2010-10-10 12:40:10

Diritto dell’Ue e confessioni religiose al centro di un convegno a Roma del Centro Studi sugli Enti ecclesiastici


"Diritto dell’Unione europea e status delle confessioni religiose" : è stato questo il tema del convegno, organizzato a Roma dal Cesen, Centro studi sugli enti ecclesiastici, con la partecipazione dell’Osservatore permanente della Santa Sede presso il Consiglio d’Europa, mons. Aldo Giordano, e di molti relatori. Tra questi il segretario generale della Comece, la Commissione degli episcopati della Comunità Europea, mons. Piotr Mazurkiewicz. Nell’intervista di Fausta Speranza, spiega le nuove prospettive aperte dall’articolo 17 del Trattato di Lisbona con cui l’Unione Europea ha riformato le basi costituzionali delle istituzioni. Articolo che riguarda i rapporti dell’Ue con le Chiese:RealAudioMP3  

R. – A livello giuridico il Trattato di Lisbona e l’art. 17 hanno cambiato la nostra situazione. Da una parte, noi avevamo un dialogo con le istituzioni europee di tipo informale, prima del Trattato di Lisbona e c’era quindi già una pratica, i cui effetti si sono avuti in un anno o due. Posso dire che abbiamo sperimentato una nuova apertura nell’istituzione. C’è, infatti, la volontà di stare in contatto con noi in maniera pubblica e questa è una cosa nuova. Mi pare, poi, che in questi mesi avremo degli incontri con i rappresentanti delle diverse istituzioni, per parlare e riflettere insieme su cosa dice questo articolo, quale obbligo abbiano le istituzioni e quali strutture debbano affrontare questo dialogo. Abbiamo due cose molto importanti in questo articolo. La prima cosa è che l’Unione Europea non ha delle competenze sulla religione e anche sul contesto dello status delle Chiese nei Paesi membri. Abbiamo ricevuto quindi la garanzia che l’Unione Europea non prenderà nessuna iniziativa in futuro per armonizzare questo diritto, questa situazione molto diversa e questa situazione giuridica delle Chiese europee. D’altra parte, le istituzioni sono obbligate ad un dialogo con le Chiese, e in questo momento si parla di dialogo, di scambio di opinioni, di contatti, di punti vista ed idee. 

A parte le prospettive del nuovo Trattato di Lisbona, interessa molto la questione di nuovi diritti o presunti tali che cercano di affermarsi accanto a quelli riconosciuti dalla Convenzione dei diritti dell’uomo che compie 60 anni il prossimo 3 novembre. Fausta Speranza ne ha parlato con la prof.ssa Marta Cartabia, dell’Università di Milano-Bicocca:RealAudioMP3  

R. – La peculiarità del nostro tempo è che a queste nuove domande di regolamentazione giuridica spesso si risponde in termini di diritti individuali, nuovi diritti individuali, che non vengono creati dal nulla, ma vengono fatti derivare da alcuni diritti scritti, già esistenti, attraverso delle interpretazioni evolutive o creatrici di nuovi diritti.

 

D. – Proprio in questi giorni il Consiglio d’Europa ha bocciato una risoluzione sull’obiezione di coscienza o meglio una risoluzione in cui si voleva in qualche modo minare il diritto all’obiezione di coscienza, portando avanti l’istanza del diritto all’aborto e, dunque, del dovere dei medici di assistere comunque donne che vogliono abortire. C’è qualche tendenza a rivedere quelli che erano i valori fondamentali e soprattutto, magari, a creare nuovi diritti che non abbiano questo fondamento poi così riconosciuto dalla Convenzione europea dei diritti umani, perché in questo caso il diritto all’aborto non è un diritto riconosciuto, esiste il diritto alla vita semmai e le legislazioni nazionali riconoscono l’eccezione al diritto alla vita. Qual è la sfida?

 

R. – Il problema serio è che questi nuovi diritti vengono introdotti non attraverso una riflessione generale sui cambiamenti che la nostra società ha subito e quindi gli adeguamenti che necessitano anche documenti che sono stati scritti alla metà del secolo scorso, come la Convenzione, ma piuttosto sono dei diritti che vengono aggiunti o per via giurisprudenzale o attraverso queste risoluzioni, nuove convenzioni da parte di organismi internazionali. Questo fatto, che compaiano nuovi diritti - e non si parla di diritto all’aborto, ma magari il linguaggio è quello dei diritti alla salute riproduttiva, che ha tutta un’ambiguità sua - che vengono introdotti in modo isolato, fuori da un contesto generale, tende a creare una situazione per cui i "nuovi diritti" vengono concepiti come assoluti. Se noi guardiamo solo ed esclusivamente il problema dell’interruzione della gravidanza, qualunque forma di obiezione di coscienza appare sotto la luce di una possibile compromissione di quella esigenza. Se noi guardiamo invece nel complesso qual è il tipo di atteggiamento che un ordinamento vuole avere di fronte alla vita, che è il valore tutelato positivamente, allora questo divieto di obiezione di coscienza o questa spinta che veramente aveva delle radici già da qualche tempo - nell’area delle istituzioni dell’Unione Europea c’era questo dibattito in corso – allora assume una luce totalmente diversa, perché non compare più come un limite al diritto che si vuole difendere sul supposto diritto. Si potrebbe discutere sull’idea dell’aborto come diritto individuale, ma invece compare nella luce sua propria, che è quella della libertà di coscienza e questa sì che ha delle radici anche nel diritto positivo.

 

D. – Per fortuna in questo caso è stata bocciata...

 

R. – In questo caso ho appreso anch’io la notizia che mi ha piacevolmente sorpreso, perché in qualche modo la tendenza del dibattito andava invece in una direzione opposta.








All the contents on this site are copyrighted ©.