Usa: disabile mentale condannata a morte in Virginia
La Corte Suprema degli Stati Uniti ha respinto l’appello di Teresa Lewis, la donna
con disabilità mentale, condannata alla pena capitale in Virgina per aver partecipato
all’omicidio del marito e del figliastro. La sentenza, se nulla dovesse cambiare,
sarà eseguita in serata. Il caso era stato riportato alla ribalta nei giorni scorsi
dal presidente iraniano Mahmoud Ahmadinejad che l’aveva paragonato a quello di Sakineh,
accusando gli Usa di seguire una politica “del doppio standard” nel campo dei diritti
umani. Federico Piana ne ha parlato con Mario Marazziti, portavoce della
Comunità di Sant’Egidio.
R. – Abbiamo
gli Stati Uniti che riducono in assoluto il numero delle esecuzioni capitali - c’è
un percorso di riduzione che ormai va avanti da dieci anni – però poi c’è un meccanismo
della macchina della morte, che non si ferma neanche davanti a verosimili prove di
innocenza, perché sono processi costosi, perché alla fine tutto e molto dipende dalla
difesa. In questo caso noi ci auguriamo ancora, all’ultimo minuto, di un cambiamento
di decisione, altrimenti è un piccolo grande orrore che si aggiunge agli orrori.
D.
– Dobbiamo anche dire che questo caso si sta consumando tra l'indifferenza generale...
R.
– Noi abbiamo lavorato, ovviamente, nel nostro piccolo. Di sicuro, in questo momento,
c’è un discreto lavoro di diplomazia, ma dipende dal governatore dello Stato e dipende
dai singoli Stati. Non c’è un automatismo tra la pressione internazionale e la ricezione
da parte dei singoli Stati americani e come in tutti casi non si accettano ingerenze
in affari interni. Quindi, è un problema molto delicato. Il problema strutturale è
che oggi gli Stati Uniti sono davanti ad una grande chance, la chance di unirsi al
resto del mondo, fermando tutte le esecuzioni capitali e aderendo in qualche misura
alla risoluzione che verrà ridiscussa e riapprovata nel tardo autunno-inizio inverno
2010. C’è da fare un lavoro Stato per Stato. Oggi c’è questa vita umana, simbolica,
di una tragedia che non si riesce a fermare.
D. – Non si riesce a capire
come mai sia ancora possibile mettere a morte una disabile mentale...
R.
– La Corte Suprema ha rigettato come incostituzionale sia l’uccisione dei minori,
al tempo del delitto del reato contestato, sia dei disabili mentali. Qui siamo di
fronte al fatto che non ci sono prove certe della colpevolezza, ma ci sono prove certe
di difficoltà mentali. Poi c’è la certezza del fatto che tutto questo non è stato
tenuto in nessun conto durante il processo. Nella mia esperienza anche nel braccio
della morte, come Comunità di Sant’Egidio, in varie parti degli Stati Uniti, ormai
ho maturato la consapevolezza che circa il 15 per cento delle sentenze capitali colpisce
una persona che non ha commesso un reato o che non era il più colpevole del gruppo
quando il reato è stato commesso, e questo vuol dire uno su sette. Il nodo sta molto
nella difesa, molto nei soldi: quindi fermare la pena capitale riavvicinerebbe gli
Stati Uniti al resto del mondo. (Montaggio a cura di Maria Brigini)