Israele apre al compromesso sulle colonie, Ahmadinejad attacca Usa e Stato ebraico
Israele è pronto ad arrivare ad un "compromesso concordato" sull'estensione della
moratoria per la costruzione di nuovi insediamenti in Cisgiordania. Lo ha riferito
un alto responsabile dello Stato ebraico che però vuole mantenere l’anonimato. La
proroga della moratoria, sollecitata nel suo intervento all'Assemblea Generale delle
Nazioni Unite dal presidente Usa Barack Obama, è uno dei nodi del conflitto in Medio
Oriente. Il servizio di Fausta Speranza: Alla 65.ma
Assemblea dell’Onu nelle ultime ore ha catturato l’attenzione il presidente iraniano
Ahmadinejad che è tornato ad attaccare lo Stato ebraico ma poi ha alzato il tiro contro
gli Stati Uniti: ha parlato di un complotto in cui la strage dell'11 Settembre sarebbe
stata pianificata per salvare l'economia in declino e quello che ha definito il ''regime
sionista'', cioè Israele. A queste parole sia la delegazione americana che i rappresentanti
europei hanno lasciato la sala. Dunque ancora di Medio Oriente si parla all’Onu. Obama
in tema di possibile negoziato ha chiesto che continui lo stop degli insediamenti
in Cisgiordania. Fonti israeliane avevano giudicato il discorso del presidente Usa
"equilibrato". Critici invece i coloni israeliani che, per bocca del Consiglio (Yesha)
che li rappresenta, hanno accusato Obama "di essersi piegato alle minacce dei palestinesi".
Il punto è che il negoziato diretto tra palestinesi e israeliani, cominciato il 2
settembre scorso, rischia di naufragare per la ripresa dell’edificazione di colonie.
Secondo le ultime indiscrezioni, il premier Netanyahu è impegnato nello sforzo per
arrivare ad un’intesa prima della fine della moratoria. Intanto sul terreno il clima
continua a rimanere incandescente, tanto che la polizia israeliana ha vietato per
oggi l'accesso alla Spianata delle Moschee ai fedeli musulmani di sesso maschile con
meno di 50 anni, per timore di nuovi disordini. Mercoledì scorso un palestinese è
stato ucciso da parte di una guardia giurata che vigilava sulla sicurezza di coloni
ebrei nel quartiere arabo di Silwan. Dalla 65.ma Assemblea generale dell’Onu
il presidente Usa Obama ha lanciato l’auspicio che presto si possano fare passi avanti
significativi nel processo di pace israelo-palestinese, spingendosi ad augurarsi la
nascita di uno Stato palestinese entro il prossimo anno. Per capire il valore di queste
parole e le possibili prospettive, Stefano Leszczynski ha intervistato Giorgio
Bernardelli, giornalista esperto di Medio Oriente: R. - Il presidente
Obama ha usato l’arma delle parole forti, che è quella poi che riesce a scuotere le
coscienze e l’opinione pubblica. Nella formulazione della sua frase, però, era un
auspicio più che una prospettiva contingente per l’anno prossimo. Obama ha cercato
di mettere in gioco, ieri all’Onu, tutto il suo prestigio internazionale per far sì
che ci sia una pressione su entrambe le parti, affinché questo nodo della moratoria
degli insediamenti si blocchi. D. – Un’importante richiesta di presa di
responsabilità anche nei confronti di Israele, perché il processo di pace vada avanti?
R.
- Oggi il pallino è nelle mani di Israele, fondamentalmente, perché Abu Mazen ha già
detto che accetterebbe anche una moratoria di soli tre mesi con l’obiettivo poi di
arrivare entro i tre mesi alla definizione dei confini. Quindi davvero il “sì” o il
“no” al proseguimento di questo negoziato è nelle mani del governo Netanyahu. Va anche
detto, però, che ieri Obama ha fatto un appello diretto anche ai Paesi arabi e probabilmente
guardando già al passo successivo, nel senso che poi non è detto che, una volta superato
questo scoglio, il negoziato sia un negoziato semplice: a quel punto sì che le scelte
probabilmente più dolorose spetterebbero all’Autorità Palestinese, perché definire
i confini significherebbe decidere quali colonie israeliane mantenere sul terreno.
Forse, guardando già a questo ulteriore passo, il presidente Obama ha fatto appello
ai Paesi arabi affinché rispettino quel piano di pace arabo del 2002, su iniziativa
dell’Arabia Saudita, che ipotizza il ripristino delle relazioni diplomatiche con Israele
da parte di tutti i Paesi arabi nel caso si arrivasse ad una pace con i palestinesi.
D. - Quanto la situazione continui a rimanere tesa lo dimostra anche
l’intervento del presidente iraniano Ahmadinejad: non sono mancate accuse
esplicite ad Israele e agli Usa, nonché la chiusura al dialogo proposto da parte della
Casa Bianca…
R. - Ahmadinejad svolge il suo ruolo che è quello,
appunto, di giocare sullo scontro e di non creare alcuna possibilità per questo negoziato.
Ahmadinejad e non solo, perché anche Hamas sta lavorando decisamente contro questo
negoziato. Se fallisse questo negozio, la prospettiva sarebbe quella di uno scontro
a livello molto alto. Credo che la Comunità internazionale debba avere chiaro questo.
Ovviamente questa è una prospettiva che tutti crediamo molto, molto grave!