dal minacciare la tolleranza delle differenze o della pluralità culturale, la verità rende il consenso possibile e mantiene ragionevole, onesto e verificabile il pubblico dibattito e apre la strada alla pace. Promuovendo la volontà di essere obbedienti alla verità, di fatto, allarga il nostro concetto di ragione e il suo ambito di applicazione e rende possibile il dialogo genuino delle culture e delle religioni, di cui c’è oggi così urgente bisogno.

Amici, le istituzioni e i gruppi che voi rappresentate s’impegnano nel dialogo interreligioso e nella promozione di iniziative culturali in un vasto ambito di livelli. Dalle istituzioni accademiche – e qui voglio fare speciale menzione delle eccezionali conquiste dell’Università di Betlemme – ai gruppi di genitori in difficoltà, da iniziative mediante la musica e le arti all’esempio coraggioso di madri e padri ordinari, dai gruppi di dialogo alle organizzazioni caritative, voi quotidianamente dimostrate la vostra convinzione che il nostro dovere davanti a Dio non si esprime soltanto nel culto ma anche nell’amore e nella cura per la società, per la cultura, per il nostro mondo e per tutti coloro che vivono in questa terra. Qualcuno vorrebbe che noi crediamo che le nostre differenze sono necessariamente causa di divisione e pertanto al più da tollerarsi. Alcuni addirittura sostengono che le nostre voci devono semplicemente essere ridotte al silenzio. Ma noi sappiamo che le nostre differenze non devono mai essere mal rappresentate come un’inevitabile sorgente di frizione o di tensione sia tra noi stessi sia, più in largo, nella società. Al contrario, esse offrono una splendida opportunità per persone di diverse religioni di vivere insieme in profondo rispetto, stima e apprezzamento, incoraggiandosi reciprocamente nelle vie di Dio. Sospinti dall’Onnipotente e illuminati dalla sua verità, possiate voi continuare a camminare con coraggio, rispettando tutto ciò che ci differenzia e promuovendo tutto ciò che ci unisce come creature benedette dal desiderio di portare speranza alle nostre comunità e al mondo. Dio ci guidi su questa strada!

DALLE PAROLE DI BENEDETTO XVI, IN OCCASIONE DELLA PREGHIERA DEL REGINA CÆLI CON GLI ORDINARI DI TERRA SANTA (Viaggio Apostolico in Terra Santa: 8-15 maggio 2009
Cenacolo di Gerusalemme, 12 maggio 2009
Nella misura in cui il dono dell’amore è accettato e cresce nella Chiesa, la presenza cristiana nella Terra Santa e nelle regioni vicine sarà incisiva. Questa presenza è di importanza vitale per il bene della società nel suo insieme. Le parole chiare di Gesù sull'intimo legame tra l’amore di Dio e l’amore del prossimo, sulla misericordia e sulla compassione, sulla mitezza, la pace e il perdono sono un lievito capace di trasformare i cuori e plasmare i comportamenti. I Cristiani nel Medio Oriente, insieme alle altre persone di buona volontà, stanno contribuendo, come cittadini leali e responsabili, nonostante le difficoltà e le restrizioni, alla promozione ed al consolidamento di un clima di pace nella diversità. Mi piace ripetere ad essi quello che affermai nel Messaggio di Natale del 2006 ai cattolici nel Medio Oriente: “Esprimo con affetto la mia personale vicinanza in questa situazione di insicurezza umana, di sofferenza quotidiana, di paura e di speranza che state vivendo. Ripeto alle vostre comunità le parole del Redentore: ‘Non temere, piccolo gregge, perché al Padre vostro è piaciuto dare a voi il Regno' (Lc 12,32). " (Messaggio di Natale di Sua Santità Papa Benedetto XVI ai cattolici che vivono nella Regione del Medio Oriente, 21 dicembre 2006).







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