L’Onu: i conflitti di lunga durata creano rifugiati semi-permanenti
Ricordando che i conflitti di lunga durata contribuiscono a creare una nuova popolazione
di rifugiati semi-permanenti, un alto ufficiale delle Nazioni Unite ha invitato i
governi nazionali ad incrementare i propri sforzi per garantire la protezione a favore
dei circa 43 milioni di profughi esistenti al mondo. L’Alto Commissario per i Rifugiati
António Guterres ha specificato che oltre la metà dei rifugiati per i quali l’Alto
Commissariato delle Nazioni Unite per i Rifugiati (UNHCR) è attualmente responsabile,
più di 5,5 milioni, si trovano in una situazione semi-permanente. La maggior parte
di essi si trova in paesi in via di sviluppo, dove risiedono i quattro quinti dei
profughi del mondo. Lo scorso anno è stato il peggiore degli ultimi due decenni per
quanto riguarda il ritorno volontario dei rifugiati, visto che solo 250.000 di essi
sono ritornati nei loro paesi di origine – circa un quarto rispetto alla media annuale
degli ultimi 10 anni. “C’è una spiegazione semplice per questo fenomeno. La natura
mutevole e la crescente intrattabilità del conflitto rendono più complicato il raggiungimento
di una pace sostenibile”, ha affermato Guterres parlando all’incontro annuale del
consiglio esecutivo dell’UNHCR a Ginevra. “Assistiamo alla creazione di un numero
di rifugiati globali semi-permanenti, come conseguenza dei conflitti di lungo periodo,
tra i quali gli Afgani e i Somali sono sicuramente casi esemplari”. “I rifugiati afgani
sono sparsi in 69 paesi, mentre in Somalia non sembrano esserci reali prospettive
di pace”. L’Alto Commissario ha richiamato i paesi a potenziare il proprio sostegno
nei confronti di coloro che sono vittime di queste situazioni e a basarsi sui principi
della protezione internazionale, su cui si fonda il lavoro dell’agenzia. “Dobbiamo
incrementare la solidarietà internazionale e la condivisione di responsabilità”, ha
detto. “Una maggior comprensione e il riconoscimento da parte della comunità internazionale
degli sforzi compiuti da parte dei paesi di accoglienza è indispensabile in tal senso”.
Un effetto tangibile ed efficace di condivisione delle responsabilità, ha riferito,
è il re-insediamento, in base al quale i rifugiati che non hanno potuto trovare un
posto sicuro o una soluzione duratura nel loro primo paese di arrivo, possono richiedere
la residenza in un altro paese. Da giugno 2008, dodici nuovi paesi hanno stabilito
programmi di re-insediamento, per un totale di 24 programmi al mondo, tra i quali
la maggior parte concentrata negli USA, in Australia e in Canada. “Resta comunque
un grande divario tra il bisogno di re-insediamento e la capacità di implementarlo”,
ha affermato Guterres, visto che a fronte di 800,000 rifugiati che necessitano re-insediarsi,
solo il 10% riesce a farlo. “È solo attraverso un re-insediamento e un ritorno volontario
ottimizzati, ma anche una più equa condivisione delle responsabilità, che si può sperare
di raggiungere un maggiore livello di integrazione locale.” Guterres ha anche toccato
il tema relativo ai bisogni di altri gruppi di profughi, a parte i rifugiati, incluso
le vittime di disastri naturali, i 27 milioni di persone che attualmente sono profughe
all’interno dei propri confini nazionali e i circa 12 milioni di persone al mondo
che hanno la condizione di apolidi.