Relazione del Card. Roger Michael MAHONY, Arcivescovo di Los Angeles Card. Roger Michael
MAHONY, Arcivescovo di Los Angeles, per il Nord America
A nome dei Vescovi e dei Cattolici del Nord America ho il piacere di porgere i miei
saluti a tutti voi Vescovi e Cattolici delle varie Chiese del Medio Oriente riuniti
in questa storica Assemblea Speciale. Nei nostri Paesi abbiamo la fortuna di avere
un gran numero di vostri membri che vivono in mezzo a noi e in solidarietà con la
Chiesa cattolica negli Stati Uniti. Il mio intervento si concentrerà sulla questione
di come i cristiani del Medio Oriente nella diaspora vivono il mistero della communio
tra di loro e con gli altri cristiani. Rivolgerò poi la mia attenzione alla specifica
testimonianza che i cristiani del Medio Oriente sono chiamati a dare. Sebbene
le mie osservazioni possano applicarsi a tutto il Nord America, porterò esempi della
mia esperienza nell’Arcidiocesi di Los Angeles, poiché nella nostra Arcidiocesi sono
rappresentate tutte le Chiese Orientali. Testimonianza di Communio Pur riconoscendo
la loro unione con Roma, dovrebbero essere incoraggiate le relazioni interecclesiali
non solo tra le Chiese sui iuris in Medio Oriente, ma specialmente nella diaspora
(IL par. 55). Riconoscendo l’emorragia di cristiani dal Medio Oriente in Europa, in
Australia e nelle Americhe, abbiamo cercato in vari modi di trasformare l’emigrazione
in una nuova opportunità per sostenere questi cristiani, mentre si stabiliscono nella
diaspora (IL par. 47-48). Noi cerchiamo di sostenere queste Chiese Cattoliche Orientali
sui iuris accogliendole e assistendole nella fondazione di parrocchie e scuole, istituzioni
culturali e organizzazioni al servizio delle necessità della loro gente, quando si
stabiliscono in Occidente.
Abbiamo accolto siro-caldei, copti, greci, melchiti,
maroniti e siro-cattolici e l’Arcidiocesi ha assistito molti di loro nel corso degli
anni con prestiti finanziari e altri mezzi per aiutare queste persone a farsi una
casa a Los Angeles. Nei miei venticinque anni come Arcivescovo, ho visitato tutte
queste comunità, incoraggiandole ad “essere sé stesse” pur vivendo nell’area geografica
dell’Arcidiocesi cattolico-romana di Los Angeles. Tra le altre risorse, abbiamo l’Associazione
Pastorale Cattolico-Orientale che prevede riunioni bimensili del clero di queste e
altre Chiese Cattolico-Orientali per pregare e sostenersi gli uni gli altri nello
sforzo di coordinare le attività pastorali in uno spirito di mutua edificazione piuttosto
che di rivalità (IL par. 55). La Communio è al centro della vita divina: diversità
nell’unità, unità nella diversità. Unità nella diversità, diversità nell’unità sono
al centro della Communio che è la Chiesa. Negli Stati Uniti, il profondo rispetto
per la diversità pone delle sfide eccezionali. “I fedeli delle varie Chiese sui iuris
spesso frequentano una Chiesa Cattolica diversa dalla loro” [cioè la Chiesa Cattolica
Romana]. “Si raccomanda loro di restare fedeli alla propria comunità d’origine, nella
quale sono stati battezzati” (IL par. 56). Però molti cattolici orientali provenienti
dal Medio Oriente non fanno questo e diventano semplicemente cattolici romani. Saranno
sufficienti due esempi pratici della tensione fra diversità e unità. Quando si arriva
alla questione di iscrivere i figli alle scuole elementari cattoliche romane, dove
c’è una riduzione delle tasse per coloro che sono “parrocchiani” attivi, come mantengono
i cristiani delle Chiese Orientali il loro legame con la Chiesa in cui sono stati
battezzati? Come educare e incoraggiare i pastori, amministratori e dirigenti scolastici
cattolici romani ad aiutare questi immigrati a mantenere il legame con la loro propria
comunità senza imporre loro oneri addizionali come il dover scegliere fra diventare
membri di una parrocchia cattolica romana per il vantaggio costituito da una riduzione
delle tasse o il rimanere membri di una parrocchia della loro Chiesa orientale di
appartenenza? Un secondo esempio può evidenziare la tensione: molte Chiese orientali
ammettono all’Eucaristia i bambini fin dal Battesimo. Quando parrocchiani di queste
Chiese assistono alle messe cattoliche romane, ai loro figli piccoli, che sono abituati
a ricevere l’Eucaristia, spesso è proibito farlo. Una maggiore sensibilità in questioni
molto pratiche come queste semplificherebbe la difficile condizione degli immigrati
cattolico-orientali provenienti dal Medio oriente. I nostri corsi e seminari riservano
un’attenzione sufficiente alle sfide pratiche che i sacerdoti e i pastori devono affrontare
se vogliono aiutare questa diaspora a vivere il mistero della communio in modo che
rispetti la legittima diversità dei popoli di queste Chiese? In tutto il Nord America
ci sono molti istituti cattolici di studi superiori. La preparazione dei catechisti,
la formazione spirituale e liturgica, la formazione teologica sono quasi esclusivamente
di orientamento romano. Dove possono trovare posto gli immigrati cattolici orientali
in questi istituti di educazione cattolici che offrono con entusiasmo corsi e seminari
su altre religioni, siano esse l’ebraismo, l’islam, il buddismo o l’induismo, ma prestano
poca o nessuna attenzione alla teologia, liturgia o spiritualità delle Chiese orientali?
Soprattutto nelle aree con un’alta concentrazione di questi immigrati, come possiamo
aiutare questi istituti superiori, come anche i nostri seminari, a riconoscere la
necessità di tali corsi in modo che i membri della diaspora possano “acquisire una
conoscenza sufficiente della teologia e della spiritualità proprie della Chiesa cui
appartengono?” (IL Par. 64). Testimonianza di perdono Un’area particolarmente
impegnativa nell’aiutare i popoli delle Chiese orientali a vivere in pienezza il Vangelo
si affronta nell’IL 90ss “Il desiderio e la difficoltà del dialogo con l’ebraismo”
e in 95ss “Rapporti con i musulmani”. Molte di queste iniziative sono già state prese
nel nostro Paese e nella nostra Arcidiocesi, dove abbiamo un forte vincolo ecumenico,
interconfessionale e interreligioso. Purtroppo tali iniziative hanno luogo senza molta
partecipazione da parte degli immigrati cristiani del Medio Oriente. In realtà essi
spesso sono critici nei confronti dei nostri sforzi in questi campi, specialmente
sul tema del perdono (par. 68, 69, 113).
Spesso i cristiani del Medio Oriente
vengono in Nord America con atteggiamenti e opinioni nei riguardi sia dei musulmani
che degli ebrei che non sono in armonia con il Vangelo o con i progressi che abbiamo
fatto nei rapporti della Chiesa con le altre religioni. Poiché a Los Angeles viviamo
a stretto contatto con persone di molte fedi differenti, come possiamo aiutare il
popolo di questa particolare diaspora a correggere queste convinzioni erronee che
possono poi influenzare la loro patria attraverso i cristiani che vivono in Occidente?
Sebbene non vogliano sentirlo dire, i cristiani che vivono nel Medio Oriente e quelli
emigrati in Occidente hanno bisogno di essere sfidati a essere segno di riconciliazione
e di pace. La condizione sine qua non per entrambe le cose è il perdono. Ritengo
che la sfida maggiore che affrontiamo con i nostri immigrati - siano essi cattolici
medio orientali o cattolici vietnamiti fuggiti dal loro Paese per il Sud California,
o cubani fuggiti da Cuba verso le coste di Miami - non è quella di aiutarli a vivere
il mistero della communio fra i cristiani e fra le varie Chiese cristiane. La sfida
più grande è di aiutarli a rispondere alla grazia di dare testimonianza al Vangelo
perdonando quei nemici che spesso sono la causa principale dell’aver lasciato la loro
patria per trovare pace e giustizia sulle nostre coste. Faremmo bene a rammentare
il nostro defunto Santo Padre, Papa Giovanni Paolo II. Dopo aver pronunciato il suo
messaggio per la Giornata mondiale della pace del 2002 ai diplomatici di tutto il
mondo, riassumeva tutto con una frase che era una sfida: “Non c’è pace senza giustizia,
non c’è giustizia senza perdono”.