Diritto dell’Ue e confessioni religiose al centro di un convegno a Roma del Centro
Studi sugli Enti ecclesiastici
"Diritto dell’Unione europea e status delle confessioni religiose" : è stato questo
il tema del convegno, organizzato a Roma dal Cesen, Centro studi sugli enti ecclesiastici,
con la partecipazione dell’Osservatore permanente della Santa Sede presso il Consiglio
d’Europa, mons. Aldo Giordano, e di molti relatori. Tra questi il segretario generale
della Comece, la Commissione degli episcopati della Comunità Europea, mons. Piotr
Mazurkiewicz. Nell’intervista di Fausta Speranza, spiega le nuove prospettive
aperte dall’articolo 17 del Trattato di Lisbona con cui l’Unione Europea ha riformato
le basi costituzionali delle istituzioni. Articolo che riguarda i rapporti dell’Ue
con le Chiese:
R. – A livello
giuridico il Trattato di Lisbona e l’art. 17 hanno cambiato la nostra situazione.
Da una parte, noi avevamo un dialogo con le istituzioni europee di tipo informale,
prima del Trattato di Lisbona e c’era quindi già una pratica, i cui effetti si sono
avuti in un anno o due. Posso dire che abbiamo sperimentato una nuova apertura nell’istituzione.
C’è, infatti, la volontà di stare in contatto con noi in maniera pubblica e questa
è una cosa nuova. Mi pare, poi, che in questi mesi avremo degli incontri con i rappresentanti
delle diverse istituzioni, per parlare e riflettere insieme su cosa dice questo articolo,
quale obbligo abbiano le istituzioni e quali strutture debbano affrontare questo dialogo.
Abbiamo due cose molto importanti in questo articolo. La prima cosa è che l’Unione
Europea non ha delle competenze sulla religione e anche sul contesto dello status
delle Chiese nei Paesi membri. Abbiamo ricevuto quindi la garanzia che l’Unione Europea
non prenderà nessuna iniziativa in futuro per armonizzare questo diritto, questa situazione
molto diversa e questa situazione giuridica delle Chiese europee. D’altra parte, le
istituzioni sono obbligate ad un dialogo con le Chiese, e in questo momento si parla
di dialogo, di scambio di opinioni, di contatti, di punti vista ed idee.
A
parte le prospettive del nuovo Trattato di Lisbona, interessa molto la questione di
nuovi diritti o presunti tali che cercano di affermarsi accanto a quelli riconosciuti
dalla Convenzione dei diritti dell’uomo che compie 60 anni il prossimo 3 novembre.
Fausta Speranza ne ha parlato con la prof.ssa Marta Cartabia, dell’Università
di Milano-Bicocca:
R. – La
peculiarità del nostro tempo è che a queste nuove domande di regolamentazione giuridica
spesso si risponde in termini di diritti individuali, nuovi diritti individuali, che
non vengono creati dal nulla, ma vengono fatti derivare da alcuni diritti scritti,
già esistenti, attraverso delle interpretazioni evolutive o creatrici di nuovi diritti.
D.
– Proprio in questi giorni il Consiglio d’Europa ha bocciato una risoluzione sull’obiezione
di coscienza o meglio una risoluzione in cui si voleva in qualche modo minare il diritto
all’obiezione di coscienza, portando avanti l’istanza del diritto all’aborto e, dunque,
del dovere dei medici di assistere comunque donne che vogliono abortire. C’è qualche
tendenza a rivedere quelli che erano i valori fondamentali e soprattutto, magari,
a creare nuovi diritti che non abbiano questo fondamento poi così riconosciuto dalla
Convenzione europea dei diritti umani, perché in questo caso il diritto all’aborto
non è un diritto riconosciuto, esiste il diritto alla vita semmai e le legislazioni
nazionali riconoscono l’eccezione al diritto alla vita. Qual è la sfida?
R.
– Il problema serio è che questi nuovi diritti vengono introdotti non attraverso una
riflessione generale sui cambiamenti che la nostra società ha subito e quindi gli
adeguamenti che necessitano anche documenti che sono stati scritti alla metà del secolo
scorso, come la Convenzione, ma piuttosto sono dei diritti che vengono aggiunti o
per via giurisprudenzale o attraverso queste risoluzioni, nuove convenzioni da parte
di organismi internazionali. Questo fatto, che compaiano nuovi diritti - e non si
parla di diritto all’aborto, ma magari il linguaggio è quello dei diritti alla salute
riproduttiva, che ha tutta un’ambiguità sua - che vengono introdotti in modo isolato,
fuori da un contesto generale, tende a creare una situazione per cui i "nuovi diritti"
vengono concepiti come assoluti. Se noi guardiamo solo ed esclusivamente il problema
dell’interruzione della gravidanza, qualunque forma di obiezione di coscienza appare
sotto la luce di una possibile compromissione di quella esigenza. Se noi guardiamo
invece nel complesso qual è il tipo di atteggiamento che un ordinamento vuole avere
di fronte alla vita, che è il valore tutelato positivamente, allora questo divieto
di obiezione di coscienza o questa spinta che veramente aveva delle radici già da
qualche tempo - nell’area delle istituzioni dell’Unione Europea c’era questo dibattito
in corso – allora assume una luce totalmente diversa, perché non compare più come
un limite al diritto che si vuole difendere sul supposto diritto. Si potrebbe discutere
sull’idea dell’aborto come diritto individuale, ma invece compare nella luce sua propria,
che è quella della libertà di coscienza e questa sì che ha delle radici anche nel
diritto positivo.
D. – Per fortuna in questo caso è
stata bocciata...
R. – In questo caso ho appreso anch’io
la notizia che mi ha piacevolmente sorpreso, perché in qualche modo la tendenza del
dibattito andava invece in una direzione opposta.