Il commento di padre Bruno Secondin al Vangelo della 26.ma domenica del Tempo oridnario
Nella 26.ma domenica del Tempo ordinario, il Vangelo presenta il brano di Luca nel
quale Gesù racconta ai farisei la parabola del ricco Epulone e del povero Lazzaro.
Alla fine, descrivendo la richiesta che il ricco Epulone rivolge ad Abramo perché
mandi ai suoi fratelli una persona risorta ammonirli, Gesù fa dire ad Abramo:
“Se
non ascoltano Mosè e i Profeti, non saranno persuasi neanche se uno risorgesse dai
morti”.
Su questo brano del Vangelo, ascoltiamo il commento del carmelitano,
padre Bruno Secondin, docente di Teologia spirituale alla Pontificia Università
Gregoriana:
Il povero
ha un nome in questa parabola, Lazzaro; ma il ricco no: perché non sono le ricchezze
che fanno la dignità vera di una persona, il suo egoismo cieco lo rende disumano,
indegno anche del nome. Il povero Lazzaro però era invisibile agli occhi del ricco
Epulone: egli ha fatto finta di non vederlo. Far finta di non vedere, ignorare, è
terribile quanto umiliare, colpire, scacciare. È peccato contro la solidarietà, la
condivisione, la fraternità. La chiusura del cuore del ricco
e dei suoi parenti è ulteriormente sottolineata dal dialogo fra il ricco, finito nei
tormenti infernali e Abramo che ha accolto il povero Lazzaro: solo un miracolo, qualcosa
di scioccante, risveglierebbe la coscienza dei parenti. Non la Parola dei Profeti,
non le indicazioni della legge della solidarietà. La terra oggi
sembra piena di poveri lazzari, che devono mendicare qualche briciola del benessere
di nazioni ricche ed egoiste, le quali poi fanno finta di non vederli, o se li vedono
li cacciano via in malo modo. E caso mai anche li deprèdano del poco che hanno, ulcerandoli
ancor più. Vi sono strutture di peccato sociale che non possiamo accettare. Come si
può far finta di nulla?