2010-09-24 16:08:09

Israele apre al compromesso sulle colonie, Ahmadinejad attacca Usa e Stato ebraico


Israele è pronto ad arrivare ad un “compromesso concordato” sull’estensione della moratoria per la costruzione di nuovi insediamenti in Cisgiordania. Lo ha riferito un alto responsabile dello Stato ebraico che però vuole mantenere l’anonimato. La proroga della moratoria, sollecitata nel suo intervento all’Assemblea Generale delle Nazioni Unite dal presidente Usa Barack Obama, è uno dei nodi del conflitto in Medio Oriente. Il servizio di Fausta Speranza:RealAudioMP3

Alla 65.ma Assemblea dell’Onu nelle ultime ore ha catturato l’attenzione il presidente iraniano Ahmadinejad che è tornato ad attaccare lo Stato ebraico ma poi ha alzato il tiro contro gli Stati Uniti: ha parlato di un complotto in cui la strage dell'11 Settembre sarebbe stata pianificata per salvare l'economia in declino e quello che ha definito il ''regime sionista'', cioè Israele. A queste parole sia la delegazione americana che i rappresentanti europei hanno lasciato la sala. Dunque ancora di Medio Oriente si parla all’Onu. Obama in tema di possibile negoziato ha chiesto che continui lo stop degli insediamenti in Cisgiordania. Fonti israeliane avevano giudicato il discorso del presidente Usa "equilibrato". Critici invece i coloni israeliani che, per bocca del Consiglio (Yesha) che li rappresenta, hanno accusato Obama "di essersi piegato alle minacce dei palestinesi". Il punto è che il negoziato diretto tra palestinesi e israeliani, cominciato il 2 settembre scorso, rischia di naufragare per la ripresa dell’edificazione di colonie. Secondo le ultime indiscrezioni, il premier Netanyahu è impegnato nello sforzo per arrivare ad un’intesa prima della fine della moratoria. Intanto sul terreno il clima continua a rimanere incandescente, tanto che la polizia israeliana ha vietato per oggi l'accesso alla Spianata delle Moschee ai fedeli musulmani di sesso maschile con meno di 50 anni, per timore di nuovi disordini. Mercoledì scorso un palestinese è stato ucciso da parte di una guardia giurata che vigilava sulla sicurezza di coloni ebrei nel quartiere arabo di Silwan.

Dalla 65.ma Assemblea generale dell’Onu il presidente Usa Obama ha lanciato l’auspicio che presto si possano fare passi avanti significativi nel processo di pace israelo-palestinese, spingendosi ad augurarsi la nascita di uno Stato palestinese entro il prossimo anno. Per capire il valore di queste parole e le possibili prospettive, Stefano Leszczynski ha intervistato Giorgio Bernardelli, giornalista esperto di Medio Oriente:RealAudioMP3

R. - Il presidente Obama ha usato l’arma delle parole forti, che è quella poi che riesce a scuotere le coscienze e l’opinione pubblica. Nella formulazione della sua frase, però, era un auspicio più che una prospettiva contingente per l’anno prossimo. Obama ha cercato di mettere in gioco, ieri all’Onu, tutto il suo prestigio internazionale per far sì che ci sia una pressione su entrambe le parti, affinché questo nodo della moratoria degli insediamenti si blocchi.

D. – Un’importante richiesta di presa di responsabilità anche nei confronti di Israele, perché il processo di pace vada avanti?

R. - Oggi il pallino è nelle mani di Israele, fondamentalmente, perché Abu Mazen ha già detto che accetterebbe anche una moratoria di soli tre mesi con l’obiettivo poi di arrivare entro i tre mesi alla definizione dei confini. Quindi davvero il “sì” o il “no” al proseguimento di questo negoziato è nelle mani del governo Netanyahu. Va anche detto, però, che ieri Obama ha fatto un appello diretto anche ai Paesi arabi e probabilmente guardando già al passo successivo, nel senso che poi non è detto che, una volta superato questo scoglio, il negoziato sia un negoziato semplice: a quel punto sì che le scelte probabilmente più dolorose spetterebbero all’Autorità Palestinese, perché definire i confini significherebbe decidere quali colonie israeliane mantenere sul terreno. Forse, guardando già a questo ulteriore passo, il presidente Obama ha fatto appello ai Paesi arabi affinché rispettino quel piano di pace arabo del 2002, su iniziativa dell’Arabia Saudita, che ipotizza il ripristino delle relazioni diplomatiche con Israele da parte di tutti i Paesi arabi nel caso si arrivasse ad una pace con i palestinesi.

D. - Quanto la situazione continui a rimanere tesa lo dimostra anche l’intervento del presidente iraniano Ahmadinejad: non sono mancate accuse esplicite ad Israele e agli Usa, nonché la chiusura al dialogo proposto da parte della Casa Bianca…

R. - Ahmadinejad svolge il suo ruolo che è quello, appunto, di giocare sullo scontro e di non creare alcuna possibilità per questo negoziato. Ahmadinejad e non solo, perché anche Hamas sta lavorando decisamente contro questo negoziato. Se fallisse questo negozio, la prospettiva sarebbe quella di uno scontro a livello molto alto. Credo che la Comunità internazionale debba avere chiaro questo. Ovviamente questa è una prospettiva che tutti crediamo molto, molto grave!







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