Sinodo: dai vescovi l’appello ai cristiani del Medio Oriente a testimoniare con coraggio
la fede
I cristiani sentano la loro presenza in Medio Oriente come una vocazione, non come
una fatalità. E’ l’auspicio che più di una volta è stato espresso dai Padri sinodali
in queste giornate di lavoro in Vaticano. I credenti nel Vangelo – è stato detto –
siano una minoranza attiva, attraverso la testimonianza e la presenza nel campo educativo
e sanitario, non cedano alla tentazione di ripiegarsi su di sé in un atteggiamento
ghettizzante. Su queste tematiche Paolo Ondarza ha intervistato padre Semaan
Abou Abdou, superiore generale dell’Ordine Maronita Mariamita in Libano:
R. – L’obiettivo
di questo Sinodo è vivere la nostra vocazione nel Medio Oriente come dobbiamo viverla,
perché siamo una minoranza. Siamo sei milioni di cattolici in un’immensità di 355
milioni di musulmani: una forte sproporzione. Dunque, vedere prima di tutto come vivere,
noi, come cristiani, testimoniare e costruire un'unione con le altre Chiese, e poi
vivere un rapporto con le altre religioni per capire qual è il posto del cristiano
nei Paesi musulmani.
D. – Essere minoranza in un contesto non facile
comporta anche una testimonianza forte …
R. – E’ vero. Questo essere
una minoranza vuol dire avere sempre la consapevolezza di essere al secondo posto.
E poi, bisogna considerare il regime di ciascun Paese, perché in Medio Oriente ci
sono i re che decidono tutto. La democrazia in questi Paesi è molto difficile. Le
libertà, la libertà d’espressione, la libertà di religione, sono completamente diverse
dal concetto che se ne ha in Occidente. Per esempio, per i nostri musulmani, la conversione
di un musulmano al cristianesimo è inaccettabile!
D. - La conversione…
R.
– La conversione. Non la accettano. Per noi, la missione della Chiesa è testimoniare
la fede e far conoscere Gesù Cristo. Prima di tutto dobbiamo dare testimonianza di
come noi viviamo. Nelle nostre scuole, nelle nostre università abbiamo tanti musulmani
e tanti cattolici vivono tra di essi …
D. – E questa è una delle potenzialità
dei cristiani in Medio Oriente: scuole, università, ospedali … Quindi, se i cristiani
vanno via tutto questo rischia di non esserci più …
R. – Ma la Chiesa
adesso ci chiede di aprirci di più. Per me è importante che il cristiano non debba
mettersi da parte: deve entrare nella società, testimoniare la nostra fede e non emigrare.
D.
– Qualche parola sulla presenza dei cristiani in Libano …
R. – Il Libano
è un Paese in cui non abbiamo una grande difficoltà di presenza, perché qui siamo
ancora metà cristiani e metà musulmani. Ma sentiamo un rischio per il futuro.
D.
– Quando parla di “rischio per il futuro” a cosa si riferisce?
R. –
Il pericolo per il futuro è di natura demografica e politica, e tutto questo va ad
influire sul campo materiale ed economico, e quando non c’è stabilità e sicurezza
politica, il cristiano pensa di lasciare. Purtroppo. Ma con la forza di Gesù Cristo
e con la nostra buona volontà, dobbiamo essere presenti in queste terre!