Intervento di Mons. Paul DAHDAH, Arcivescovo titolare di Are di Numidia, Vicario Apostolico
di Beirut dei Latini (LIBANO)
Nel testo dell’Instrumentum laboris sono chiaramente espressi i fondamenti
teologici, trinitari, cristologici ed ecclesiologici della comunione ecclesiale. Essi
sono alla base della vita sacramentale e dell’impegno dei battezzati nelle attività
necessarie per la crescita della Chiesa nella fedeltà e nella santità e per lo sviluppo
delle attività di servizio e di testimonianza in seno alla società degli uomini. Sono
anche il punto di riferimento della legislazione che gestisce le relazioni tra i membri
della Chiesa, gerarchia e fedeli, tra le Chiese cattoliche e con le loro Chiese sorelle. Il
testo menziona gli organismi ecclesiali già istituiti per favorire e sviluppare la
comunicazione tra le Chiese orientali cattoliche al livello globale, poi al livello
dei patriarcati e infine a quello delle eparchie. Sottolinea il ruolo fondamentale
del patriarca, poi del vescovo, per favorire la comunione, la coesione, l’unità nella
diversità. Il testo non manca di sottolineare la “grave responsabilità spirituale
e morale” dei ministri di Cristo e delle persone consacrate (n. 58). In apparenza
tutto è stato detto, tutto è chiaro; ma il testo suggerisce che la realtà è lontana
dall’ideale così presentato e che c’è ancora molto da fare per realizzare la comunione.
L’organigramma delle istituzioni ecclesiali e la legislazione che regola tali strutture
sembrano perfetti, ma questa bella macchina funziona? Al n. 55 leggiamo: “Per promuovere
l’unità nella diversità, occorre superare il confessionalismo in ciò che può avere
di limitato o esagerato, incoraggiare lo spirito di cooperazione tra le varie comunità,
coordinare l’attività pastorale e stimolare l’emulazione spirituale e non la rivalità”.
Altrove (n. 58) si legge: “molti fedeli auspicano, da parte loro, una maggiore semplicità
di vita, un reale distacco in rapporto al denaro e alle comodità del mondo, una pratica
edificante della castità e una purezza di costumi trasparente”. Il testo ci appare
tranquillizzante e timido; ma si legge una chiara denuncia dei danni che causano il
confessionalismo e il clericalismo, le meschinerie, la sete di guadagno, la ricerca
di potere, gli agi e i titoli dei membri del clero e dei religiosi e delle religiose,
che si comportano senza complessi come funzionari e notabili. Questi comportamenti
non possono che causare scandalo, disgregazione della comunione, disaffezione e contestazione
della Chiesa e della religione cristiana e favorire le sette di ogni genere. In
molte situazioni pastorali particolari, i fedeli fanno fronte ad atteggiamenti problematici
del clero che riguardano concretamente la comunione ecclesiale: - la pratica domenicale
nella chiesa più vicina, qualunque sia questa vicinanza (locale, affettiva, linguistica
o altra) - la celebrazione del matrimonio nella Chiesa della sposa e non in quella
del marito; - la catechesi e la prima comunione in una parrocchia diversa da quella
solita, per questioni di lingua e di cultura; - il passaggio di un fedele a un’altra
Chiesa cattolica; - le tariffe talvolta esorbitanti chieste per i sacramenti (battesimi,
matrimoni, ecc.). In queste e in altre situazioni, il clero e i religiosi spesso
dimostrano di non aver compreso che cosa sia la “comunione ecclesiale”.