Afghanistan. Karzai apre il Consiglio di pace: al via il dialogo con i talebani
Il presidente afghano, Hamid Karzai, ha inaugurato l'Alto Consiglio di pace, che dovrebbe
avviare un processo di integrazione dei talebani e degli insorti. Karzai ha ribadito
l'invito al dialogo ai gruppi ribelli. Il Consiglio comprende 68 membri tra i quali
gli ex presidenti Burhanuddin Rabbani e Sibghatullah Mujadadi. Il progetto era stato
approvato a giugno in occasione della Loya jirga per la pace a Kabul. Intanto, arrivano
nuove conferme dei negoziati segreti avviati da Karzai con alcune frange della guerriglia
affinché abbandonino le armi. Notizie, dunque, che fanno sperare per il futuro del
Paese, anche se la situazione sul terreno resta difficile come conferma Luca Lo Presti,
direttore dell’ong Pangea Onlus, raggiunto telefonicamente a Kabul da Stefano Leszczynski:
R. – Questa
jirga della pace ci può dare qualche speranza, ma la popolazione non vede ancora una
luce. E l’interrogativo che tutti si pongono qua – ed io riporto solo la voce di strada
– è alla fine: chi sono questi talebani? Perché nessuno li vuole qui. Anzitutto, in
molti dubitano del fatto che siano afghani, perché con questi attacchi omicidi e suicidi
uccidono gli afghani stessi.
D. – Insomma, l’impressione dal terreno
non è buona. La popolazione civile come sta vivendo in questo periodo?
R.
– Faccio un esempio su tutti: gli aiuti umanitari, così tanto decantati. Qui, le scuole
funzionano solo due ore al giorno: dalle 8.00 alle 10.00 del mattino, perché non ci
sono i soldi per pagare gli insegnanti. E la stessa qualità degli insegnanti è bassissima,
perché chi era veramente edotto è fuori dal Paese e gli insegnanti che sono qui, con
salari verso la soglia della povertà, sanno a malapena leggere e scrivere. Chiaramente,
ciò stride con il potere economico e geopolitico che questi signori della guerra,
i colletti bianchi della guerra, vogliono gestire rispetto a quelle che sono le condizioni
reali della vita, in un Paese che sembra non riuscire a progredire e dove si ha la
convinzione che nessuno voglia farlo progredire.
D. – Quindi, la sensazione
è che fino ad oggi nessuno ha lavorato, in realtà, alla ricostruzione di un tessuto
sociale in Afghanistan...
R. – Qualche sforzo è stato fatto adesso,
perché veniva la stampa per documentare le azioni. L’unico posto dove si sta un po’
meglio è Herat, dove un signore della guerra, peraltro non certo una persona portatrice
di diritti umani, ha dedicato parte delle sue attenzioni alla popolazione civile.
E’, però un’iniziativa di uno dei tanti signori della guerra - in questo caso Ismail
Khan - che ha deciso in maniera quasi "socialista" di portare beneficio alla
sua popolazione, gestendo però una sharia in maniera cruenta e non vivendo di certo
una situazione di rispetto dei diritti umani. Io ho l’impressione che come sempre
la popolazione civile - come in ogni conflitto, come in ogni parte del mondo, dove
gli interessi geopolitici ed economici sono grandi - sia solo una pedina su una scacchiera,
dove si gioca un grande gioco.