2010-10-12 14:40:18

Relazione del Card. Roger Michael MAHONY, Arcivescovo di Los Angeles Card. Roger Michael MAHONY, Arcivescovo di Los Angeles, per il Nord America


A nome dei Vescovi e dei Cattolici del Nord America ho il piacere di porgere i miei saluti a tutti voi Vescovi e Cattolici delle varie Chiese del Medio Oriente riuniti in questa storica Assemblea Speciale. Nei nostri Paesi abbiamo la fortuna di avere un gran numero di vostri membri che vivono in mezzo a noi e in solidarietà con la Chiesa cattolica negli Stati Uniti.
Il mio intervento si concentrerà sulla questione di come i cristiani del Medio Oriente nella diaspora vivono il mistero della communio tra di loro e con gli altri cristiani. Rivolgerò poi la mia attenzione alla specifica testimonianza che i cristiani del Medio Oriente sono chiamati a dare.
Sebbene le mie osservazioni possano applicarsi a tutto il Nord America, porterò esempi della mia esperienza nell’Arcidiocesi di Los Angeles, poiché nella nostra Arcidiocesi sono rappresentate tutte le Chiese Orientali.
Testimonianza di Communio
Pur riconoscendo la loro unione con Roma, dovrebbero essere incoraggiate le relazioni interecclesiali non solo tra le Chiese sui iuris in Medio Oriente, ma specialmente nella diaspora (IL par. 55). Riconoscendo l’emorragia di cristiani dal Medio Oriente in Europa, in Australia e nelle Americhe, abbiamo cercato in vari modi di trasformare l’emigrazione in una nuova opportunità per sostenere questi cristiani, mentre si stabiliscono nella diaspora (IL par. 47-48). Noi cerchiamo di sostenere queste Chiese Cattoliche Orientali sui iuris accogliendole e assistendole nella fondazione di parrocchie e scuole, istituzioni culturali e organizzazioni al servizio delle necessità della loro gente, quando si stabiliscono in Occidente.

Abbiamo accolto siro-caldei, copti, greci, melchiti, maroniti e siro-cattolici e l’Arcidiocesi ha assistito molti di loro nel corso degli anni con prestiti finanziari e altri mezzi per aiutare queste persone a farsi una casa a Los Angeles. Nei miei venticinque anni come Arcivescovo, ho visitato tutte queste comunità, incoraggiandole ad “essere sé stesse” pur vivendo nell’area geografica dell’Arcidiocesi cattolico-romana di Los Angeles. Tra le altre risorse, abbiamo l’Associazione Pastorale Cattolico-Orientale che prevede riunioni bimensili del clero di queste e altre Chiese Cattolico-Orientali per pregare e sostenersi gli uni gli altri nello sforzo di coordinare le attività pastorali in uno spirito di mutua edificazione piuttosto che di rivalità (IL par. 55).
La Communio è al centro della vita divina: diversità nell’unità, unità nella diversità. Unità nella diversità, diversità nell’unità sono al centro della Communio che è la Chiesa. Negli Stati Uniti, il profondo rispetto per la diversità pone delle sfide eccezionali. “I fedeli delle varie Chiese sui iuris spesso frequentano una Chiesa Cattolica diversa dalla loro” [cioè la Chiesa Cattolica Romana]. “Si raccomanda loro di restare fedeli alla propria comunità d’origine, nella quale sono stati battezzati” (IL par. 56).
Però molti cattolici orientali provenienti dal Medio Oriente non fanno questo e diventano semplicemente cattolici romani. Saranno sufficienti due esempi pratici della tensione fra diversità e unità. Quando si arriva alla questione di iscrivere i figli alle scuole elementari cattoliche romane, dove c’è una riduzione delle tasse per coloro che sono “parrocchiani” attivi, come mantengono i cristiani delle Chiese Orientali il loro legame con la Chiesa in cui sono stati battezzati? Come educare e incoraggiare i pastori, amministratori e dirigenti scolastici cattolici romani ad aiutare questi immigrati a mantenere il legame con la loro propria comunità senza imporre loro oneri addizionali come il dover scegliere fra diventare membri di una parrocchia cattolica romana per il vantaggio costituito da una riduzione delle tasse o il rimanere membri di una parrocchia della loro Chiesa orientale di appartenenza?
Un secondo esempio può evidenziare la tensione: molte Chiese orientali ammettono all’Eucaristia i bambini fin dal Battesimo. Quando parrocchiani di queste Chiese assistono alle messe cattoliche romane, ai loro figli piccoli, che sono abituati a ricevere l’Eucaristia, spesso è proibito farlo.
Una maggiore sensibilità in questioni molto pratiche come queste semplificherebbe la difficile condizione degli immigrati cattolico-orientali provenienti dal Medio oriente. I nostri corsi e seminari riservano un’attenzione sufficiente alle sfide pratiche che i sacerdoti e i pastori devono affrontare se vogliono aiutare questa diaspora a vivere il mistero della communio in modo che rispetti la legittima diversità dei popoli di queste Chiese?
In tutto il Nord America ci sono molti istituti cattolici di studi superiori. La preparazione dei catechisti, la formazione spirituale e liturgica, la formazione teologica sono quasi esclusivamente di orientamento romano. Dove possono trovare posto gli immigrati cattolici orientali in questi istituti di educazione cattolici che offrono con entusiasmo corsi e seminari su altre religioni, siano esse l’ebraismo, l’islam, il buddismo o l’induismo, ma prestano poca o nessuna attenzione alla teologia, liturgia o spiritualità delle Chiese orientali? Soprattutto nelle aree con un’alta concentrazione di questi immigrati, come possiamo aiutare questi istituti superiori, come anche i nostri seminari, a riconoscere la necessità di tali corsi in modo che i membri della diaspora possano “acquisire una conoscenza sufficiente della teologia e della spiritualità proprie della Chiesa cui appartengono?” (IL Par. 64).
Testimonianza di perdono
Un’area particolarmente impegnativa nell’aiutare i popoli delle Chiese orientali a vivere in pienezza il Vangelo si affronta nell’IL 90ss “Il desiderio e la difficoltà del dialogo con l’ebraismo” e in 95ss “Rapporti con i musulmani”. Molte di queste iniziative sono già state prese nel nostro Paese e nella nostra Arcidiocesi, dove abbiamo un forte vincolo ecumenico, interconfessionale e interreligioso. Purtroppo tali iniziative hanno luogo senza molta partecipazione da parte degli immigrati cristiani del Medio Oriente. In realtà essi spesso sono critici nei confronti dei nostri sforzi in questi campi, specialmente sul tema del perdono (par. 68, 69, 113).

Spesso i cristiani del Medio Oriente vengono in Nord America con atteggiamenti e opinioni nei riguardi sia dei musulmani che degli ebrei che non sono in armonia con il Vangelo o con i progressi che abbiamo fatto nei rapporti della Chiesa con le altre religioni. Poiché a Los Angeles viviamo a stretto contatto con persone di molte fedi differenti, come possiamo aiutare il popolo di questa particolare diaspora a correggere queste convinzioni erronee che possono poi influenzare la loro patria attraverso i cristiani che vivono in Occidente? Sebbene non vogliano sentirlo dire, i cristiani che vivono nel Medio Oriente e quelli emigrati in Occidente hanno bisogno di essere sfidati a essere segno di riconciliazione e di pace. La condizione sine qua non per entrambe le cose è il perdono.
Ritengo che la sfida maggiore che affrontiamo con i nostri immigrati - siano essi cattolici medio orientali o cattolici vietnamiti fuggiti dal loro Paese per il Sud California, o cubani fuggiti da Cuba verso le coste di Miami - non è quella di aiutarli a vivere il mistero della communio fra i cristiani e fra le varie Chiese cristiane. La sfida più grande è di aiutarli a rispondere alla grazia di dare testimonianza al Vangelo perdonando quei nemici che spesso sono la causa principale dell’aver lasciato la loro patria per trovare pace e giustizia sulle nostre coste. Faremmo bene a rammentare il nostro defunto Santo Padre, Papa Giovanni Paolo II. Dopo aver pronunciato il suo messaggio per la Giornata mondiale della pace del 2002 ai diplomatici di tutto il mondo, riassumeva tutto con una frase che era una sfida: “Non c’è pace senza giustizia, non c’è giustizia senza perdono”.







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