Bolivia: perplessità dei vescovi sulla legge antirazzismo
Nonostante le numerose proteste in ambito nazionale e internazionale, è stata approvata
in Bolivia la 045 contro il razzismo e la discriminazione, che include due articoli
(il 16 e il 23) ritenuti da più parti inaccettabili in un Paese democratico. Oltre
allo sciopero della fame che 13 giornalisti mantengono da due settimane in difesa
della libertà di espressione, di critica e di opinione, e della lettera di condanna
fatta pervenire al governo boliviano dalla potente Società interamericana della stampa
(Sip), in rappresentanza di oltre 1500 testate del continente, anche la Chiesa cattolica
ha rinnovato le sue perplessità. In merito ad alcuni contenuti della legge, i vescovi
avevano già espresso un’opinione e avevano chiesto qualche modifica, in particolare
sugli articoli che mettono a repentaglio la libertà di stampa. Mentre è in corso una
raccolta di firme per arrivare a un referendum abrogativo, mons. Braulio Sáez, vescovo
ausiliare di Santa Cruz, ha chiesto al governo una revisione del provvedimento, ricordando
che “non si possono far tacere le idee”. “Occorre dare ascolto alle proteste - ha
detto il presule - non è possibile accettare la manipolazione con cui vengono approvate
determinate leggi, in particolare questa sul razzismo e la discriminazione”. Questo,
inoltre, il commento di mons. Cristóbal Bialasik, vescovo di Oruro: “Se ci tolgono
la libertà di espressione, non c’è democrazia” e ciò è “in contraddizione con la Costituzione,
come lo sono gli articoli 16 e 23 della legge”. Se da un lato, legiferare contro ogni
forma di razzismo e discriminazione, in particolare di tipo sociale, è una necessità
urgente in Bolivia, sulla quale nessuno dissente; d’altra parte, lasciare alla discrezionalità
dei funzionari statali la formulazione di eventuali accuse, appare a gran parte dell’opinione
pubblica un meccanismo arbitrario e pericoloso, come già tempo fa avevano protestato
i vescovi boliviani. I due articoli controversi stabiliscono punizioni molto severe
contro le testate e i giornalisti ritenuti di fomentare condotte razziste o discriminatorie
e, in alcuni casi, prevedono che si arrivi fino alla chiusura delle testate, ma non
si precisa la forma dell’eventuale “reato” e si lascia la definizione della materia
a un futuro “regolamento”. Lo scorso 27 settembre, in risposta alla richiesta delle
autorità che avevano sollecitato i vescovi della Bolivia a esprimere le proprie considerazioni,
i vescovi hanno ricordato quanto, da sempre e in ogni circostanza, la Chiesa cattolica
sia contraria a qualsiasi forma di discriminazione e di razzismo. I presuli, poi,
hanno tenuto a sottolineare le proprie posizioni: "Lo Stato democratico deve garantire
ai suoi abitanti l'esercizio pieno dei propri diritti e la sicurezza giuridica di
poter esprimere liberamente le proprie opinioni, senza colpire i diritti degli altri”.
“Nessuno – ribadiscono - sarà giudicato per fatti non chiaramente definiti, né tantomeno
sarà perseguitato senza una giusta causa. È una condizione indispensabile per consentire
una convivenza pacifica e armonica: condizioni necessarie a ogni società organizzata".
I vescovi ritengono che “la forma in cui è scritto il progetto di legge dia luogo
a uno stato di insicurezza giuridica sia degli individui, sia della collettività,
poiché non esistono parametri chiari per definire e precisare quando si tratta di
condotte che possono essere giudicate discriminatorie". Tra l'altro, osserva la nota,
questi parametri sono "fondamentali per regolare la condotta di un popolo". Perché
si parla di "insicurezza giuridica"? Perché, rispondono i vescovi, "si lascia all'interpretazione
dell’autorità pubblica" la facoltà di definire una condotta discriminatoria, razzista
o meno e ciò "apre la possibilità a forme che possono mettere a rischio i diritti
delle persone e violare l'indispensabile sicurezza giuridica di cui, in uno Stato
di diritto, ogni cittadino gode". I vescovi concludono affermando che senza le correzioni
necessarie e i dovuti chiarimenti concettuali, il progetto, approvato in questa forma,
"metterebbe a rischio l'esercizio democratico della libera espressione e della critica".
(A cura di Luis Badilla)