Usa: “no” dei vescovi al finanziamento pubblico alla contraccezione
La conferenza episcopale degli Stati Uniti ribadisce la sua contrarietà al finanziamento
pubblico della “contraccezione e dei sistemi di sterilizzazione, includendoli nei
piani sanitari come servizi di prevenzione per la salute delle donne”. In un messaggio
ripreso dall’Osservatore Romano, a firma dei consiglieri Anthony R. Picarello e Michael
F. Moses, si sottolinea che i metodi contraccettivi e i sistemi di sterilizzazione
“pongono significativi rischi per la salute e la vita delle donne e i piani federali
che ne prevedono l'utilizzo creerebbero anche una minaccia senza precedenti al diritto
di coscienza”. Il Department of Health and Human Services del Governo degli Stati
Uniti sta lavorando, infatti, alla stesura di un programma per l'erogazione di servizi
sanitari cosiddetti di “prevenzione”, nell'ambito del Patient Protection and Affordable
Care Act, il piano di riforma sanitaria approvato in via definitiva il 21 marzo 2010
dalla Camera dei Rappresentanti e firmato successivamente dal presidente Barack Obama.
La riforma sanitaria prevede per i cittadini una riduzione dei premi da pagare alle
assicurazioni private che costituiscono ancora la maggiore componente del sistema
sanitario del Paese. I servizi coperti dalle assicurazioni private includono le visite
mediche specialistiche, l'assistenza extraospedaliera e l'acquisto di farmaci con
prescrizione. Oltre a questo, la riforma prevede l'estensione del programma federale
gratuito Medicaid — a partire dal 2014 — a tutti gli individui il cui reddito
familiare ammonti a meno del 133% della soglia di povertà stabilita a livello federale.
Dall'episcopato si esprime, dunque, preoccupazione per il rischio che i metodi contraccettivi
e i sistemi di sterilizzazione possano diventare pratiche comuni nell'ambito dell'applicazione
della riforma sanitaria. Nel mese scorso negli Stati Uniti, peraltro, è stata autorizzata
la commercializzazione della cosiddetta pillola dal nome “Ella” (Ulipristal), definita
come “metodo contraccettivo di emergenza”, un farmaco che può bloccare l'ovulazione,
ma anche agire sull'embrione impedendone l'annidamento nell'utero. Nella lettera dell'episcopato
si argomenta che la pratica contraccettiva non può essere considerata come “preventiva”
nel campo dell'aborto, perché “l'aborto di per sé non è una condizione di patologia,
ma una distinta procedura messa in atto sulla base di un accordo tra la donna e l'operatore
sanitario”. I consiglieri Picarello e Moses osservano, dunque, che l’utilizzo della
pillola “Ulipristal” può causare aborti prematuri e che prevedere la copertura economica
di questo, o altri metodi contraccettivi, in base a un presunto servizio di prevenzione,
“sarebbe in diretto contrasto con quanto stabilito nei statuti del Patient Protection
and Affordable Care Act in relazione al divieto di autorizzare qualsiasi servizio
volto a favorire l'interruzione di gravidanza”. Dall'episcopato si pone anche l'accento
sui danni alla salute derivanti dall'utilizzo dei contraccettivi: “Le donne — è scritto
— che usano contraccettivi orali rischiano maggiormente rispetto alle altre per gli
effetti negativi di tali farmaci, come infarto o trombosi, in particolare coloro che
fumano”. Infine, si ricorda la necessità di garantire l'applicazione del diritto all'obiezione
di coscienza per gli operatori sanitari, come stabilito da un emendamento alla legge
del 1973 che introdusse a livello nazionale l'aborto legalizzato. Le nuove regole,
è spiegato, “costituirebbero una minaccia per gli operatori religiosi e laici che
hanno obiezioni di fede o morali nell'applicazione delle procedure sanitarie”. (M.G.)