2010-10-08 08:32:26

L’Onu: i conflitti di lunga durata creano rifugiati semi-permanenti


Ricordando che i conflitti di lunga durata contribuiscono a creare una nuova popolazione di rifugiati semi-permanenti, un alto ufficiale delle Nazioni Unite ha invitato i governi nazionali ad incrementare i propri sforzi per garantire la protezione a favore dei circa 43 milioni di profughi esistenti al mondo. L’Alto Commissario per i Rifugiati António Guterres ha specificato che oltre la metà dei rifugiati per i quali l’Alto Commissariato delle Nazioni Unite per i Rifugiati (UNHCR) è attualmente responsabile, più di 5,5 milioni, si trovano in una situazione semi-permanente. La maggior parte di essi si trova in paesi in via di sviluppo, dove risiedono i quattro quinti dei profughi del mondo. Lo scorso anno è stato il peggiore degli ultimi due decenni per quanto riguarda il ritorno volontario dei rifugiati, visto che solo 250.000 di essi sono ritornati nei loro paesi di origine – circa un quarto rispetto alla media annuale degli ultimi 10 anni. “C’è una spiegazione semplice per questo fenomeno. La natura mutevole e la crescente intrattabilità del conflitto rendono più complicato il raggiungimento di una pace sostenibile”, ha affermato Guterres parlando all’incontro annuale del consiglio esecutivo dell’UNHCR a Ginevra. “Assistiamo alla creazione di un numero di rifugiati globali semi-permanenti, come conseguenza dei conflitti di lungo periodo, tra i quali gli Afgani e i Somali sono sicuramente casi esemplari”. “I rifugiati afgani sono sparsi in 69 paesi, mentre in Somalia non sembrano esserci reali prospettive di pace”. L’Alto Commissario ha richiamato i paesi a potenziare il proprio sostegno nei confronti di coloro che sono vittime di queste situazioni e a basarsi sui principi della protezione internazionale, su cui si fonda il lavoro dell’agenzia. “Dobbiamo incrementare la solidarietà internazionale e la condivisione di responsabilità”, ha detto. “Una maggior comprensione e il riconoscimento da parte della comunità internazionale degli sforzi compiuti da parte dei paesi di accoglienza è indispensabile in tal senso”. Un effetto tangibile ed efficace di condivisione delle responsabilità, ha riferito, è il re-insediamento, in base al quale i rifugiati che non hanno potuto trovare un posto sicuro o una soluzione duratura nel loro primo paese di arrivo, possono richiedere la residenza in un altro paese. Da giugno 2008, dodici nuovi paesi hanno stabilito programmi di re-insediamento, per un totale di 24 programmi al mondo, tra i quali la maggior parte concentrata negli USA, in Australia e in Canada. “Resta comunque un grande divario tra il bisogno di re-insediamento e la capacità di implementarlo”, ha affermato Guterres, visto che a fronte di 800,000 rifugiati che necessitano re-insediarsi, solo il 10% riesce a farlo. “È solo attraverso un re-insediamento e un ritorno volontario ottimizzati, ma anche una più equa condivisione delle responsabilità, che si può sperare di raggiungere un maggiore livello di integrazione locale.” Guterres ha anche toccato il tema relativo ai bisogni di altri gruppi di profughi, a parte i rifugiati, incluso le vittime di disastri naturali, i 27 milioni di persone che attualmente sono profughe all’interno dei propri confini nazionali e i circa 12 milioni di persone al mondo che hanno la condizione di apolidi.







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