India. Il sogno di Madre Teresa: ad Ayodhya una casa per malati terminali
“Madre Teresa voleva che sul terreno conteso fra indù e musulmani, nella città di
Ayodhya, in Uttar Pradesh, sorgesse un centro di accoglienza per i più poveri fra
i poveri, per i malati terminali, di qualsiasi religione. Questo era, secondo lei,
un modo per disinnescare il conflitto. Con tale servizio all’umanità, diceva, gli
indù avrebbero reso onore al Dio Rama e i musulmani ad Allah”: è quanto racconta all’agenzia
Fides mons. Henry D’Souza, arcivescovo emerito di Calcutta, intervenendo sul caso
che ancora tiene banco nella nazione. L’arcivescovo racconta: “Ricordo che, poco dopo
la distruzione della moschea di Babri e le violenze che seguirono, Madre Teresa venne
da me chiedendomi di accompagnarla dal Primo Ministro o dal Presidente dell’India,
per chiedere che su quel terreno, origine di tanta violenza, potesse nascere un centro
di accoglienza, per un servizio all’umanità sofferente. Le missionarie della Carità
sarebbero state disposte a gestire quella casa. Pur apprezzando l’idea, le dissi che,
sinceramente, non era mia intenzione addentrarmi in una faccenda che allora era politicizzata
al massimo, ma la invitai a proseguire nel suo progetto. Non so se poi sia riuscita
a far pervenire ai vertici della nazione questa idea. Oggi ritengo che trasformare
quel luogo in un centro di servizi alla persona povera e sofferente sarebbe un modo
splendido per concludere la controversia e far nascere, da una vicenda che ha generato
odio e sangue, un bene per l’intera nazione”. La contesa di Ayodhya ha originato nel
1992 feroci scontri fra indù e musulmani (oltre 2.000 morti) , dopo che estremisti
indù distrussero la moschea di Babri, rivendicando la presenza, antecedente, di un
tempio del Dio Rama nel medesimo luogo. Dopo un lungo processo, la vicenda sembra
prossima alla conclusione: il 24 settembre si attendeva il verdetto del tribunale
di Allahabad. La Corte Suprema ha però rinviato il verdetto, accogliendo la petizione
di un avvocato indipendente, fissando una nuova udienza per domani, 28 settembre.
Sugli esiti della vicenda, l’arcivescovo D’Souza, afferma: “E’ mia impressione che
il verdetto subirà altri rinvii. Credo si debbano ancora esplorare vie di riconciliazione
e individuare soluzioni per non generare ulteriore violenza, ma utili a creare pace
e armonia nella società indiana”. (R.P.)