2010-10-15 19:09:16

Intervento di Mons. Paul DAHDAH, Arcivescovo titolare di Are di Numidia, Vicario Apostolico di Beirut dei Latini (LIBANO)


Nel testo dell’Instrumentum laboris sono chiaramente espressi i fondamenti teologici, trinitari, cristologici ed ecclesiologici della comunione ecclesiale. Essi sono alla base della vita sacramentale e dell’impegno dei battezzati nelle attività necessarie per la crescita della Chiesa nella fedeltà e nella santità e per lo sviluppo delle attività di servizio e di testimonianza in seno alla società degli uomini. Sono anche il punto di riferimento della legislazione che gestisce le relazioni tra i membri della Chiesa, gerarchia e fedeli, tra le Chiese cattoliche e con le loro Chiese sorelle.
Il testo menziona gli organismi ecclesiali già istituiti per favorire e sviluppare la comunicazione tra le Chiese orientali cattoliche al livello globale, poi al livello dei patriarcati e infine a quello delle eparchie. Sottolinea il ruolo fondamentale del patriarca, poi del vescovo, per favorire la comunione, la coesione, l’unità nella diversità. Il testo non manca di sottolineare la “grave responsabilità spirituale e morale” dei ministri di Cristo e delle persone consacrate (n. 58).
In apparenza tutto è stato detto, tutto è chiaro; ma il testo suggerisce che la realtà è lontana dall’ideale così presentato e che c’è ancora molto da fare per realizzare la comunione. L’organigramma delle istituzioni ecclesiali e la legislazione che regola tali strutture sembrano perfetti, ma questa bella macchina funziona? Al n. 55 leggiamo: “Per promuovere l’unità nella diversità, occorre superare il confessionalismo in ciò che può avere di limitato o esagerato, incoraggiare lo spirito di cooperazione tra le varie comunità, coordinare l’attività pastorale e stimolare l’emulazione spirituale e non la rivalità”. Altrove (n. 58) si legge: “molti fedeli auspicano, da parte loro, una maggiore semplicità di vita, un reale distacco in rapporto al denaro e alle comodità del mondo, una pratica edificante della castità e una purezza di costumi trasparente”.
Il testo ci appare tranquillizzante e timido; ma si legge una chiara denuncia dei danni che causano il confessionalismo e il clericalismo, le meschinerie, la sete di guadagno, la ricerca di potere, gli agi e i titoli dei membri del clero e dei religiosi e delle religiose, che si comportano senza complessi come funzionari e notabili. Questi comportamenti non possono che causare scandalo, disgregazione della comunione, disaffezione e contestazione della Chiesa e della religione cristiana e favorire le sette di ogni genere.
In molte situazioni pastorali particolari, i fedeli fanno fronte ad atteggiamenti problematici del clero che riguardano concretamente la comunione ecclesiale:
- la pratica domenicale nella chiesa più vicina, qualunque sia questa vicinanza (locale, affettiva, linguistica o altra)
- la celebrazione del matrimonio nella Chiesa della sposa e non in quella del marito;
- la catechesi e la prima comunione in una parrocchia diversa da quella solita, per questioni di lingua e di cultura;
- il passaggio di un fedele a un’altra Chiesa cattolica;
- le tariffe talvolta esorbitanti chieste per i sacramenti (battesimi, matrimoni, ecc.).
In queste e in altre situazioni, il clero e i religiosi spesso dimostrano di non aver compreso che cosa sia la “comunione ecclesiale”.

[00133-01.04] [IN095] [Testo originale: francese]







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