A Roma il vertice internazionale sul futuro dell’Afghanistan.Parola chiave: riconciliazione
Il processo di stabilizzazione dell’Afghanistan, la transizione della sicurezza dalla
coalizione internazionale alle forze locali, il ruolo dei paesi vicini. Sono le principali
questioni affrontate oggi durante la Conferenza degli inviati speciali per Afghanistan
e Pakistan, che ha riunito a Roma 46 alti rappresentanti di Paesi impegnati nel paese
asiatico , di cui 9 della conferenza islamica. Per la prima volta presente anche Teheran.
Un bilancio dei lavori positivo, secondo l’inviato tedesco Michael Steiner, coordinatore
del summit, che parla di un percorso comune.Il servizio di Linda Giannattasio
Sull’attuale
momento in Afghanistan, Giada Aquilino ha intervistato Marco Lombardi,
responsabile dei progetti di cooperazione per il Paese asiatico dell’università Cattolica
di Milano:
R. - Credo che
sia una fase centrale e questo lo si vede, purtroppo, dagli attentati. Accanto ad
un certo rafforzamento di attività belliche che cercano di mantenere sotto controllo
aree a rischio, si sta anche insistendo molto sulla necessità di affrancare in maniera
autonoma sia il governo, sia le istituzioni afghane in vista di una concreta uscita
dal Paese. Anche ieri Holbrooke parlava del luglio 2011 non come una data di ritiro,
ma una data intorno alla quale cominciare a pensare una diminuzione della pressione
nelle diverse aree.
D. - C’è un motivo per cui la violenza di fatto è aumentata
sul terreno?
R. - La violenza è aumentata in quelle aree periferiche, dove
gli afghani hanno più bisogno di supporto per riuscire a mettere in piedi un sistema
di vita quotidiano, che non sia costantemente turbato dalle insistenze dei talebani.
Ricordiamo che i talebani reclutano forzatamente o comprano - perché non c’è altra
possibilità di sopravvivenza - molti degli afghani di queste aree periferiche.
D.
- Ma proprio il negoziato con i talebani che opzione è?
R. - Il negoziato con
i talebani è fondamentale. Non sarebbe giusto e non sarebbe concreto pensare di eradicare
i talebani: sono una componente problematica, ma presente in Afghanistan come cultura
e modo di vedere il mondo e, quindi, è fondamentale dialogare con loro.
D.
- Sul terreno, cosa manca?
R. - Nel complesso, la situazione negli ultimi anni
è migliorata in maniera significativa in Afghanistan. Questo non vuol dire che si
sono raggiunti magari grandi risultati, ma direi che ci sono stati grandi cambiamenti.
Quello che manca a livello governativo e sicuramente quello su cui bisogna insistere
è una dimensione di chiarezza, di disponibilità e di etica di governo. In termini
operativi, poi, ogni provincia, ogni regione merita una riflessione a sé. Servono
infrastrutture, ma servono soprattutto coloro i quali lavorino nelle infrastrutture,
perché le infrastrutture restano e gli uomini se ne vanno: se non ci sono degli afghani
che governeranno quelle infrastrutture, quelle infrastrutture crolleranno e tutto
verrà buttato via. Quindi priorità assoluta all’educazione, come sta facendo l’Università
Cattolica. Ci sono tante possibilità di intervento con l’università di Kabul e l’università
di Herat in particolare, ma ci sono 18 atenei. E’ poi necessario investire sulle donne,
perché le donne sono promotrici di cambiamento ovunque.