2010-10-15 19:08:58

Intervento del Prof. Marco IMPAGLIAZZO, Ordinario di Storia Contemporanea e Presidente della Comunità di Sant'Egidio (ITALIA), uditore


Il Prof. Marco IMPAGLIAZZO è Ordinario di Storia Contemporanea presso l'Università degli Studi per Stranieri di Perugia

È nell’interesse delle società musulmane che le comunità cristiane siano vive e attive nel mondo mediorientale. Un Medio Oriente senza cristiani significherebbe la perdita di una presenza interna alla cultura araba, capace di rivendicare il pluralismo rispetto all’islam politico e all’islamizzazione. Senza di loro l’Islam sarebbe più solo e fondamentalista. I cristiani rappresentano una forma di resistenza a un “totalitarismo” islamizzante. La loro permanenza in Medio Oriente è nell’interesse generale delle società della regione e dell’Islam.
Tra i cristiani e il Medio Oriente c’è un bisogno di sicurezza per il futuro. Questa sicurezza non verrà dalla protezione occidentale. Si è visto nella storia dolorosa dell’Iraq. La “sicurezza” viene dal riconoscimento della maggioranza dei musulmani. Non soltanto dal riconoscimento dei diritti, ma anche da un consenso sociale e culturale che esprima la volontà di vivere insieme. Questo processo esige dalle comunità cristiane di essere “minoranze creative”. Benedetto XVI ha affermato: “normalmente sono le minoranze creative che determinano il futuro, e in questo senso la Chiesa cattolica deve comprendersi come minoranza creativa”.
Non è opportuno dire: siamo poco numerosi, non dobbiamo essere troppo esigenti. La Chiesa non esiste senza missione, dimensione alla quale non può rinunciare. La prospettiva della minoranza creativa indica una via d’uscita: la creatività. La creatività spazza via la paura. Non viene dal numero, dal potere politico. La creatività viene dall’amore. Deve essere sempre più imitazione di Gesù. Dobbiamo amare di più! Anche essere fedeli alla tradizione significa essere creativi. In Medio Oriente non c’è solo da difendere un passato cristiano, ma anche da affermare una visione del futuro, partendo dalla convinzione che i cristiani hanno in questo una vocazione storica: comunicare il nome di Gesù, viverlo e, in tal modo lavorare per costruire in modo creativo una civiltà del vivere insieme di cui il mondo intero ha bisogno. C’è qui il dovere del dialogo. Parlo a nome della Comunità di Sant’Egidio, che dal 1986 continua a realizzare l’intuizione avuta da Giovanni Paolo II ad Assisi, quando ha riunito i leader religiosi e li ha invitati a pregare l’uno accanto all’altro per la pace nella convinzione che dalla fede religiosa possono scaturire grandi energie di pace. C’è un aspetto spirituale della pace, che è la fine della guerra, ma anche l’arte di vivere insieme in armonia. Le Chiese in Medio Oriente possono essere artefici di una civiltà del vivere insieme, esemplare a livello mondiale, nella misura in cui reintegrano e rivendicano con voce alta e forte il senso della loro missione.

[00122-01.05] [UD006] [Testo originale: francese]







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