Intervento di Mons. Boutros MARAYATI, Arcivescovo di Alep degli Armeni (SIRIA)
Il movimento ecumenico sta attraversando una vera crisi, prova ne sono le situazioni
difficili che devono affrontare oggi le Chiese del Consiglio Medio Orientale, che
per anni è stato in prima linea nel lavoro ecumenico nei nostri paesi. Speriamo oggi
che la crisi sia una fase transitoria del progresso iniziale nell’aprire una nuova
pagina del lavoro ecumenico, passando dallo stile burocratico, dallo sviluppo di progetti
e dall’amministrazione finanziaria a incoraggiare uno spirito di fratellanza, di dialogo
e di comunione tra le Chiese. L’Instrumentum laboris in tutte le sue pagine contiene
un aspetto ecumenico, poiché tutto riguarda le Chiese in Medio Oriente. Vorremmo aggiungere
che questa assemblea speciale non manterrà la sua dimensione autenticamente cristiana
e cattolica a meno che non venga letta alla luce delle nostre relazioni con le Chiese
e le altre comunità cristiane. È stato detto che “insieme siamo o non siamo affatto”. 1)
Ritengo che manchi qualcosa tra i paragrafi 14 e 15. Non sarebbe importante menzionare
che Damasco è stato il luogo della conversione di San Paolo, dal quale è partito per
recarsi in Arabia e poi in tutte le nazioni? Abbiamo celebrato l’Anno Paolino, indetto
da Sua Santità Papa Benedetto XVI. In Antiochia i discepoli di Cristo furono chiamati
cristiani. A nord di Aleppo, la vita monastica e religiosa fu prospera nel IV secolo.
Da Simeone il vecchio a san Marone, i siti archeologici ancora ne danno testimonianza.
È questo un fatto ecumenico che ci riporta alle nostre radici cristiane comuni. Dobbiamo
ravvivarlo, a livello non solo locale ma anche universale, affinché queste radici
possano sostenere la nostra presenza cristiana nella storia. 2) Al paragrafo 25
l’Instrumentum laboris afferma che “le situazioni nei diversi Paesi del Medio Oriente
sono molto differenti tra di loro”. Non si tratta di un semplice fatto, bensì di un
fatto innegabile. Se vogliamo che questa Assemblea speciale sia feconda, dobbiamo
pensare a una conferenza speciale per ciascun paese, avente un aspetto ecumenico,
dove poter discutere delle questioni a seconda delle situazioni locali. Indubbiamente
le sfide sono le stesse, ma ogni paese ha una situazione propria. 3) Le sfide menzionate
nell’Instrumentum laboris, specialmente quella dell’emigrazione (paragrafi 43-48),
sono una grave preoccupazione per noi come lo sono per le altre Chiese e le comunità
cristiane locali. Si tratta di una vera sollecitudine ecumenica. E da qui l’obbligo
di domandare: esiste un piano per evacuare i cristiani dall’Oriente? Negli ultimi
100 anni l’emigrazione o la deportazione violenta hanno continuato a verificarsi in
Oriente. Nel 1915 centinaia di migliaia di cristiani armeni sono stati deportati con
la forza dai loro paesi e sono stati vittima del primo genocidio del XX secolo per
mano degli ottomani. Tra quei martiri vi era il vescovo Ignatius Maloyan. Lo stesso
è accaduto tra i caldei e i siri. Molti cristiani sono stati allontanati dai loro
villaggi e dalle loro città. Questi atti sono proseguiti con gli eventi in Palestina,
la guerra civile in Libano, la rivoluzione islamica in Iran, l’invasione dell’Iraq...
I cristiani vengono martirizzati, costretti ad emigrare, costretti a partire da tutte
le Chiese, senza distinzione alcuna. Stiamo forse aspettando il giorno in cui il mondo
come spettatore e l’indifferenza delle Chiese occidentali rimarranno fermi ad osservare
la “morte dei Cristiani d’Oriente”? Malgrado le crisi e le difficoltà che si presentano
alla nostra vita cristiana e alle nostre relazioni ecumeniche, noi continuiamo a “credere,
sperando contro ogni speranza” (cfr. Rm 4, 18).