Voci dal Sinodo: dialogo interreligioso, pace e crescita della comunione tra i cristiani
nella regione
La presenza al sinodo dei vescovi per il Medio Oriente di invitati speciali, rappresentanti
dell’Ebraismo e dell’Islam, testimonia il ruolo prioritario dato dalla Chiesa al dialogo
interreligioso. Ieri, come abbiamo ascoltato, il rabbino Rosen ha sottolineato la
felice trasformazione del rapporto tra cattolici ed ebrei. Paolo Ondarza ha
raccolto il commento di uno dei padri sinodali, mons. Francesco Coccopalmerio,
presidente del Pontificio Consiglio per i Testi Legislativi:
R. - Non
dimentichiamo che il rappresentante ebraico rappresenta le nostre radici. La religione
ebraica è la radice della fede cristiana. Abbiamo ascoltato il rabbino come rappresentante
delle nostre radici.
D. - Ricordare queste radici è anche un importante
punto di partenza per il dialogo interreligioso e per il dialogo con gli ebrei?
R.
- Certamente. Noi lo facciamo con grande sincerità e con grande passione.
D.
- Una prima riflessione sui lavori del Sinodo per il Medio Oriente...
R.
- Direi che si svolgono con regolarità, come al solito nel Sinodo dei vescovi, ma
anche con passione. Da quest’ultimo aspetto si vede l’animo orientale. Credo, quindi,
che i frutti potranno essere molto buoni.
“Il ruolo dei cristiani in Medio
Oriente è creare un’atmosfera di fiducia tra l’occidente e il mondo musulmano per
lavorare ad un nuovo Medio Oriente senza guerra”. Così Gregorios III Laham,
patriarchia di Antiochia dei Greco Melkiti e arcivescovo di Damasco, intervenendo
al Sinodo. “La presenza cristiana – ha detto Gregorios III Laham – è minacciata dai
cicli di guerre che si abbattono su questa regione e in particolare dal conflitto
israelo-palestinese”. Ascoltiamolo al microfono di Paolo Ondarza:
R. - Il problema
più profondo è quello di un conflitto che rovescia tutti i valori e tutte le relazioni
del mondo intero. Sto parlando del conflitto israelo-palestinese. Molte altre crisi,
secondo noi, sono state - più o meno - causate dal conflitto israelo-palestinese.
Per questo motivo noi, qui dal Sinodo, possiamo incoraggiare la Chiesa cattolica a
proseguire con proposte, iniziative e sforzi per la pace. Possiamo anche chiedere
alla Comunità internazionale di fare tutto il possibile, ma oggi e non domani. E’
più urgente che mai lavorare per la pace: credo che questo sia il servizio più grande
che si possa fare. Ecco perché propongo che dal Sinodo ci sia un appello urgente per
la pace in Medio Oriente.
D. - E’ dal conflitto israelo-palestinese
che dipende la serenità nel Medio Oriente?
R. - La serenità, la pace,
la convivialità, l’armonia, la libertà di culto, la libertà religiosa. Inoltre la
pace è la chiave per un dialogo islamo-crisitiano anche in Europa.
Come
abbiamo già detto oggi al Sinodo è stata ribadita l’importanza dei mezzi di comunicazione
per il Medio Oriente. “I media possono giocare un ruolo importante ed essere uno dei
mezzi più idonei per creare una comunione vera tra le varie Chiese cattoliche” ha
detto mons. Raphael François Minassian, esarca patriarcale di Cilicia degli
Armeni per Gerusalemme e Amman. Ascoltiamolo al microfono di Paolo Ondarza:
R. – I cristiani
hanno bisogno di vedere, di sentire i loro pastori. Attraverso i mezzi di comunicazione
si può appagare la sete che la gente ha di vedere i volti di questi pastori. In questo
modo tutti i fedeli potranno provare quella gioia che i primi cristiani avevano nel
guardare gli apostoli. Dare la possibilità di guardare i propri pastori crea la comunità,
genera unità. Quindi, quando c’è questa mancanza di contatto, quando non c’è questo
ponte, è normale che a risentirne è la comunione dei fedeli.
D. - Crede
che questo Sinodo possa in qualche modo incoraggiare un maggiore sviluppo dei mass
media?
R. – Dipende da quanto i Padri sinodali vorranno fare. Attualmente
tutte le iniziative esistenti sulla piazza mediorientale nel campo dei mass media
sono iniziative individuali. Io spero che i Padri sinodali dicano: "noi come Chiesa
cattolica in Medio Oriente adottiamo questo mezzo per tutte le Chiese senza differenziazione
di cultura o di tradizione, perché quando i fedeli ci vedranno in televisione o ci
ascolteranno alla radio, insieme, potremo dargli la forza". Io parlo per l’esperienza
che ho fatto per più di 5 anni lavorando per Telepace Armenia; ho ricevuto chiamate
di persone che, da lontano, mi hanno chiesto un aiuto.
D. – Non crede
che questo progetto possa incontrare qualche opposizione, qualche resistenza?
R.
– Sicuramente. Per questo si deve studiare, da una parte, la psicologia della Chiesa
orientale o cattolica in Oriente, dall’altra la situazione sociopolitica o sociogeografica,
perché noi ci troviamo in Paesi dove non c’è libertà di espressione.
D.
– Dunque, in questi luoghi, un media cattolico potrebbe dar voce anche a chi non ha
voce?
R. – Dar voce a chi non a voce per far capire prima di tutto ai
sistemi politici o ai regimi di questi Paesi che vogliamo semplicemente esprimerci
liberamente, senza attaccare o interferire con le altre religioni, ma parlare della
nostra realtà come cristiani.