Intervento di Mons. Ibrahim Michael IBRAHIM, Vescovo di Saint-Sauveur de Montréal
dei Greco-Melkiti (CANADA)
Innanzitutto, vorrei sottolineare che se i cristiani d’Oriente hanno difficoltà a
rimanere in numerosi paesi, gli immigrati orientali della mia eparchia ne hanno altrettante,
ma le loro difficoltà sono ben diverse. Per esempio, anche dopo trent’anni, gli immigrati
sono spesso dilaniati e anche “crocifissi” tra due mondi: il loro paese d’origine
e il loro paese d’accoglienza. L’immigrazione non è sempre un viaggio riposante. La
grande difficoltà che vivono gli immigrati cristiani orientali è che la loro vita
di fede, le loro tradizioni, le loro usanze, il loro retaggio e la loro Storia sono
minacciate da un secolarismo aggressivo e da un ateismo pratico che sono alla base
della nuova società in cui vivono. A causa di questa minaccia, molti possono sperimentare
una seconda immigrazione che può essere “definitiva”, che può provocare una rottura
totale con i valori già citati. D’altra parte, la nostra Chiesa vive con le stesse
pressioni della Chiesa occidentale che si confronta con un attacco premeditato, talvolta
mediante leggi che eliminano simboli religiosi importanti. Abbiamo sentito parlare
molto delle persecuzioni in Oriente e credo che una persecuzione di altro genere sia
già iniziata e vissuta dai cristiani d’Occidente. Ma la Chiesa resta salda e continua
a conservare la Speranza evangelica. Un altro problema vissuto dagli immigrati
cristiani orientali è la soluzione di comodo, dovuta alle grandi distanze tra il luogo
di residenza e il luogo di culto. Per questo ricorrono al luogo di culto più vicino.
Siamo una piccola minoranza che può essere assimilata dalla grande maggioranza. Da
un altro punto di vista, i cristiani del Medio Oriente che decidono di lasciare la
loro terra per evitare la convivenza con altre religioni, non sanno che in Occidente
la necessità della convivenza è talvolta più accentuata. L’Occidente è sempre più
diversificato e si trasforma, a causa dell’immigrazione, in un ambiente che accoglie
tutte le etnie, le culture e le religioni. Pertanto, non bisogna incoraggiare l’immigrazione
dei cristiani d’Oriente ma occorre aiutarli a radicarsi nel loro paese. Il nostro
essere in Oriente non è un caso, bensì avviene secondo la Volontà di Dio che l’ha
scelto e santificato con la Sua presenza. I cristiani d’Oriente devono essere attaccati
alla propria terra con tutte le loro forze e devono difenderla “con le unghie e con
i denti”. Ma allo stesso tempo non dobbiamo dimenticare che l’immigrazione giustificata
è un diritto inalienabile secondo i principi del rispetto della libertà della persona
umana e della sua dignità, principi che la Chiesa difende con insistenza. Credo che
occorra fare tutto il possibile per rafforzare la presenza dei cristiani in Oriente
prima di dir loro di non emigrare. Senza entrare nei dettagli, posso dire che i cristiani
emigrati sono talvolta un aiuto fondamentale per i cristiani che restano. In alcuni
casi l’immigrazione di una persona è addirittura necessaria per il bene della sua
famiglia e della sua parentela. Khalil Gibran diceva a ragione: “La terra è la mia
patria e l’umanità la mia famiglia”. Certo, è un ideale non facile da raggiungere.