Il Papa è a Palermo: stamani la Messa, nel pomeriggio l'incontro con i giovani
Il Papa è arrivato stamani a Palermo poco dopo le 9.00: ad accoglierlo all'aeroporto
"Falcone e Borsellino" di Punta Raisi il presidente del Senato, Schifani, e l'arcivescovo
della città Romeo. Stamani la Messa al Foro italico e la preghiera dell'Angelus. Nel
pomeriggio, due i momenti salienti: l’incontro in Cattedrale con i sacerdoti, i religiosi,
le religiose e i seminaristi, quindi quello conclusivo con i giovani, in Piazza Politeama,
prima della partenza prevista per le 19.15. Su questa visita apostolica Salvatore
Sabatino ha intervistato l'arcivescovo di Palermo, mons. Paolo Romeo:
R.
- La visita del Santo Padre si svolge, sì, a Palermo, ma vuole abbracciare tutta l’Isola.
L’incontro con il Papa rappresenta, da una parte, l’essere confermati nel lavoro di
fede che stiamo facendo con tante famiglie e con tanti giovani, ma dall’altra - allo
stesso tempo - vuole essere un momento di sprone, di presa di coscienza e di impegno
maggiore, perché i bisogni della società di oggi sono immensi.
D. -
Lei più volte ha parlato durante le sue omelie del degrado morale che deturpa l’uomo
e ne abbassa la dignità. Eppure, lei dice che è possibile scegliere Dio sempre: in
che modo?
R. - Io credo che la scelta di Dio debba avvenire anzitutto
a livello personale e il miglioramento di ciascuno di noi sarà poi un miglioramento
comunitario, sarà poi un impegno comunitario. Don Pino Puglisi, questo prete che ha
servito la Chiesa con amore e con dedizione fino alla fine, che ha testimoniato col
suo sangue la fedeltà a Cristo e alla Chiesa, diceva: “E se ognuno fa qualcosa…”.
Tante volte io dico che i nostri politici, i nostri amministratori sulla "carta" sono
tutti cattolici: come mai, allora, produciamo delle legislazioni che poco hanno a
che fare con la Dottrina sociale della Chiesa e soprattutto con quei valori evangelici
della giustizia sociale e dell’equa ripartizione? Dobbiamo costruire un mondo solidale
che vive nella sussidiarietà e dove ognuno, quindi, deve dare il suo contributo.
D.
- L’immagine che Palermo offre soprattutto attraverso i media è quella di una città
complessa, piena di contraddizioni. Eppure la realtà può essere ben diversa: oggi
Palermo che città è realmente?
R. - E’ una città che ha bisogno di essere
redenta. E’ una città che si è degradata nelle beghe politiche, che sta subendo molto
forte l’impatto della crisi economica. La crisi economica colpisce a tutti i livelli,
ma certamente diventa più disastrosa per i livelli a rischio e chi perde il posto
di lavoro, in una famiglia a monoreddito, cade nello scoramento più grande. Ciò rappresenta
una grande responsabilità per la società, perché - secondo il vecchio detto “L’ozio
è il padre dei vizi” - quando non vengono date prospettive ai giovani, prospettive
alle famiglie, i più volenterosi prendono il treno, prendono l’areo o la nave e se
ne vanno, ma coloro che sono più fragili rimangono e possono cadere in preda a tutti
questi fenomeni di illegalità che affliggono la nostra società. Io credo veramente
che la nostra città di Palermo e la nostra isola abbiano bisogno di un sussulto.
In
una terra come la Sicilia, dove resistono antiche sacche di disagio sociale che condizionano
ancora oggi la vita di molte persone, la Chiesa persegue con grande cura l'educazione
dei giovani, intesa come strada maestra per costruire un presente e un futuro sano
per tutta la regione. Lo afferma, al microfono di Salvatore Sabatino, il vescovo
di Caltagirone, mons. Calogero Peri:
R.
– Penso che tutti, oggi, abbiamo un compito, che è quello di metterci all’ascolto
delle domande vere che gli uomini si pongono, perché a volte ho l’impressione che
un po’ tutti abbiamo risposte preparate, preconfezionate ma non alle domande vere
degli uomini. Ritengo che i giovani, oggi, abbiano bisogno che ci sia la Chiesa come
luogo in cui il loro disagio, piuttosto che essere giudicato, possa trovare un religioso
atteggiamento di ascolto.
D. – Padre Puglisi diceva: “Ognuno di noi
ha una responsabilità. Se ognuno di noi riuscisse a cambiare qualcosa, evidentemente
si potrebbe cambiare la società”. E’ un messaggio che è ancora attuale?
R.
– Andando un po’ più addentro a questo discorso della responsabilità, che da parte
mia non ho mai considerato nella sua dimensione o di aggettivo o di avverbio, perché
noi normalmente lo utilizziamo sempre così: persona “responsabile”… Io normalmente
lo utilizzo come sostantivo: l’uomo è resposabillità. Il che significa: è risposta,
fondamentalmente. Ma è risposta ad una domanda. Già è una risposta alla domanda di
vita che il Creatore gli ha dato; la nostra esistenza è una risposta. Ed è una risposta
al fatto che ci fa interlocutori del suo dialogo di salvezza e di amore, e oggi noi
dobbiamo avere questa coscienza e soprattutto dobbiamo trasmetterla e coltivarla.
D.
– Lei lavora in un territorio particolare, dove ci sono ovviamente infiltrazioni mafiose.
Si può dire che la Chiesa oggi ancora opera in un territorio di confine? O qualcosa
sta cambiando, anche da questo punto di vista?
R. – E’ chiaro che quel
fenomeno originario, un po’ da camaleonte, ora è cambiato. Oggi, la Chiesa deve avere
questa capacità di sapere dove intervenire. Deve intervenire nella formazione dei
ragazzi, dei giovani, dando esempio di estrema legalità, attenzione … Dunque, abbiamo
un ruolo veramente importante anche perché il nostro agire non è semplicemente un
agire come quello degli altri: il nostro agire è simbolico. Quello che fa un prete,
quello che fa la Chiesa acquista una rilevanza molto più ampia, una risonanza molto
più profonda dell’agire semplicemente di altri cittadini. Per questo, ritengo che
se tu prendi le nuove generazioni e le guidi per mano e dai loro quelle regole come
valore e non semplicemente come esperienza di un’associazione passiva, allora questo
sì che nel tempo potrà portare a un cambiamento. La storia ci insegna che la repressione
è stata fallimentare. Io ricordo anni fa l'Operazione "Vespri siciliani", per il contrasto
alla mafia. Io dissi semplicemente: se invece di dare quello stipendio a questi 5-6
mila soldati, l’avessero dato a 5-6 mila giovani, dando loro un segno di speranza,
dando loro la possibilità di sposarsi, di assumersi una responsabilità nella società
e non di lasciarli all’emigrazione, avremmo risolto un tantino di più, perché questo
è un fenomeno che si sviluppa sulla difficoltà sociale che soprattutto tanti giovani
incontrano.