Intervento del Prof. Marco IMPAGLIAZZO, Ordinario di Storia Contemporanea e Presidente
della Comunità di Sant'Egidio (ITALIA), uditore
Il Prof. Marco IMPAGLIAZZO è Ordinario di Storia Contemporanea presso l'Università
degli Studi per Stranieri di Perugia
È nell’interesse delle società musulmane
che le comunità cristiane siano vive e attive nel mondo mediorientale. Un Medio Oriente
senza cristiani significherebbe la perdita di una presenza interna alla cultura araba,
capace di rivendicare il pluralismo rispetto all’islam politico e all’islamizzazione.
Senza di loro l’Islam sarebbe più solo e fondamentalista. I cristiani rappresentano
una forma di resistenza a un “totalitarismo” islamizzante. La loro permanenza in Medio
Oriente è nell’interesse generale delle società della regione e dell’Islam. Tra
i cristiani e il Medio Oriente c’è un bisogno di sicurezza per il futuro. Questa sicurezza
non verrà dalla protezione occidentale. Si è visto nella storia dolorosa dell’Iraq.
La “sicurezza” viene dal riconoscimento della maggioranza dei musulmani. Non soltanto
dal riconoscimento dei diritti, ma anche da un consenso sociale e culturale che esprima
la volontà di vivere insieme. Questo processo esige dalle comunità cristiane di essere
“minoranze creative”. Benedetto XVI ha affermato: “normalmente sono le minoranze creative
che determinano il futuro, e in questo senso la Chiesa cattolica deve comprendersi
come minoranza creativa”. Non è opportuno dire: siamo poco numerosi, non dobbiamo
essere troppo esigenti. La Chiesa non esiste senza missione, dimensione alla quale
non può rinunciare. La prospettiva della minoranza creativa indica una via d’uscita:
la creatività. La creatività spazza via la paura. Non viene dal numero, dal potere
politico. La creatività viene dall’amore. Deve essere sempre più imitazione di Gesù.
Dobbiamo amare di più! Anche essere fedeli alla tradizione significa essere creativi.
In Medio Oriente non c’è solo da difendere un passato cristiano, ma anche da affermare
una visione del futuro, partendo dalla convinzione che i cristiani hanno in questo
una vocazione storica: comunicare il nome di Gesù, viverlo e, in tal modo lavorare
per costruire in modo creativo una civiltà del vivere insieme di cui il mondo intero
ha bisogno. C’è qui il dovere del dialogo. Parlo a nome della Comunità di Sant’Egidio,
che dal 1986 continua a realizzare l’intuizione avuta da Giovanni Paolo II ad Assisi,
quando ha riunito i leader religiosi e li ha invitati a pregare l’uno accanto all’altro
per la pace nella convinzione che dalla fede religiosa possono scaturire grandi energie
di pace. C’è un aspetto spirituale della pace, che è la fine della guerra, ma anche
l’arte di vivere insieme in armonia. Le Chiese in Medio Oriente possono essere artefici
di una civiltà del vivere insieme, esemplare a livello mondiale, nella misura in cui
reintegrano e rivendicano con voce alta e forte il senso della loro missione.