Giornata di apertura degli oratori, antidoto sempreverde alle nuove solitudini giovanili
L’Oratorio aiuta i ragazzi di oggi ad uscire dalla solitudine di cui spesso sono vittime.
Lo afferma in sintesi don Maurizio Mirilli, responsabile della pastorale giovanile
della Conferenza episcopale italiana (Cei), nell’odierna Festa degli oratori. Un appuntamento
che coinvolge oltre 1.200 centri giovanili diocesani e che segna la ripresa delle
attività dopo la pausa estiva. Oltre 500 mila sono i ragazzi che abitualmente frequentano
queste realtà sul territorio, più di 50 mila gli educatori, catechisti, animatori
e allenatori impegnati nella formazione delle giovani generazioni. Massimiliano
Menichetti ha intervistato lo stesso don Maurizio Mirilli, addetto al servizio
per la pastorale giovanile della diocesi di Roma:
R. – Questo
tipo di iniziative servono a testimoniare la vitalità di certe realtà. Vogliamo, come
Chiesa, annunciare un po’ a tutti, in Italia, che l’oratorio non è morto, che l’oratorio
è vivo ed è una realtà che dal punto di vista educativo può dare tantissimo, ha dato,
dà e darà ancora tantissimo.
D. – Spesso si confonde l’oratorio con
un luogo di semplice aggregazione o di gioco. Che cos’è, in realtà, un oratorio?
R.
– L’oratorio, lo dice la parola stessa, è il luogo dove si impara a pregare, ma lo
si fa in un modo adatto ai ragazzi, ai giovani. E’ certamente un luogo aggregativo,
di gioco, che però, ovviamente, educa anche all’incontro con la persona di Gesù Cristo.
D.
– Quale linguaggio bisogna parlare con le nuove generazioni per far conoscere Gesù
Cristo?
R. – Il linguaggio semplice, la semplicità che tocca il cuore
dei bambini come anche dei più grandi, che va incontro ai bisogni reali dei giovani
e dei ragazzi di oggi. Ed il bisogno reale, fondamentale di un ragazzo di oggi è quello
della famiglia, del calore, perché è da solo.
D. – Ma c’è molta differenza
tra i giovani di oggi e, ad esempio, i giovani di 40 anni fa?
R. – C’è
tanta differenza, perché sono cambiati i bisogni. Un ragazzino di un quartiere di
borgata di una grande città di 40 anni fa aveva come bisogno quello di trovare un
luogo dove poter giocare in modo sano, c’erano bisogni più “poveri”, di prima necessità.
Adesso i bisogni sono nuovi, diversi: non c’è tanto il bisogno del panino o il non
potersi comprare un paio di scarpini da calcio ma ci sono altri tipi di bisogni, come
l’assenza della famiglia. Questi ragazzi sono frammentati in mille attività, non hanno
tempi per poter vivere un po’ più di stabilità e la comunità parrocchiale - nello
specifico l’oratorio - può dare, in questo senso, questo tipo di risposta.
D.
– Quanto è importante, in un mondo difficile come quello di oggi, l’essere autentici
e comunicare verità?
R. – I ragazzi fanno fatica a trovare dei testimoni
autentici. Ecco perché la Chiesa, non perché chi fa parte della Chiesa è il "dio"
degli altri, ma perché ha ricevuto in dono la verità in modo trasparente, la annuncia
e la annuncia direttamente con un linguaggio semplice. Quando un ragazzo riceve quest’annuncio,
allora capisce dove c’è la verità e dove c’è la falsità e sa fare anche le proprie
scelte.
D. – Poi i ragazzi che sono coinvolti in un percorso di questo
tipo, abbracciano la verità della propria vita, della propria esistenza…
R.
– Riescono se accompagnati. Ma bisogna stargli accanto ed aiutarli quando cadono,
quando ritornano nella menzogna: dare loro di nuovo la mano per farli rialzare e continuare
pian piano. Allora, sì, diventeranno uomini adulti, capaci di avere il coraggio delle
proprie scelte.