Beatificata a Roma Chiara Luce Badano. Mons. Amato: "una ragazza dal cuore cristallino"
Una ragazza “dal cuore cristallino”, “dall’amore grande come l’oceano”: così mons.
Angelo Amato ha descritto, nella sua omelia, la Venerabile serva di Dio, Chiara Luce
Badano, da oggi Beata. La cerimonia di beatificazione si è tenuta questo pomeriggio
nel Santuario Romano del Divino Amore con la partecipazione di migliaia di persone
venute da diversi Paesi del mondo. Il Prefetto della Congregazione per le Cause dei
Santi ha definito questa giovane legata al Movimento dei Focolari- morta a soli 19
anni per un osteosarcoma - “una missionaria di Gesù, un’apostola del Vangelo”, colei
che “ci invita a ritrovare la freschezza e l’entusiasmo della fede”. Il servizio di
Isabella Piro:
Ma quali
erano i tratti caratteristici della personalità di Chiara Luce Badano? Mons. Livio
Maritano, vescovo emerito di Acqui, e promotore della causa di Beatificazione, ne
parla in questa intervista di Isabella Piro:
R. – Una fede
nell’amore di Dio: “Dio mi ama immensamente”. Di qui, la necessità di ricambiarlo:
fare la volontà di Dio. L’ascolto della Parola di Dio l’ha conquistata fin da quando
utilizza il Vangelo donatole in occasione della Prima Comunione. Poi, lo sviluppo
della valorizzazione della Parola di Dio e dell’Eucaristia: sono state quelle le fonti
principali della sua formazione, dando un esempio di serenità, di pace, di perseveranza
che il Signore ha ricambiato dandole il centuplo, cioè la certezza del Paradiso, quella
felicità per cui conclude la vita mettendo la mano sul capo della mamma e dicendo:
“Ciao, mamma, sii felice perché io lo sono!”.
D. – Chiara aveva il soprannome
di “Luce”, che le era stato dato da Chiara Lubich, la fondatrice del Movimento dei
Focolari: perché?
R. – Rispecchiava l’azione dello Spirito Santo su di lei.
La luminosità del suo sorriso, dei suoi occhi, della sua disponibilità agli altri,
del suo apostolato, del suo impegno nel donare tutto quello che aveva per i bambini
dell’Africa, cosa che fede ripetutamente: i regali della Prima Comunione, poi quelli
dei 18 anni e effettivamente poco dopo il 2000 abbiamo potuto realizzare due centri
nel Benin proprio servendoci dei suoi primi doni per l’Africa.
D. – Mons. Maritano,
cosa l’ha spinta a promuovere il processo di Beatificazione di Chiara?
R. –
La certezza che fosse una ragazza veramente impegnata nella sua graduale santificazione,
nell’apostolato che svolgeva, nella testimonianza di fede incrollabile, una fiducia
incrollabile in Dio! L’amore così vicino a Gesù Cristo per cui tutto diventava l’occasione
di un dialogo con lei: tutto questo mi assicurava un livello di virtù non comune!
Non potevo tenere chiuso in una piccola diocesi, come quella di Acqui con 150 mila
abitanti, una testimonianza così importante: di giorno in giorno si moltiplicano le
risonanze della sua statura morale e spirituale. Tantissime persone mi hanno detto:
“Mi ha cambiato la vita!”.
D. – A distanza di 20 anni dalla sua morte, cosa
ci dice oggi, Chiara?
R. – Dice l’attualità dei valori per i quali lei è vissuta,
quindi un messaggio per i giovani. Un’espressione sua: “Vorrei passare loro la fiaccola,
come alle Olimpiadi, perché la vita è una sola e vale la pena di spenderla bene”.
Può essere una bella testimonianza per animare i giovani a santificare il tempo dello
studio come il tempo del gioco, dello sport, in unione con Gesù: e tutto questo da
un senso di gioia, di apertura alla vita e di apertura alla vita soprannaturale.
D.
– Mons. Maritano, lei ha conosciuto personalmente Chiara Badano: c’è un episodio che
lei vuole ricordare ai nostri microfoni?
R. – Io ho visitato, nella mia vita,
tantissimi malati, ma il discorso normale con i malati era sentire come va la salute,
come va la malattia, eccetera. Con lei no, perché con lei bisogna subito orientarsi
nel parlare della Chiesa: era innamorata della Chiesa, perché non si può non essere
innamorati quando si vuole immensamente bene a Gesù.
Ma per una testimonianza
sulla vita di Chiara Luce Badano, Fabio Colagrande ha intervistato il dott. Ferdinando
Garetto, medico oncologo, esperto di cure palliative, che ha l’ha conosciuta e che
ha collaborato come consulente alla sua Causa di Beatificazione:
R. - L’ho conosciuta
quando ero stato a Torino. Mi ricordo che sono stato nella sua stanza pochi minuti
e sono uscito di lì con due impressioni. Una: che splendore! Nei suoi 17 anni, la
sua simpatia, la sua forza anche. L’altro pensiero: cosa sarà di questo sorriso, quando
la malattia andrà avanti, quando capirà? Ma Chiara non si è mai fermata. Noi che le
siamo stati accanto, a un certo punto, sentivamo che non potevamo fare a meno di andare
a trovarla nella sua stanza perché entravamo lì e vedevamo la certezza dell’amore
di Dio. Senza tante parole ma solo per il clima che c’era, sentivamo che dovevamo
essere alla stessa altezza sua e vivere per qualcosa di grande. Chiara ci ha segnati
per tutta la vita anche solo con quel sorriso e quella stretta di mano.
D.
- Come medico oncologo, cosa pensa del modo in cui Chiara Badano ha vissuto la sua
malattia?
R. - Soprattutto, Chiara è una grande risposta al grande interrogativo
delle cure palliative. Una volta che abbiamo controllato il dolore, che abbiamo controllato
i sintomi, resta la grande domanda del morire: quale può esserne il senso, quale può
esserne il significato. Chiara vive questa dimensione. Perché rifiuta la morfina (una
cosa che non capivo in certi momenti)? Perché aveva qualcosa di più grande per cui
vivere. Me l’ha spiegato - pensi - un mio collega non credente. Quando gli ho raccontato
di Chiara, mi ha detto: ma sai perché poteva rifiutare la morfina? Perché lei aveva
trovato un senso, un significato più grande in quel dolore. E il dolore in cui trovi
il senso e il significato, è già vinto.
D. - Che significato ha per lei questa
giornata, la giornata della Beatificazione di Chiara Badano?
R. - E’ un’emozione
travolgente! Io sono già qui al Divino Amore: vedere arrivare anche tanti giovani
da tutto il mondo e pensare che tutto è iniziato, per me, in quella stanzetta di ospedale
in cui eravamo veramente in tre o quattro a incontrare Chiara. D’altra parte, da subito
noi ci siamo accorti che eravamo entrati in una straordinaria avventura dell’amore
di Dio e che, quindi, potevamo aspettarci qualunque cosa da quest’avventura. Certo,
non avremmo pensato questo, ma anche questo lo sentivamo proprio un tutt’uno con la
“Chiaretta” che abbiamo conosciuto 17.enne in un sorriso e in una stretta di mano.
D.
- C’è qualcos’altro che vuole aggiungere: un ricordo, un episodio, qualcosa legato
a Chiara?
R. - L’ultima volta che l’ho vista aveva perso l’uso delle gambe.
Corro in ospedale chiedendomi: adesso cosa sarà di questo sorriso? Entro in stanza,
lei mi vede, avevo i libri sottobraccio, mi guarda con un sorriso splendido, luminoso,
mi dice: "Come va il tuo esame?". Come se contasse solo quello. Chiara - mi sembra
- ci ha fatto capire che abbiamo una vita sola e possiamo viverla per qualcosa di
grande. Ai giovani Chiara dice che non è necessario ammalarsi e morire per farsi
santi: basta spendere bene questa vita che abbiamo e viverla fino in fondo.