A Barcellona, l'incontro "Uomini e religioni" della Comunità di Sant'Egidio: solo
il dialogo schiude ai popoli le porte della pace
Medio Oriente, Africa, Europa. I tre punti fondamentali sui quali ruota l’edizione
2010 dell’incontro internazionale per la pace organizzato dalla Comunità di Sant’Egidio
e in corso a Barcellona. Nel messaggio di apertura, il fondatore di Sant’Egidio, Andrea
Riccardi, ha ribadito come quel dialogo, apparso come una pericolosa ingenuità dopo
gli attentati del 2001, oggi si dimostra necessario per un mondo che altrimenti sarebbe
peggiore. Da Barcellona, Francesca Sabatinelli.
Nel 1989,
con la fine della Guerra fredda, la pace sembrò a portata di mano. L’11 settembre
di 12 anni dopo “rivelò l’abisso di violenza su cui scorreva la storia”. Il mondo
del nuovo millennio “si scopriva frammentato in tante identità, si volevano arruolare
le religioni sotto le bandiere del conflitto”. La comunità di Sant’Egidio si stringe
attorno alle parole del suo fondatore Andrea Riccardi, in apertura di questo appuntamento
di preghiera e dialogo organizzato dalla Comunità che 24 anni fa ha scelto di prendere
il testimone lasciato da Giovanni Paolo II con l’incontro ad Assisi di tutte le religioni
mondiali. La domanda posta da Riccardi ai presenti, rappresentanti della Chiese
cristiane e delle grandi religioni, esponenti del mondo della cultura e della politica
internazionale, ha sempre accompagnato gli appuntamenti di Sant’Egidio: dove porta
la cultura della guerra? “Fallita, anche quando voleva portare la pace”, è la risposta.
In questi anni si è seminato odio, fanatismo, “molte vite sono state sprecate,
non si è lottato contro le grandi povertà”. Si praticano ancora violenza e terrorismo.
Di qui, l’appello a tutti, soprattutto agli uomini di religione, a
non cedere alla “rassegnazione che significa ripiegamento sul proprio interesse individuale,
di gruppo”. Occorre ricostruire la famiglia di civiltà e religioni diverse, affermare
la dignità delle differenze che non si devono mai drammatizzare, perché può divenire
un “gioco pericoloso per il clima dei Paesi, anche se elettoralmente può sembrare
redditizio”. Ecco che quindi, insiste Riccardi, i rom non sono “una minaccia, ma un
problema da affrontare con pazienza e impegno”, e “l’integrazione degli immigrati
è un compito epocale da svolgere con intelligenza”. Bisogna avere il coraggio
di forzare un tempo nuovo, è la conclusione, capace di fondare in senso spirituale
una stagione di pace: e questo perché ''con la forza debole della fede si può costruire
con coraggio un mondo che sia famiglia di popoli”.
L’appuntamento con Sant’Egidio
ieri si era aperto negli stretti vicoli di Barcellona, con una Santa Messa celebrata
nella basilica di Santa Maria del Mar, dal'arcivescovo della Città, il cardinaleLluís Martínez Sistach. Accanto a lui, sull’altare, il metropolita ortodosso
russo Filaret, esarca di Bielorussia. Per loro, così come si legge nel messaggio del
Papa, il dialogo e la fede sono la risposta alle difficoltà di un mondo contemporaneo
in cui prevalgono conflitto e scetticismo. Francesca Sabatinelli ne parla nell'intervista
al cardinale Sistach.
R. - Il dialogo
è l’unica strada per arrivare all’autentica pace, a un buon rapporto tra i popoli
e tutte le persone. C’è la tentazione di lasciare o dimenticare il dialogo; pare che
non sia efficiente, efficace, ma è l’unica strada, perché le altre strade non portano
alla pace, portano soltanto all’interesse dei gruppi, delle parti. Credo che dobbiamo
lavorare molto in questo senso e la Comunità di Sant’Egidio lo sta facendo con lo
spirito di Assisi, lo stesso con il quale Giovanni Paolo II nel 1986 ha convocato
tutti i leader delle religioni più importanti del mondo. Credo che dobbiamo seguire
questa strada, perché penso che nella Chiesa e nel mondo siano molte di più le cose
che non si vedono che quelle che si vedono: ci sono tante cose buone che non si vedono.
Penso che questi 25 incontri abbiano dato molti frutti: alcuni, molti, li vediamo,
ma ce ne sono anche molti che non vediamo ma che ci sono.
D. - Questo
appuntamento qui a Barcellona, eminenza, è molto importante anche per il dialogo ecumenico,
come tutti gli appuntamenti di Sant’Egidio. Sull’altare con lei c'era un esponente
del Patriarcato di Mosca…
R. - E’ stato un momento molto commovente,
certamente. Abbiamo condiviso l'omelia e poi ci siamo dati un abbraccio: l’abbraccio
del cuore, l’abbraccio dell’amore, l’abbraccio della fraternità. Arriveremo un giorno
anche all’abbraccio per l’Eucaristia, della piena comunione, siamo sulla buona strada.
C’è in tutta l’Europa una grande e grave crisi di speranza ed di questa risente maggiormente
la gioventù. Credo che il cristianesimo e tutte le altre religioni debbano alimentare
la speranza. Però, è anche necessario che ci sia un posto, un luogo per le religioni
in ambito pubblico perché oggi un certo laicismo culturale non lascia posto alle religioni,
e una società democratica ha bisogno anche delle religioni.
L’appello del
Papa ai giovani a non cedere alle suggestioni della mafia ha avuto vasta eco anche
a Barcellona, al Meeting organizzato dalla Comunità di Sant’Egidio. Presente all'appuntamento
nella città catalana anche l’arcivescovo di Napoli, il cardinale Crescenzio Sepe,
il cui impegno pastorale ha contemplato da sempre il contrasto alla criminalità organizzata.
Francesca Sabatinelli lo ha intervistato:
R. - Sappiamo
come tutte le forme mafiose - camorra, ecc. - cerchino in qualche maniera non solo
di sostituirsi a quella che è la legalità di una società, di una comunità che vuole
crescere, ma di dare anche l’insegnamento opposto, contrario a quello che è il Vangelo.
Tra poco, pubblicheremo la guida per la disciplina dei Sacramenti, dove dico che è
proibito per loro fare da padrini, proibito per loro partecipare a tutte quelle che
sono le funzioni anche sacramentali, perché è la dottrina opposta all’anima del Vangelo,
che è fondata sulla giustizia e sulla carità. In loro, invece, c’è solo sopraffazione,
schiavitù. Allora, bisogna trovare insieme tutte quelle sinergie che possano contrastare
metodi che tendono a rompere la società attraverso un’offerta che, in un primo momento,
può apparire un’offerta di lavoro, ma che poi si rivela per ciò che è: un lavoro di
morte. Dobbiamo battere su questa realtà e soprattutto, evitare che i giovani possano
essere presi da questa rete che soffoca e uccide.
D. - Le parole del
Papa a Palermo hanno entusiasmato proprio i giovani e, spesso, molto spesso, anche
quando lei parla e dice cose analoghe, si rivolge ai giovani che accolgono sempre
con molta apertura…
R. - Vedo che c’è tanto entusiasmo. Ci chiedono
che li si accompagni, che si stia vicini, che nei momenti difficili ci si possa veramente
aprire e, soprattutto, che si diano dei segni concreti. Perché basta con le parole,
basta con le chiacchiere, basta con i progetti campati in aria. Nell'arcidiocesi,
per esempio, abbiamo realizzato un progetto microcredito per i giovani: prestiamo
20 mila euro senza interessi perché realizzino dei progetti. Abbiamo fatto la casa
per le donne e i bambini abbandonati, per tenerli insieme. Sono tanti piccoli segni.
Abbiamo fatto dei centri informatici nelle parrocchie. Ogni anno 50, 60 giovani vengono
recuperati; riusciamo a integrarli e a fargli percorrere una strada di legalità e
di civiltà.