Intervento del Rev. Raymond MOUSSALLI, Protosincello del Patriarcato di Babilonia
dei Caldei (GIORDANIA)
Noi siamo parte della storia e della cultura di questa regione medio-orientale, e
se saremo costretti ad abbandonarla perderemo la nostra identità nella prossima generazione.
Per questo spero che dal Sinodo emerga la necessità di una più stretta collaborazione
tra i capi delle varie Chiese nel dialogo reciproco con i fratelli musulmani moderati.
Come sappiamo le nostre chiese con il clero in Iraq vengono attaccati. C’è una deliberata
campagna per cacciare i cristiani al di fuori del paese. Ci sono piani satanici dei
gruppi fondamentali estremisti che non sono solo contro i cristiani iracheni in Iraq,
ma i cristiani in tutto il Medio Oriente. I cristiani Caldei Cattolici sono la
maggior parte della comunità dei profughi che ha come riferimento il vicariato del
Patriarcato della Chiesa Caldea, sono circa 10.000 persone; inoltre ci sono Assiri-Siri-Armeni
e altri circa 10.000 che vivono in Giordania con 350.000 musulmani iracheni profughi.
Sono in condizioni di estrema povertà e senza alcuna speranza di tornare nella terra
dei propri antenati. Da anni sono in situazioni di grande tribolazione spesso culminanti
in atti di vera e propria persecuzione. Come Chiesa siamo impegnati con la Caritas,
la missione pontificia, altre organizzazioni (educazione - catechismo - sanità - sociopastorali...)
ma i nostri mezzi sono limitati. La maggior parte delle comunità dei profughi ci hanno
consegnato alcuni documenti che contengono testimonianze scritte indirizzate a rappresentanze
diplomatiche di paesi occidentali (in particolare Stati Uniti e Australia) e all'Ufficio
di Amman dell'Alto commissariato delle Nazioni Unite per i Profughi (UNHCR) al fine
di ottenere il riconoscimento dello status di rifugiati. Secondo le loro fonti sono
registrate circa 50.000 persone. Vogliamo sensibilizzare la comunità internazionale
che non può restare in silenzio davanti al massacro dei cristiani in Iraq, i Paesi
di tradizione cattolica, affinché facciano qualcosa per i cristiani iracheni, a cominciare
dalla pressione sul Governo locale. Stiamo attraversando un tempo catastrofico per
l'emigrazione delle famiglie e la perdita del nostro popolo che parla ancora la lingua
aramaica pronunciata da nostro Signore Gesù Cristo.