Disoccupazione giovanile in Italia. Mons. Miglio: situazione devastante
Preoccupazione in Italia per la crescita della disoccupazione, salita all’8,5%. E
c’è allarme in particolare per i giovani: i senza lavoro sono quasi il 28,%. Si tratta
del dato più alto dal 1999. Colpiti, soprattutto, il Sud e le donne. Luca Collodi
ne ha parlato con mons. Arrigo Miglio, vescovo d’Ivrea e presidente del Comitato
scientifico e organizzatore delle Settimane sociali dei cattolici italiani:
R. - Questi
dati vanno scomposti secondo le diverse regioni dell’Italia, sostanzialmente tra Nord
e Sud e, allora, le percentuali sono ancora più impressionanti. In modo particolare,
la disoccupazione giovanile nelle regioni del Sud sfiora delle percentuali davvero
da vertigini. Certamente, la situazione è molto grave. A parte, che in alcune regioni
del Sud già si trascina da anni questa situazione. E’ ripresa l’emigrazione dei giovani;
i giovani che emigrano molte volte sono quelli più preparati, per cui c’è un impoverimento
di cervelli. Allora, se noi pensiamo a cosa significa il lavoro nella formazione di
una persona, per la struttura di una persona, per la crescita, per il suo equilibrio,
per la sua vita, cioè al di là del fatto economico, proprio il lavorare, il creare,
l’intraprendere, il manifestare le proprie potenzialità, noi ci rendiamo conto di
come sia devastante questa situazione. Senza voler per questo sminuire il problema
economico che, evidentemente, è il grimaldello, il punto di partenza per il resto.
D.
– Secondo lei serve un piano straordinario dello Stato sul fronte dell’occupazione
e il lavoro, cioè più Stato nel mondo del lavoro?
R. - E’ difficile
dire quanto ci debba essere di Stato sul mondo del lavoro. Certamente non si può immaginare
un’assenza totale. Io credo che serva anzitutto una riflessione culturale ma anche
una riflessione di tipo pratico, tecnico, per immaginare nuove forme di lavoro. Direi,
una flessibilità di strutture. Purtroppo c’è già tanta flessibilità e precarietà di
lavoro: la flessibilità è positiva, la precarietà no. Una flessibilità nell’immaginare
nuove forme di lavoro. C’è poi il problema dei carichi fiscali. La cosa che mi pare
chiara è che non possiamo immaginare una ripresa, una risalita da questa situazione,
tornando a situazioni precedenti, positive o negative che fossero. La trasformazione
è generale e profonda e, quindi, dobbiamo pensare e progettare, come ci ripete più
volte anche la Caritas in veritate; da parte dello Stato, direi, anzitutto, che deve
esserci un aiuto perché le persone, i gruppi, le imprese, la cooperazione, possano
trovare strade e abbiano spazi perché poi la fantasia, la capacità di impresa, nel
nostro Paese è tutt’altro che assente. Io vedo anzitutto una presenza dello Stato
in questo senso, nell’aiutare e nel favorire forme di intrapresa, di cooperazione,
che permettano alle persone di responsabilizzarsi, di cercare e di arrivare a una
ripresa vera.
D. - Che cosa in conclusione ci dobbiamo aspettare sul
tema lavoro e occupazione dalle Settimane sociali di Reggio Calabria?
R.
– Noi abbiamo posto il problema, intanto, del carico fiscale sul lavoro, sulle imprese,
e poi abbiamo posto anche un altro capitolo che abbiamo intitolato “slegare la mobilità
sociale” e, quindi, superare certe rigidità, ad esempio per l’accesso a certe professioni,
agli ordini professionali, in modo che davvero per i meritevoli, per i preparati,
si aprano tante strade e non ci siano, invece, solo corsie preferenziali o esclusive
per determinati figli di determinate famiglie o gruppi.(Montaggio a cura
di Maria Brigini)